IN ATTESA DI PAESI BASSI – ARGENTINA – 2^ PARTE

Si chiama Luis Cesar Menotti, diverrà una figura carismatica ma soprattutto una guida di un calcio più spregiudicato in cui il libero (Passarella) si trova spesso ad agire da regista di centrocampo e in cui un centrocampista (Ardiles) prova ad emulare l’ammaliante modo di giocare box to box con cui Neeskens nel 1974 aveva distrutto il centrocampo argentino, inserendosi nel percorso del centrocampista polivalente, abile nell’inserimento, ancora in divenire ai giorni nostri.

Luis Cesar Menotti, CT dell’Argentina che guido’ alla vittoria del mondiale nel 1978

Ironia della sorte vuole che gli argentini vinceranno il mondiale del 1978 battendo in finale la nazionale che aveva impresso loro la svolta, che gli aveva indotti, tanta era stata la vergogna, ad uscire al di fuori dei confini del vecchio “metodo” . Tra i precedenti delle due nazionali, quello del 1978 è in assoluto il più ricordato. Per la posta in palio, questo è certo, ma anche per l’asprezza di una sfida che, sul risultato di 1-1 ad un minuto dalla fine, vide i sogni degli olandesi infrangersi su un palo prima che i tempi supplementari e un arbitraggio “casalingo” li condannassero.

Da lì in poi i destini delle due si incroceranno ai campionati del mondo per altre tre volte. In totale saranno cinque le sfide mondiali con gli olandesi che, stando ai novanta minuti regolamentari, non ne perderanno nemmeno una.

Detto di Michels e di Menotti, dovendo scegliere altri due tecnici per parte da porre sul podio per l’importanza di cui rivestono nel loro paese, la scelta appare scontata.

Sul podio della Seleccion, insieme a Menotti, hanno accesso Carlos Bilardo e Marcelo Bielsa. Bilardo fa pesare il proprio credito con i titoli; primo all’edizione di Messico ’86 e sconfitto in finale a Roma nel 1990 tra le polemiche. Ha allenato l’Argentina in un’epoca piuttosto parca di talenti per le abitudini locali. In quest’epoca, tuttavia, ha potuto contare sul “dies” per eccellenza.  A lui ha affidato le chiavi della squadra. A lui si è dato, più ancora che affidato, ma non è mai venuto meno ad alcune prerogative comportamentali e di gestione del gruppo. Il suo è stato un lavoro più di testa che di campo, durato ben sette anni (un record da quelle parti). Allenare l’Argentina per lui ha rappresentato soprattutto allenare i propri uomini.

Il CT argentino Carlos Bilardo con Maradona, campioni del mondo nel 1986

Marcelo Bielsa rappresenta l’esatto contrario. Un’enciclopedia vivente del calcio (inteso come conoscenza del gioco) alle cui nozioni vanno aggiunte una capacità persuasiva senza limiti e un’attitudine all’essere visionario che coinvolge chiunque abbia modo di frequentarlo. Preferisce gli ambienti di tradizione “meno agiata” in cui la passione si respira per strada. Al contrario di Bilardo, esterna concetti di cultura calcistica illimitata e ama i calciatori con ampia disponibilità cognitiva. Non vuole, tuttavia, che diventino degli automi in campo.

Li vuole migliorare in seno alla squadra. Non li vuole addestrare, li vuole preparare.

Le sue squadre sono un trattato per adepti ma appena intravede un intento speculativo, ovvero un atteggiamento disposto a sacrificare determinati principi in cambio di un potenziale vantaggio, toglie il disturbo.

A differenza di Bilardo non ha alzato la coppa. Anzi, nell’unico mondiale a cui ha partecipato è uscito al primo turno. La gratitudine del suo popolo per lo spettacolo mostrato negli anni precedenti, tuttavia, lo ha fatto rimanere in sella sino al trionfo olimpico di Atene 2004.

E’ probabilmente il più olandese tra gli allenatori sudamericani. Rappresenta una delle figure più iconiche tra i tecnici in attività e Guardiola (ma non solo lui) non perde occasione di celebrarlo.

Il tecnico Marcelo Bielsa soprannominato “El Loco”, CT dell’argentina dal 1999 al 2004

Quanto al podio olandese, insieme a Michels ci salgono Johan Cruijff e Louis Van Gaal.

Il primo, pur non avendo allenato la nazionale olandese, è la figura calcistica che più ha influenzato il calcio in Europa. Da calciatore, per essere stato il profeta sul campo delle idee rivoluzionarie di quel tempo. E da allenatore per averne disegnato i confini della naturale evoluzione. L’ego smisurato gli ha permesso di prendersi delle licenze che altri nemmeno avrebbero immaginato, andando ad innestare concetti di pura fantasia calcistica in seno alla razionale struttura olandese.

Il tecnico Johan Cruijff

All’eleganza, alla sincronia e alla fluidità del calcio ereditato da Michels ha aggiunto elementi di football latino, senza mai opprimere le caratteristiche dei singoli. Ha sempre migliorato i giocatori che ha allenato. Se all’Ajax la sua esperienza era in continuazione con il passato del club, a Barcellona ne ha preso le redini, dando impulso ad un processo di evoluzione calcistica seguito nel tempo da Van Gaal, Rijkaard e Guardiola. Se per un ventennio si è parlato di modello Barcellona, in ossequio ai meriti di un club che i top player li formava  nella propria cantera, gran parte del merito lo si deve a lui. Alla complessità degli elementi del calcio ha aggiunto l’aspetto intuitivo da intendersi non come libero arbitrio ma come attitudine a comprendere sul campo quale debba essere la soluzione da adottare.

Quanto a personalità e carisma, l’unico in Olanda a poter competere con Cruijff è Aloysius Paulus Maria Van Gaal, ai più conosciuto come Louis. Il nome stesso richiama un livello di tracotanza piuttosto elevato che, in effetti, ne caratterizza i modi non sempre simpatici.

Van Gaal attuale CT dell’Olanda

Definirlo un allenatore è probabilmente riduttivo. Ama stare in prima linea e detesta la trincea. A differenza di Cruijff difetta di empatia con i calciatori latini, a suo dire troppo legati al ruolo e poco inclini al cambiamento, ma è l’unico tecnico della storia ad avere determinato in quattro decenni diversi.

Nonostante un palmares incredibile, non gli fate un favore se gli citate la  lunga sequenza di trionfi in carriera. Quello che per lui conta  è ciò che lascia in eredità alle squadre e ai giocatori che allena. Chi  arriva dopo di lui storicamente ha le porte spalancate verso la vittoria e, nonostante i modi all’apparenza ruvidi, è un vero maestro per i più giovani. Da Xavi ad Iniesta, da Klujvert a Thomas Muller, da Puyol a Seedorf passando per Davids e Overmars, molti dei giocatori da lui lanciati in età adolescenziale si sono rivelati autentici campioni. Chiunque voglia applicare concetti propri del cosidetto gioco posizionale deve a Van Gaal la registrazione del brevetto.

Sarà lui a guidare l’Olanda nel quarto di finale contro l’Argentina. Lui che otto anni fa, in semifinale, è riuscito a fermare Messi e compagni per poi soccombere ai rigori nella rivincita della finale del 1978 dall’esito ancora una volta amaro per i tulipani.

Nel mezzo, una splendida sfida nei quarti di finale di Francia 1998, giocata al Velodrome di Marsiglia, e vinta dagli olandesi grazie a due perle di Klujvert e Bergkamp, che rappresenta probabilmente il match di livello calcistico più elevato tra quelli giocati ai campionati del mondo da queste due nazionali. 

Poco da segnalare, viceversa, in merito alla sfida del 2006 che vide le due compagini affrontarsi nel girone a qualificazione già ottenuta.

Immaginare lo sviluppo di una partita di calcio è esercizio quasi impossibile considerate le variabili che influiscono nello svolgimento del gioco.

Possiamo però delineare alcuni aspetti che caratterizzeranno, almeno in partenza, la sfida del 9 dicembre.

L’Argentina, “condizionata” dalla presenza di Messi, si schiererà con un sistema di gioco asimmetrico in fase offensiva. Se recuperato, Di Maria stazionerà sulla fascia destra ma la presenza e i movimenti del sette volte pallone d’oro costringeranno  Alvarez a muoversi a pendolo tra l’out di sinistra e il centro dell’attacco. Non esageriamo se riteniamo che il mondiale della Seleccion abbia svoltato con l’inserimento dell’ex attaccante del River Plate il quale, probabilmente avvantaggiato dal giocare nel City di Guardiola, meglio si sta adattando a movimenti funzionali in un sistema che prevede scambi di posizione continui e abilità nella scelta dell’opzione di volta in volta appropriata.

Sistema perfettamente simmetrico, sulla carta, per l’Olanda. Chi pensa che la scelta della difesa a tre rappresenti un’involuzione del tecnico degli olandesi è completamente fuori strada.

Van Gaal vuole giocatori capaci di costruire da dietro e che partecipino all’azione. Per questo Akè e Timber paiono aver superato nelle gerarchie De Ligt che, comunque, non ci sorprenderebbe vedere in campo contro gli argentini. Il difensore di centro destra di piede destro e il difensore di centro sinistra di piede sinistro sono funzionali all’uscita palla, che deve avvenire con il piede forte in modo tale da non perdere tempi di gioco, sia che la si scarichi sull’interno di centrocampo che sull’esterno a tutta fascia.

Quanto alla fase offensiva, se confermato il sistema con i due trequarti dietro a Depay, lo scopo sarà quello di formare una sorta di quadrilatero avente come vertici  i due centrocampisti centrali e i due trequartisti. In tal modo si dovrebbe manifestare una superiorità numerica tale da permettere il palleggio e un presidio degli spazi da cui uno dei trequartisti (Gapko) si dovrebbe “staccare” per andare a rifinire l’azione.

Accantonata, si spera solo momentaneamente, l’epoca degli esterni che, ricevendo palla sui piedi, puntavano l’uomo, la nazionale dei Paesi Bassi cercherà di allargare il campo andando in profondità sull’out di destra per chiudere l’azione con il pari ruolo sinistro in un contesto che, orfano di giocatori della fantasia di Overmars  Zenden e Sneijder, e privato negli ultimi anni della velocità e della classe di Robben, ha indotto il CT a modificarne la disposizione sul campo.

 
In tutto ciò, l’Olanda dovrà porre attenzione a muoversi in avanti come blocco unico, evitando di dilatare la distanza tra reparti onde evitare che, sulla propria trequarti, Messi si trovi in posizione frontale alla porta.

Tutto questo sulla carta. Il Giudice, come sempre, sarà il campo.

A prescindere da come andrà, bello sarà pensare che il dieci ed il quattordici guarderanno i loro eredi sul prato verde pensando a quello che hanno dato alle loro rispettive nazionali, diventate leggendarie anche per essere state l’Argentina di Maradona e l’Olanda di Cruijff.

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