LA QUALITÀ NEL CALCIO: NON SOLO TECNICA – PARTE 1.

Sempre più utilizzato, nel dibattito sportivo e calcistico, il concetto di “qualità” è divenuto un parametro apicale nelle discussioni protese ad individuare le virtù dei calciatori e delle squadre.

E’ esercizio frequente, di questi tempi, ascoltare o leggere la locuzione “giocatore di qualità” per sottolineare l’attitudine a “fare la differenza” o a caratterizzare in positivo le performance della propria compagine. Evidente come, nella fattispecie, il termine venga utilizzato nell’accezione di “buona o positiva qualità” in ossequio ad un gergo calcistico che, non di rado, modifica il significato dei vocaboli all’interno del proprio contesto.

Nel corso degli anni, il giocatore di qualità è stato contrapposto nella dialettica al giocatore di quantità con l’effetto di descrivere, nel primo caso, il calciatore di tecnica, di fantasia o comunque in grado di incanalare il risultato di una gara con le proprie giocate e, nel secondo, l’elemento di “fatica” o comunque meno dotato dal punto di vista tecnico, talvolta ricondotto al ruolo di gregario.

Con questa dicotomia, la narrazione calcistica ha convissuto, nel nostro Paese, sino alla metà degli anni ottanta.

Successivamente, in concomitanza al percorso calcistico sviluppatosi a seguito delle idee introdotte da Arrigo Sacchi e da altri tecnici, detta contrapposizione è venuta scemando, considerato come anche nel contesto nostrano siano emersi concetti (come ad esempio “la doppia fase”) tali da ricondurre i singoli calciatori a compiti non strettamente settoriali.

Come si è già avuto modo di argomentare, riteniamo infondata la teoria secondo cui il calcio di Sacchi avrebbe ridotto, se non abortito, le qualità tecniche, la fantasia ed il talento. Non finiremo mai di citare, al tal proposito, la prima edizione del Milan sacchiano che esaltò ai massimi livelli il talento di Roberto Donadoni.

E’ certo, tuttavia, che le stagioni a cavallo del 1990 abbiano visto diminuire la presenza delle mezze ali classiche di rifinitura e dei trequartisti abituati ad agire dietro le due punte, sacrificati sull’altare dell’organizzazione e del pressing che convivevano nel migliore dei modi all’interno del sistema di gioco 1-4-4-2.

La ricerca di un modello di squadra sempre più organizzata, sempre più corta e sempre più attenta alla copertura degli spazi, in un’epoca in cui le regole in materia di off-side risultavano particolarmente restrittive, avrebbe prodotto negli anni a venire una sorta di annullamento reciproco tra le squadre in campo.

Un livellamento tattico, quello rivelatosi a metà degli anni 90, che alimentò quasi naturalmente la ricerca di elementi innovativi capaci di rompere la schematicità.

Il quadriennio che parte dalla conclusione dell’europeo 1996 e si conclude con l’edizione del 2000, facendo tappa in Francia per il campionato del mondo 1998 (ovvero una delle edizioni più spettacolari della storia) sarà quello della “rimodulazione”.

Pur mantenendo in essere i concetti introdotti dieci anni prima, che rimarranno principi indissolubili del pensiero calcistico dominante, si cercherà, spesso con risultati lusinghieri, di reinserire una dose di fantasia e di tecnica all’interno delle squadre.


Ciò comporterà la riadozione del controcampo a tre ed, in taluni casi, del tridente offensivo.

Sino al successivo passaggio che porterà allo sbocciare del sistema di gioco 1-4-2-3-1. Sistema che vivrà il momento di massimo fulgore in occasione del campionato d’Europa del 2000 quando più di una nazionale ne farà ricorso allo scopo di schierare il maggior numero di giocatori di talento.

Da quel momento termini quali “giocatore di fantasia”, “giocatore estroso”, “giocatore tecnico” verranno utilizzati con più parsimonia, lasciando il posto alla locuzione “giocatore di qualità”.

Espressione, quest’ultima, tuttora in vigore anche se non sempre utilizzata in maniera coerente.

Non è inusuale, infatti, imbattersi in discussioni nelle quali il termine qualità viene associato quasi esclusivamente alle capacità tecnico-balistiche di un calciatore.

Nel campionario dei luoghi comuni l’affermazione secondo cui “la differenza la fanno i giocatori di qualità” rappresenta uno degli slogan maggiormente in voga; ma cosa si intende per qualità? E, soprattutto, quali sono gli aspetti che caratterizzano la qualità nel calcio?

Il più delle volte, come anticipato, l’appellativo qualitativo viene riservato ai calciatori dotati tecnicamente. A scanso di equivoci, non si vuole in questa sede negare che la tecnica rappresenti uno degli aspetti che contraddistinguono in positivo un calciatore. Deve esser chiaro, tuttavia, come nel football di ultima generazione non sia sufficiente un elevato tasso tecnico per essere definiti o, meglio ancora ritenuti, giocatori di qualità.

Ad avviso di chi scrive ogni peculiarità, ogni connotato, ogni requisito proprio di un atleta praticante uno sport di squadra deve, per essere ritenuto di buona qualità, interagire al meglio con la collettività del gruppo che, a sua volta, è tenuto a prestare attenzione ai principi che caratterizzano la disciplina di cui si dibatte.

E’ opinione diffusa e condivisibile che i principi base del gioco del calcio vadano individuati primariamente in due elementi:  IL TEMPO e lo SPAZIO. Per risultare tale la “qualità”, tanto dei singoli che della squadra, dovrà interagire con detti principi, oltre che con tutti i sottoprincipi ad essi correlati.

 Il che significa che anche il giocatore tecnicamente più dotato, se poco propenso (per indole o per eccesso di egoismo) a rapportarsi con i tempi di gioco e gli spazi che si creano sul campo, può risultare poco efficace.

Perché possa portare dei vantaggi la tecnica, sin dai settori giovanili, non può prescindere dall’inserimento in un processo di formazione (ed apprendimento) del quale sarà parte accelerante solo se resa complementare ad altri aspetti risolutivi.

L’adagio secondo cui nei settori giovanili “si deve tornare ad insegnare la tecnica” non può che essere condiviso in questi termini, nella prospettiva di formazione dei giovani calciatori e delle giovani calciatrici.

La vera sfida per chi ha il compito di formare i calciatori del domani è quella di proporre un percorso che permetta di assumere le conoscenze del gioco e la capacità di comprendere le dinamiche spazio-temporali in seno ad un procedimento conoscitivo, di volta in volta rimodulabile… (Parte 2)

Filippo Galli e Alessio Rui

10 risposte

  1. Il Talento non è tutto. E il tatuaggio di Mudryk, il nuovo “talento” della campagna acquisti dei Blues. Quanti Talenti tecnici si sono persi negli anni?tanti. Un esempio Giovanni Do Santos,talento del Barcellona paragonato a Ronaldinho, oppure Mastour anche lui perso . La tecnica de non aggiunta alle qualità Emotive,Ed intellettive , e fine a se stessa . L’intelligenza di capire spazio e tempo di giocata , di inserimento, di quando andare oppure non andare , e Talento . Bisogna osservare in Tondo il giovane calciatore per poi dargli l’etichetta di Talentuoso. E poi lo stesso Talento , va anche messo in mostra ed aiutato da chi allena oppure gestisce il talento , molti giocatori Rendono in alcuni contesti ed in altri no (Spalletti ha Rigenerato Lobotka ad esempio ) . Il talento e tutto ciò che permette ad una persona di spiccare , ma senza altre componenti non è utile più di tanto .

    1. Ciao Vincenzo grazie per il tuo contributo. L’articolo e’ stato suddiviso in tre parti per cui, probabilmente troverai risposte e/o conferme rispetto ad alcune tue affermazioni, in caso contrario, proveremo a dartene successivamente.Intanto diciamo che per noi non vale l’equazione talento = qualita’. A presto.

  2. Concetti molto interessanti e molto attuali.
    penso che la qualità (intesa come grande abilità tecnica individuale) è fine a se stessa e non porta a nulla se non inserita correttamente in un contesto collettivo. E qui credo si possa tornare al concetto spazio-tempo, cioè saper gestire e giocare il pallone nello spazio libero (se si è pressati) o condurlo se si ha campo …
    tenere troppo un pallone, forti delle proprie qualità tecniche quando magari potresti effettuare un passaggio filtrante è cosa sbagliata secondo me (e nelle giovanili spesso si vede)… cosi come, invece, bisognerebbe desistere nel liberarsi subito del pallone se non si crea la giusta condizione (sempre con rapidità di pensiero e con reattività)

  3. Il Milan di Ancelotti senza Maldini, Nesta e Gattuso non avrebbe mai potuto esistere… aggiungo però che i primi due sono anche l’esempio dello stile e della classe sia con che senza palla. Intelligenza calcistica allo stato puro in qualsiasi situazione. Poi ringhio un animale da combattimento con i tempi di gioco in fase di recupero che non ho più visto. Sono esempi di come pirlo,kaka, seedorf ecc siano stati fondamentali, ma quei tre erano imprescindibili. Tutto parte dalla testa e dal risolvere il più velocemente possibile la situazione in cui un giocatore si trova di fronte. Dico, e non è una critica ma un dato di fatto, che se allenati bene anche tecnicamente, sarà sicuramente più facile affrontare situazioni di gioco. Resto dell’idea che la tecnica debba prevalere, allenando con situazioni di gioco attive.
    Grazie dello spazio concesso e delle discussioni del blocco, sempre interessanti e di confronto.

  4. Non credo che ci sia stato un simposio di tecnici nel quale si sono chiariti i significati dei termini usati nel calcio.
    Ma non ho difficoltà ad accettare che “E’ opinione diffusa e condivisibile che i principi base del gioco del calcio vadano individuati primariamente in due elementi: IL TEMPO e lo SPAZIO. Per risultare tale la “qualità”, tanto dei singoli che della squadra, dovrà interagire con detti principi, oltre che con tutti i sottoprincipi ad essi correlati.”

    Quindi, ritengo che la qualità non può essere correlata solo al “campione” che fa la differenza alta. Ma la qualità è la capacità di ogni singolo calciatore, nell’ambito del modulo adottato, di fare bene il proprio “lavoro”, nell’ambito del spazio a lui assegnato e nei tempi giusti.

    Chiaramente la gradevolezza e l’abitabilità di un palazzo la danno l’architetto e l’ingegnere, come spazi esterni e interni. Ma sono, poi, le maestranze a costruire il palazzo, non certo l’ingegnere e men che mai l’architetto. Quindi, ritengo che il concetto di qualità debba essere inquadrato nella “capacità di fare le cose giuste, al momento giusto e nel modo giusto”.
    Quindi, non solo Rivera, Riva, Mazzola, Baggio o Corso per andare agli anni remoti. Ma anche i Lodetti, i Benetti, i Cera, i Domenghini davano qualità, nell’essere funzionali, nella scelta dei tempi, nell’ambito degli spazi loro assegnati, al gioco complessivo della squadra.

    Poi, va da sè, che la qualità come somma di tecnica, invenzione e discernimento, vada misurata anche in funzione delle categorie e campionati in cui si gioca.
    Per i motivi anzidetti, condivido le vostre conclusioni “L’adagio secondo cui nei settori giovanili “si deve tornare ad insegnare la tecnica” non può che essere condiviso in questi termini, nella prospettiva di formazione dei giovani calciatori e delle giovani calciatrici.

    La vera sfida per chi ha il compito di formare i calciatori del domani è quella di proporre un percorso che permetta di assumere le conoscenze del gioco e la capacità di comprendere le dinamiche spazio-temporali in seno ad un procedimento conoscitivo, di volta in volta rimodulabile…”.

  5. Nel Barcellona di Pep con Messi, Xavi e Iniesta, che adoro, il giocatore che mi ha sempre fatto impazzire e che spesso porto ad esempio ai miei ragazzi è stato Carles Puyol, un mito per carattere, atteggiamento e valori, dal mio punto di vista, un giocatore di GRANDE qualità.

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