LE NAZIONALI CHE NON HANNO VINTO IL MONDIALE MA SONO ENTRATE NELLA STORIA DEL CALCIO – L’UNGHERIA DEGLI ANNI ’50 – PARTE 1.

Alessio Rui

Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

La squadra d’oro – L’Ungheria dei primi anni ’50

Se il modo di giocare tipico del calcio olandese degli anni 70 può vantarsi della definizione di “calcio totale”, l’origine del cosidetto  “gioco di possesso” non può che essere individuata nel calcio ungherese dei primi anni 50.

Tra i popoli dell’Est Europeo, che il periodo post bellico aveva condannato ad un perenne senso di disillusione, quello ungherese non rinunciò mai alle sue forme espressive.

Tra queste il calcio, meravigliosamente disegnato dalla Honved di Budapest e dalla nazionale magiara. Ah…se solo la Coppa dei Campioni fosse stata istituita con qualche anno di anticipo….quanti esemplari della stessa sarebbero oggi esposti in bella vista nella sede dell’Honved?
Poco importa, tuttavia, che la bacheca sociale non contenga la coppa dalle grandi orecchie. Il club di Budapest ha fatto di meglio considerato come abbia regalato alla sua nazione, e al calcio in generale, l’ossatura della compagine calcistica conosciuta come “la Squadra d’Oro”.
D’Oro perché la nazionale, che prende forma grazie ai campioni della Honved, vince l’edizione delle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, in un’epoca in cui il torneo calcistico a cinque cerchi rivestiva un’importanza superiore a quella odierna.

Da lì avrà inizio un biennio di assoluto dominio internazionale, corredato da un’idea di calcio mai  espressa prima, finalizzata a mantenere il controllo del gioco tramite il possesso della palla.
Un biennio meraviglioso, unico, irripetibile, con un unico inghippo su cui a quarant’anni di distanza inciamperanno, loro malgrado, altre nazionali, altri allenatori, altri calciatori.


Se Johan Crujff, nella riuscitissima definizione ritagliatagli da Federico Buffa, è descritto come “Pitagora in scarpe da calcio”, il football professato dalla Squadra d’Oro non può che definirsi “euclideo”.
E’ un calcio in cui il possesso palla è alla base di ogni scelta, di ogni movimento e di ogni singola giocata ma è, soprattutto, un calcio pensato in maniera razionale per essere proposto in campo in modo tecnico, rigoroso e sfacciato. La nazionale ungherese porta sul terreno verde concetti propri di territori e paesi a quel tempo estranei ai confini nazionali.

E’ un calcio “rigoroso” nell’attenzione alla funzione che ogni singolo presta in favore dei compagni, e, come tale, tipico del “rigore” asburgico con cui gli ungheresi hanno condiviso l’impero austro-ungarico. E’ un calcio “sfacciato” come storicamente lo sono le popolazioni delle terre slave, anch’esse per decenni facenti parte dell’impero. Ed è un calcio che prevede la duttilità dei suoi protagonisti, come nella miglior tradizione del calcio praticato in Slovacchia, altra regione su cui l’Impero magiaro ha dominato a lungo. 

Ma è, soprattutto,  un calcio  MODERNO.

All’inizio degli anni 50, il panorama calcistico internazionale si ritrovava improvvisamente orfano del Grande Torino a cui si deve il perfezionamento del passaggio dal cosidetto “metodo” (WW) al “sistema” la cui disposizione sul campo sarebbe divenuta famosa con la sigla WM.
Era da poco entrata in vigore un’apicale modifica alla norma sul fuorigioco secondo cui, per risultare in posizione regolare, sarebbe bastata, al momento del passaggio, la presenza di due e non più tre avversari tra la posizione del ricevente palla e la linea di fondo. E così, temendo una maggior pericolosità degli attaccanti, l’Arsenal prima e il Grande Torino poi pensarono di aggiungere un terzo difensore sulla linea della retroguardia, passando così dal WW al mitologico WM.

A quel punto la grande Ungheria volle andare oltre.

Fatta propria l’idea della linea a tre dietro, intese rendere diversa la fase offensiva. La volle rendere, per l’appunto, “euclidea”, basandola prevalentemente sulle triangolazioni. Ogni giocatore in possesso della palla avrebbe dovuto contare su almeno due soluzioni di passaggio. Il gioco sarebbe scorso più fluido se sviluppato a due tocchi ed ogni ipotesi di palla lunga a cercare la “spizzata” sarebbe di lì a poco scomparsa dalla mente dei calciatori.

Con simili premesse non deve sorprendere che la presenza di un  finalizzatore al centro dell’attacco risultasse poco funzionale. Tollerare un centrattacco di vecchia scuola avrebbe significato rinunciare ad un calciatore di movimento il che, oltre a limitare le soluzioni di passaggio, non avrebbe consentito lo sfruttamento dei movimenti sincronizzati nella loro totalità e complessità.

Per ogni occasione in cui discutiamo di “falso nueve“, di centravanti di manovra o di regista offensivo dovremmo pagare un adeguato tributo alla memoria di  Nandor Hidegkuti.
Perché è lui che cambia la funzione dell’attaccante principe.

La modernità della Squadra d’Oro risiede anche nei movimenti di questo meraviglioso calciatore, paragonabile per portamento ed eleganza a Socrates e per intelletto calcistico a Platini. Movimenti finalizzati a venire incontro alla palla, a partecipare alle fasi di sviluppo e rifinitura ed a lasciare lo spazio ai compagni che si inseriscono ed affondano dopo aver scambiato, spesso di prima, la palla con lui.

Lo schieramento MM dell’ Ungheria

Quest’attitudine, del tutto nuova per un giocatore di attacco, non gli impedirà di realizzare goal a grappoli ma è soprattutto per il suo innato ed elegante modo di “creare” lo spazio in favore dei  compagni-goleador che verrà ricordato.

Goleador che, a questo punto, sarebbe lecito individuare negli esterni d’attacco. E invece no!!!
Le triangolazioni, le sponde e i movimenti, resi nobili dal palleggio della squadra, tendono a portare alla conclusione gli interni di centrocampo. L’interno destro è Kocsis, autentico maestro dell’inserimento. L’interno sinistro è il più grande chirurgo prestato al calcio: FERENC PUSKAS.(parte 2)

Una formazione della squadra d’oro

4 risposte

  1. Molto interessante e, direi, necessaria per me la lettura di questa prima parte di articolo di Alessio Rui. Sì, necessaria, perché a parte qualche racconto e approfondimento a posteriori sugli scudetti della “mia” Fiorentina del ’56 e ’69, non conosco granché del calcio degli anni ’50 e ’60, essendo io nato nel 1968.
    In effetti, se fosse già esistita nella prima metà dei ’50 la Coppa dei Campioni, il nome della Honved sarebbe suonato familiare a molti di noi, così come quello dell’attaccante Hidegkuti, che confesso di non aver mai sentito (o memorizzato) prima di averlo visto menzionare in queste righe. L’unico nome, nella formazione, che conoscevo ed ero andato cercando, scorrendo le magliette disposte ad MM, è quello di Puskas.

    Aspetto la prossima parte, che immagino dedicata a lui, sperando di trovare ancora quei riferimenti alla storia politica e sociale, oltre che sportiva, che caratterizzano questo pezzo; connessioni e contestualizzazioni che ho apprezzato moltissimo non solo come lettore e appassionato di sport e di storia, ma anche nell’ottica di divulgare tra i miei studenti delle superiori un approccio al fatto e al protagonista sportivo più significativo: un parlare di sport che apra alla conoscenza e familiarità nei confronti della Storia, con quello sguardo alla contemporaneità che è così necessario per entrarci dentro e passare dal complesso al semplice e viceversa.
    In questo, lo sport può essere veramente uno strumento di divulgazione straordinario.

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