FRANCIA- POLONIA 3-1

Normale amministrazione per i blues

Il primo dei due ottavi di finale tra compagini europee è andato in onda aIl’Al Thumana Stadium di Doha con i francesi arrivati alla partita forti del pronostico e del loro status calcistico, che negli ultimi anni li ha innalzati ad un ruolo di prim’ordine per l’enorme “produzione” di calciatori di livello.

A differenza di altri contesti, quello francese non ha prodotto le cosidette “covate” di talenti circoscritte nel tempo. Sono oramai trent’anni che il calcio d’oltralpe forma e sviluppa calciatori di valore in relazione ai quali, nella maggior parte dei casi, il talento è solo uno degli elementi che li rende all’avanguardia. Trattasi spesso di giocatori che combinano con profitto la tecnica e la fisicità e che riescono ad ottimizzare i tempi di gioco in ogni zona del campo. Se la Francia del 1998 traeva origine da una generazione di fenomeni, la versione odierna altro non è se non il frutto di una continua produzione di calciatori moderni, dotati fisicamente e capaci di ergersi a padroni visivi dell’evento.

Il tutto nonostante un campionato che ancora non gode dell’apprezzamento di molti tra esperti ed opinionisti ma che, nell’ultimo trentennio, ha visto fiorire un considerevole numero di calciatori di valore, poi dirottati verso i più importanti club europei, a cui devono aggiungersi i molti giovani, segnalati dagli scout ed espatriati da minorenni, che hanno completato la loro formazione fuori dai confini nazionali. Sarà, forse, proprio per l’alto livello dei protagonisti che il CT Didier Deschamps è parso negli anni non preoccuparsi troppo della qualità del gioco collettivo e dell’estetica, demandando ai suoi campioni, che comunque ha saputo gestire con autorevolezza senza apparire autoritario, il compito di vincere le partite.

Dall’altra parte la Polonia, nobile nazionale del calcio europeo, che ha perso posizioni in ambito internazionale proprio negli anni in cui la Francia ha completato la propria ascesa. La vittoria ottenuta contro i francesi nella finale per il terzo posto al mondiale del 1982 rappresenta l’ultimo risultato di rilievo di una nazionale che, a cavallo degli anni 80, è stata foriera di talenti ma soprattutto di idee calcistiche.

Una squadra che grazie ad interpreti come Lato, Deyna e Boniek ha introdotto concetti ai più sconosciuti come il coinvolgimento degli attaccanti nella fase di “legatura” del gioco (in onore alla scuola dell’est europeo) o come l’utilizzo sistematico del controllo orientato per saltare l’uomo contestualmente alla fase di ricezione della palla.

Un calcio, quello di tradizione polacca, in cui non è raro imbattersi in protagonisti abili a giocare con ambo i piedi, tornato in auge negli ultimi anni grazie ad un gruppo di giocatori capaci di far parlare di sé soprattutto per le loro prestazioni nella serie A (sono ben 11 i polacchi in rosa che militano in club italiani) a cui dev’essere aggiunta la classe cristallina di Robert Lewandowski.

I maligni potranno obiettare che giocare in Italia, e nella maggior parte dei casi in squadre di bassa-media levatura, non possa esser considerato un biglietto da visita spendibile agli occhi del mondo. In effetti appassionati e opinionisti sembrano scontare un briciolo di sopravvalutazione in favore della squadra polacca, incapace nelle gare del girone di distinguersi per proposta di calcio, ed approdata alla seconda fase più per una serie di coincidenze che per il risultato di una convincente proposta calcistica.

Deschamps, decide di schierare Koundè come laterale destro nella difesa a 4, in ossequio ad un sistema asimmetrico che prevede l’innalzamento del suo pari ruolo Hernandez sulla fascia sinistra per permettere a Mbappè, di muoversi verso il centro nelle situazioni di presidio degli spazi a difesa schierata.  La squadra, per effetto di questo sincronismo,  tende a ruotare in senso orario con la linea arretrata che prevede un esterno molto più “alto” rispetto all’altro che, giocoforza, stringe verso il centro ogni qualvolta i due centrali si spostano verso sinistra.

Un meccanismo che trova la sua congiuntura con il movimento del pallone grazie a Griezmann il quale, spalle al porta, uncina la palla con il sinistro dalla zona di centro destra della trequarti avversaria, disegnando una traiettoria arcuata alla ricerca di uno dei due compagni occupanti la zona sinistra del campo.

Ammirevole l’atteggiamento dell’attaccante dell’Atletico, passato da essere l’assoluto protagonista dell’Europeo 2016 al ruolo di “gregario di lusso” in seno ad una squadra che, al netto di infortuni, può schierare all’attacco fenomeni del calibro di Benzema e Mbappe.

Per il resto, la Francia scende in campo con la sicurezza di chi sa di poter contare su più di un piano partita, a prescindere dalla circostanza secondo cui si trovi ad attaccare la difesa schierata con il sistema testé descritto oppure  lo spazio, lanciando Mbappè verso la porta. Quanto alle soluzioni su palla inattiva, è forse la squadra con più opzioni e l’esito di alcune gare del mondiale 2018 è ancora lì a ricordarcelo.

Si è scritto  molto sulle cinque assenze (Kante, Pogba, Benzema, Kimpembe, Hernandez) che hanno colpito i transalpini nell’avvicinamento alla coppa del mondo, sottolineando l’abbondanza di una rosa tale da non farle pesare sul campo.

In realtà, gli interpreti del mondiale in Qatar rendono la compagine d’oltralpe diversa da quella  laureatasi campione del mondo in Russia.

Le posizioni in mezzo al campo, ad esempio, sono meno definite. Dalla presenza di tre centrocampisti come Pogba, Matuidi e Kante, con gli ultimi due piuttosto stabili nel loro posizionarsi, si è passati ad un centrocampo a due al fine di consentire la contemporanea presenza di quattro giocatori offensivi. Uno dei due centrocampisti, lo juventino Rabiot, pare limitato nelle situazioni di attacco a difesa schierata, che si verificano ogni qualvolta la Francia presidia gli spazi alla ricerca della combinazione o della giocata. Lo stesso Rabiot, tuttavia, riesce ad essere particolarmente incisivo nella situazioni a campo lungo per la capacità di ribaltare l’azione, di allargarsi e, all’occorrenza, di attaccare l’aria di rigore.

Il compito più complesso, al momento, pare quello del suo compagno di reparto Tchouameni, impegnato a dover guardare alla propria destra dove la distanza tra Dembele e Koundè di tanto in tanto si dilata, concedendo agli avversari lo spazio per l’uscita palla.

Ammirevole, dicevamo, lo sforzo di Griezmann nel recuperare la posizione in fase di non possesso palla e fungere, se del caso, da terzo centrocampista. Il suo apporto in fase di interdizione, tuttavia, non sarà mai paragonabile a quello fornito dai centrocampisti di quattro anni fa.

La Polonia dal canto suo, si propone con una linea difensiva a quattro, non particolarmente avvezza alla costruzione del gioco, riparata dalla presenza di Krychowiak, arretrato rispetto alla linea dei quattro centrocampisti, demandando all’ispirazione di Zielinski e alle giocate dell’esterno destro Kaminski il compito di innestare un Lewandoski che, opinione di scrive, pare incamminato sul viale del tramonto.


I primi dieci minuti di gara paiono dar torto alla disposizione polacca.

I calciatori appaiono preoccupati di correre all’indietro e l’unico attaccante, per quanto di valore, rimane abbandonato in una zona del campo in cui non vede l’ombra nel pallone.

Dal decimo in poi, tuttavia, le cose cambiano.

I polacchi, piano piano e lungi dall’essere arrembanti, si mostrano più ordinati in seno ad un sistema, quando la palla ce l’hanno gli avversari, che permette loro di rimanere compatti su ritmi bassi e predefiniti. Passano i minuti e, nella fase centrale della prima frazione, appaiono più presenti sul campo, riuscendo quantomeno a combinare se non, di tanto in tanto, a palleggiare.

Finalmente il mondiale della Polonia pare iniziare ad avere un significato, con i suoi giocatori che cominciano a prendere fiducia. Lewandowski è più inserito nella manovra e la squadra si muove come blocco unico, riducendo le distanze tra le linee e costringendo i centrocampisti francesi a scalare e a correre, anch’essi,  all’indietro. Le coperture preventive sembrano funzionare anche se Krychowiak rimane estraneo dal gioco per via di una scelta assolutamente conservativa.

La Francia pare perdere qualche distanza. Nello spazio della propria fascia destra, formatosi dietro a Dembele e davanti a Koundè, la Polonia sembra poter mettere radici.

Una clamorosa occasione divorata da Giroud al 29′ non sposta l’inerzia che la gara pare aver preso e, proprio dalla fascia sinistra, la Polonia, grazie ad una pregevole giocata del sampdoriano Bereszynski, costruisce l’azione su cui il proprio mondiale potrebbe svoltare, portando alla battuta da ottima posizione Zielinski. L’interno napoletano centra in pieno il corpo del portiere Lloris. La realizzazione, che in presa diretta pareva cosa fatta, ad una visione più attenta appare meno scontata considerata la presenza di due difendenti ai lati del portiere. Ciò non può, tuttavia, lenire il rammarico per un’occasione che non si ripresenterà nel proseguimento della gara.

Scampato il pericolo, la Francia pensa a far rientro negli spogliatoi per organizzare la ripresa quando, come spesso accade, a goal mancato segue goal incassato.

La Polonia non viene meno a questa regola non scritta del pallone.

L’azione del goal dei blues merita un plauso.

E’ un’azione frutto dell’asimmetria sistematica con cui la squadra si muove sul terreno di gioco.

Apprezzabile la giocata di Mbappe che, nell’occasione, trova Giroud a centro area pronto a battere a rete. Da notare la posizione di Hernandez che, in ottemperanza al movimento a rotazione oraria della squadra che lo porta a sovrapporsi, si trova affiancato a quest’ultimo nel momento in cui l’attaccante del Psg riceve palla in posizione accentrata.

Il secondo tempo si gioca sopra un canovaccio già scritto. Il risultato del match non sarà mai in discussione. I Francesi gestiscono la gara esattamente come vogliono, senza rischiare nulla dal punto di vista difensivo. Nemmeno l’innesto, tra gli altri, di Milik sposta le cose.
Mbappe, dopo aver fallito un paio di controlli per lui elementari, delizia il pubblico con due goal “alla Mbappe”e Lewandowski su rigore (ripetuto) fissa il risultato sul 3-1 finale.

La Francia, pur non incantando per novanta minuti, esterna una superiorità naturale.

E’ oramai assodato che, oltre che per i goal sempre importanti, Giroud permetta a Mbappe un’espressione sotto porta migliore rispetto a quando deve dividere la platea con Benzema.
Dembele risulta poco nel vivo nella manovra ma, per i motivi suesposti, è naturale che il gioco si sviluppi prevalentemente sulla fascia opposta.

A differenza di molte nazionali campioni del mondo che falliscono nell’edizione successiva, anche per gratitudine verso gli eroi del quadriennio precedente, quella francese appare più “centrata” e, soprattutto, pare aver scontato “l’effetto campioni del mondo” con le delusioni dell’Europeo e della Nations League. Non stiamo disegnando una squadra perfetta ma la sensazione è che quella transalpina sia una compagine che tende ad innalzare il livello a seconda della forza dell’avversario che si trova davanti.

Sino ad oggi, per i galletti, è stata poco più che normale amministrazione.

Il pacchetto arretrato, pur non particolarmente sollecitato nelle prime gare, sembra affidabile come quattro anni fa, guidato da un Varane che, sarà per il passato in blanco, tende a ricordare Hierro per leadership e per quanto sembra regale.

Il punto interrogativo lo possiamo apporre in mezzo al campo. Ad oggi non è dato sapere se la composizione di centrocampo scelta dal Commissario Tecnico  possa competere per qualità, letture, dinamismo, geometrie e recupero palla con altre squadre. Certo è che se i due centrocampisti dovessero faticare, poco ci metterà Dider Deschamps ad inserire un collega di reparto che nel gusto e nell’auspicio di chi scrive verrebbe naturale individuare in Guendhozi.

Quest’ultimo, seppur spostato nelle ultime settimane dal proprio tecnico Tudor a ridosso della punta, pare destinato al definitivo salto di qualità in virtù di una modernità nell’interpretare il ruolo che mostra nelle letture, nel vedere prima gli spazi  e nell’associare tecnica e fisicità.

La Polonia esce dal torneo migliorando i risultati delle ultime apparizioni mondiali che l’han vista uscire al primo turno ma l’impressione che lascia è di una squadra che non si sia espressa per i valori che possiede.

Il calcio polacco, limitato ad alti livelli per club, deve investire sulla nazionale.
Per farlo potrebbe essere necessario individuare una guida tecnica diversa, eventualmente anche fuori dai confini polacchi, che riesca ad amalgamare i calciatori, prima come gruppo e poi come squadra, e che abbia il coraggio di atteggiarsi in maniera propositiva ed esteticamente gradevole.


Il boom del volley in Polonia degli ultimi anni si è eretto anche sulla presenza di tecnici provenienti da altri paesi.

La Polonia ha le strutture, dispone di un discreto (anche se non eccelso) parco calciatori e ha una storia calcisticamente di prim’ordine. Pensare che il tassello mancante sia la guida tecnica potrebbe non rappresentare un’eresia.

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