“IL NUMERO 10”: LA POESIA DEL CALCIO IN ITALIA, EUROPA, SUDAMERICA E…4^ PARTE.

Prima di presentare il quarto dei cinque articoli dedicati al “NUMERO 10”, ci preme fare una doverosa premessa : Siamo convinti che, pur rispettando le opinioni differenti, chi ha portato nel calcio un’organizzazione di squadra e abbia chiesto ai nostri “numero 10” una totale dedizione, non l’abbia fatto per ridurne l’apporto al mero compitino ma, al contrario, per riuscire ad esaltarne le prestazioni all’interno di un pensiero calcistico in cui la collaborazione reciproca esalta le qualita’ e la performance di ciascun giocatore.

Detto questo proseguiamo nel racconto…

Sul finire degli anni 80 l’Europa calcistica si inchina ad una macchina da calcio del tutto innovativa per i canoni italiani, il Milan allenato da Arrigo Sacchi.

I rossoneri si impongono per due anni di fila nella Coppa dei Campioni ma, più ancora delle vittorie, è il modo con cui ricercano il dominio del gioco (più nella prima che nella seconda, per la verità) che tende a stregare gli appassionati.

La rivoluzione culturale rossonera troverà seguaci in patria ed anche fuori confine. Il collettivo, l’organizzazione, il pressing, i sincronismi, l’occupazione degli spazi sono solo alcuni dei principi caratterizzanti la squadra pensata dal Presidente Berlusconi e plasmata da Sacchi in seno alla quale  il giocatore di tecnica e di classe, per determinare, deve inserirsi in un determinato collettivo.

Non vi è ostracismo nei confronti degli artisti purché abbiano consapevolezza che il bene comune è quello da perseguire e che, dimostrandosi generosi verso i compagni, godranno, grazie al lavoro di questi, di un maggior numero di chances di mettersi in mostra. A Donadoni, come più volte ribadito, la cosa riesce benissimo. Soprattutto nel primo anno quando, prima dell’avvento di Rijkaard, viene schierato da centrocampista avanzato con licenza (rectius, compito) di svariare su tutto il fronte offensivo. 

ROBERTO DONADONI

Ma il 10?

A chi spetta la maglia più prestigiosa in una delle squadre più rivoluzionarie della storia?

Spetta ad un giocatore “nuovo” per i canoni del tempo. Un mix di duttilità, atletismo, esuberanza, con un spiccato senso per il gioco offensivo.

Olandese, originario del Suriname, Ruud Gullit rappresenta il giocatore più innovativo mai comparso nel nostro calcio. Interpreta il ruolo di attaccante in chiave moderna. Nonostante il baricentro alto, riesce a controllare la palla nelle situazioni più disparate.

RUUD GULLIT

Qualunque sia la posizione occupata sul campo, la palla tende sempre a finire dove sta lui. Prima dell’approdo in Italia, è stato schierato in vari ruoli ed è grazie a queste esperienze che può vantare una naturalezza nel lancio anche su lunghe tratte. E’ perfetto, non solo per il gioco di Sacchi, ma, soprattutto, per il cambio di mentalità che quest’ultimo vuole apportare. Trascinatore con i compagni, devastante per gli avversari. Nel primo anno in Italia, con Van Basten fermo ai box, è lui a sparigliare le carte. Non si è mai visto un 10 che pressa gli avversari come lui. Nella ricerca dell’occupazione dello spazio, anche a difesa schierata, è fondamentale per fisicità e movimento. Quando, viceversa, può scatenarsi sulla lunga distanza le sue cavalcate ricordano un “cervo che esce da foresta” (copyright Boskov).

Uno dei rarissimi casi di giocatore che Sacchi schiera anche in condizioni fisiche menomate perché in grado di determinare con la sola presenza. La genesi della rivoluzione Berlusconiana coincide con il suo acquisto. Pallone d’oro 1987 e campione europeo 1988, sarà condizionato dagli infortuni. Memorabile, oltre a quelle in rossonero, una stagione alla Sampdoria durante la quale, innestato da Mancini, gonfia la rete a piacimento.

Il calcio degli anni 90 non è generoso con i trequartisti abituati ad agire dietro le punte. Il 10, si chiami Mancini, Baggio, Del Piero o Totti occupa una posizione da attaccante.

Solo i ritmi lenti del calcio dell’est consentono di dispensare pagine importanti ad elementi in via di estinzione.

 La sfacciataggine tecnica di Detari, la visione di gioco di Balakov e l’istrionico sinistro di Hagi incarnano i pochi casi di “Dieci Antico” a cui viene concesso di agire alle spalle di due attaccanti. L’ultimo del trio, peraltro, disegnerà parabole da visionario con la maglia della propria nazionale ma, approdato nei campionati più evoluti, per mantenere il posto nelle squadre di club si adatterà ad agire da seconda punta.

LAJOS DETARI
KRASIMIR BALAKOV
GHEORGHE HAGI

Anche per loro, tuttavia, la vita (da 10) si fa dura.

In Portogallo, dove calcio fa rima con possesso palla, si assiste ad una controtendenza.

Se Paolo Futre, funambolo mancino dal dribbling ubriacante, si è consacrato da attaccante, una generazione di giovani predestinati si sta affacciando al calcio che conta dopo aver fatto incetta di titoli internazionali per rappresentative nazionali giovanili.

PAOLO FUTRE

Sotto la guida del giovane Carlos Queiroz, la tecnica viene posta al centro di un progetto basato sulla contemporanea presenza di diversi giocatori di classe. Il sistema, che ha impreziosito il palmares del calcio giovanile lusitano, viene riproposto in nazionale maggiore con Figo e Joao Pinto schierati dietro la prima punta. Due giocatori sublimi, non vi è dubbio. Ma la maglia numero 10 non spetta a loro.

La 10 è proprietà privata di Manuel Cesar Rui Costa.

MANUEL RUI COSTA

Se uno dei segreti del successo risiede nel cogliere l’attimo, il nostro lo utilizza per mandare in goal i compagni. Il dribbling ad aggirare (più che saltare) l’avversario gli permette di aprirsi spazi verso l’orizzonte ove si muovono gli attaccanti. Non solo libera i compagni davanti alla porta ma li serve con il giro giusto, sempre all’unisono con il movimento del tiro.

Batistuta e Shevcenko scaraventano in rete i palloni che è solito servire senza necessità per loro di sistemarsi la sfera. Per tali pennellate d’autore non poteva che scegliere Firenze.

E’ un trequartista a tutto campo dall’intelligenza sopraffina. Nel momento in cui si allontanerà dall’Arno in direzione Milano, batterà ogni record di assist. Sarà lui il trequarti nel trionfo di Manchester e, quando il talento di Kakà travolgerà il calcio italiano, anziché lasciargli il posto si vedrà ritagliato un ruolo a fianco nell’iconico albero di Natale destinato alla conquista del tricolore. Chi non l’ha visto giocare non sa cosa si è perso.

Salutato Rui Costa, la maglia numero 10 a strisce rossonere non fa molta strada considerato come vada a posarsi sulle spalle del compagno di reparto Clarence Seedorf. Se le giocate di Rui Costa sapevano di violino, quelle dell’olandese ricordano i migliori suonatori di Jazz capaci di uscirsene con assoli da applauso.

CLARENCE SEEDORF

Appartiene al gruppo di calciatori, lanciati in età minorenne da Van Gaal, che poco dopo i vent’anni vantano già palmares da veterani. Uscito dal nido Ajax, si diverte al fianco di Karembeu nella Samp di Eriksson, per poi esplicare in coppia con Redondo un magistero tecnico durante due stagioni di trionfi madrileni.

Capitato inizialmente sull’altra sponda dei Navigli, vive rapporti conflittuali con gli allenatori prima di rimodularsi in rossonero. La parte conflittuale gli rimarrà addosso ma sarà compensata da una personalità di prim’ordine che farà sì che nel momento del bisogno si vada da lui.

Premesso come il calcio inglese tenda a rimanere estraneo al concetto del 10 di fantasia, (demandando al numero 8 di rappresentare il genio di Gascoigne e al 18 di accompagnare Scholes durante le sue scorribande)

PAUL GASCOIGNE
PAUL SCHOLES

e pagato il dovuto tributo a Gary Lineker e Michael Owen che, seppur con funzioni diverse, la maglia dei sogni l’hanno onorata alla grande, è doveroso omaggiare un campione il cui approdo in Inghilterra ha rappresentato l’origine della Premier di oggi, ossia il campionato con i giocatori più importanti, a metà tra una Superlega e una NBA del calcio.

Il primo club ad abbandonare del tutto i concetti anacronistici d’oltremanica è l’Arsenal di Arsene Wenger.

Il tecnico francese, che siederà sulla panchina dei Gunners per 22 stagioni, sarà il primo a “continentalizzare” il football inglese innestando concetti come il possesso palla, il fraseggio e il gioco tra le linee.

Nessuno in quegli anni è in grado di incarnare la fase offensiva di Wenger meglio di Dennis Bergkamp.

DENNIS BERGKAMP

Aspetto da modello e modi da nobile, è per movimenti e conoscenze il calciatore perfetto. I due anni di sfortunata esperienza italiana non gli hanno fatto dimenticare gli insegnamenti della scuola Ajax.

Ancora una volta ci troviamo ad omaggiare un dieci cresciuto da Van Gaal a riprova che l’organizzazione non limita il talento. Anzi, lo esalta. Interpreta il duplice ruolo di rifinitore-attaccante controllando con sapiente armonia i palloni spalle alla porta; a quel punto può girarsi su stesso o fare la sponda per il compagno. Se per altri fenomeni del pallone si tende ad utilizzare la parola “genio”, per descrivere Bergkamp è più appropriato servirsi del termine “pensatore”. La sua strabordante eleganza risulterebbe fine a se stessa se non fosse combinata ad un pensiero sempre un po’ più in là…

L’elenco degli orange che hanno conferito lustro alla 10, non può concludersi prima di aver  celebrato le gesta del trequarti moderno per eccellenza, Wesley Sneijder, ovvero l’anima tecnica del triplete nerazzurro.

WESLEY SNEIJDER

Se per molti altri artisti si è soliti usare la locuzione genio e sregolatezza, nel suo caso si palesa un mix di genio e “regolatezza”! Una macchina da assist specializzata nel servire la prima punta. Assapora, prima ancora che si materializzi, la “seconda palla” che ripulisce e trasforma in fonte continua di passaggi-goal.

I due podi mondiali raggiunti con la nazionale lo vedono protagonista con funzioni diverse. Nel (per lui magico) 2010 giunge alla finale risultando incontenibile sulla trequarti; quattro anni dopo, schierato da mezzala, esce in semifinale. In entrambe le edizioni senza perdere una gara nei tempi regolamentari.

Sprovvisto di passaporto olandese ma con abbondante dose di sangue calcistico arancione, Jari Litmanen è il successore di Bergkamp nell’Ajax.

JARI LITMANEN

Se il biondo predecessore, nonostante le lunghe leve, eccelleva nell’ammortizzare la palla e dispensare sublimi giocate di alta scuola, l’erede finlandese modifica le abitudini del gioco dei lancieri. Con lui in campo, è la prima punta (Klujvert-Kanu) a venir incontro per dialogare con i compagni mentre il 10 diviene un goleador atipico che sbuca da dietro grazie all’abilità nell’inserimento ed un controllo orientato in direzione della porta.

Anche se non abituati, nelle squadre di club, a scendere il campo con la maglia numero 10, vi sono esempi di poesia calcistica che non possono rimanere esclusi dalla rassegna degli artisti del calcio.

Ritornando al di là dell’oceano, il 10 trequartista “alla Riquelme” comincia a lasciar passo ad altre tipologie di fantasisti.

Come “El Mago” Fabian 0′ Neal, ad esempio. Uruguagio dal cognome irlandese e perfetto rappresentante dell’accoppiata genio e sgregolatezza.

FABIAN O’NEILL

Ad una visione di gioco da mezzala degli anni 70, addiziona un’innata capacità di inserimento che, correlata da sprazzi di classe cristallina, lo rende totalmente immarcabile nelle giornate migliori. Riporterà a Cagliari il gusto della giocata, già assaporato ai tempi di Francescoli, e farà sognare l’intera Sardegna che lascerà solo perché cercato, udite udite, dalla Juventus che, rapita dalla capacità di determinare in varie zona del campo, vede in lui l’alter ego di Zidane, con lo stesso ‘asso francese che lo definirà“il giocare più talentuoso che abbia mai visto”. Purtroppo, la fragilità caratteriale prenderà il sopravvento nei suoi confronti, privando gli appassionati tanto delle sue “genialate” al servizio dei compagni quanto dell’attitudine a  concludere l’azione.

Anche se non abituati, nelle squadre di club, a scendere il campo con la maglia numero 10, vi sono esempi di poesia calcistica che non possono rimanere esclusi dalla rassegna degli artisti del calcio.

Detto di Kakà e citato il giapponese Nakata quale maggior esponente del football asiatico

HIDETOSHI NAKATA

a cui intelligenza e duttilità hanno permesso di vivere stagioni da protagonista in quattro compagini di casa nostra, è doveroso menzionare un trio di argentini, tutti transitati da Palermo, che in maglia rosanera hanno occupato la posizione di “intermedio”, ovvero uno dei due trequarti dietro la punta nel sistema ad albero di Natale.

Se  Angelillo, Maschio e Sivori vennero soprannominati “gli angeli dalla faccia sporca”, nel caso de “El Flaco”, “El Mudo” e “la Joya” la faccia tende al pulito anche se, a guardar bene, si possono scorgere tratti distintivi della furbizia.

Con El Flaco, all’anagrafe Javier Pastore, si corre il rischio di scambiare una partita di calcio per una sfilata di moda. Il passo lungo ricorda Kakà ma l’ossessiva ricerca del filtrante ci riporta al suo connazionale Riquelme. Il proseguo della carriera non sarà sui livelli palermitani, schiacciato da responsabilità più pesanti di quelle che, in età ancora giovane, è in grado di sopportare. In Sicilia ricordano ancora la sua proverbiale falcata, a testa rigorosamente alta, senza guardare la palla che stazione tra i suoi piedi. Pastore sembra un antico cavaliere, dai modi nobili ma in grado di accendersi al momento giusto. Un punto di riferimento assoluto a cui la palla non la si porta via per nessun motivo al mondo. Delle sue doti tecniche, se ne accorgono tutti (d’altronde come potrebbero non notarlo?) ma sono le sue qualità atletiche a sorprendere. Dai test effettuati emerge un’elevatissima capacità di assorbire lo sforzo aerobico tant’è che al termine dei novanta minuti dà sempre la sensazione di freschezza e lucidità. Sarà una delle prime stelle del PSG nel momento in cui il club parigino comincerà la scalata ai vertici del calcio mondiale. Riuscire a collezionare trenta presenze in nazionale da contemporaneo di Messi non è cosa da tutti.

JAVIER PASTORE

Simile a Pastore per eleganza, Franco Vasquez detto “El Mudo” ha caratteristiche da mancino puro come quella, semplice a vedersi, di lasciare la palla scoperta e spostarla all’ultimo momento prima dell’intervento avversario oppure utilizzare il corpo per proteggerla, permettendogli di uscire da situazioni intricate proprio utilizzando corpo e tecnica

Detiene un’altissima percentuale di dribbling riusciti. Dribbling che tende ad eseguire dopo aver fatto abboccare l’avversario ad una o più finte. Il baricentro alto, caratteristica atipica per i funamboli abili nel saltare l’uomo, non solo non lo penalizza ma, addirittura, lo agevola considerato come il nostro possa contare su un totale controllo del corpo i cui movimenti risultano sempre coordinati.

Aggiungiamo il coraggio, quello tipico dei grandi giocatori. “El Mudo” non si nasconde mai anzi, pretende sempre il pallone anche nelle situazioni piu intricate e apparentemente pericolose.

Non sembra veloce Vasquez ma, contando su una visione di gioco “preventiva”, riesce sempre ad essere un tempo più in là. Maestro nel tracciare (rectius, disegnare) linee di passaggio per i compagni quasi sempre rasoterra, tende a freddare i portieri nascondendo le intenzioni di tiro sino all’ultimo. Se cercate una giocata di Vasquez che non sia elegante, lasciate perdere. Non la troverete!

FRANCO VAZQUEZ

Dei tre ex palermitani Paulo Dybala è quello dalla carriera più nobile, come certificato dai sette anni in bianconero. E’ un giocatore con caratteristiche specifiche. Splendido a vedersi quando arretra e, dal centro destra con spalle alla porta, uncina la palla per millimetrici cambi gioco, tende ad essere infallibile quando è nelle condizioni di porre in essere la sua giocata preferita che consiste nel controllare in corsa di sinistro, entrare in area di rigore da centro destra e, spostando il peso del corpo sul lato destro, coordinarsi per piazzare con l’interno sinistro la palla in rete. Superfluo sottolineare come il controllo a seguire, il più delle volte, gli consenta di eludere l’intervento avversario. Il proliferare dei sistemi di gioco 1433 ed 14231 ha tolto a Dybala centralità nel progetto Juve. La presenza di Messi lo ha probabilmente penalizzato in nazionale, Ciò nonostante alcune pennellate della Joya rimangono indelebili nella memoria degli appassionati.

PAULO DYBALA

Resi gli onori ai summenzionati campioni, per individuare tre fenomeni da porre sul podio dei dieci ad honorem dobbiamo, tuttavia, guardare altrove.

Uno di questi, Luka Modric, rappresenta la reincarnazione dell’intelligenza calcistica di Willem Van Hanegem.

LUKA MODRIC

Leggenda croata dal palmares smisurato, nonché pallone d’oro 2018, è docente da oltre un decennio all’Università del Santiago Bernabeu dove occupa contemporaneamente la cattedra di play e rifinitore. Se c’è da organizzare un assalto, arma i frombolieri d’attacco disegnando traiettorie immaginifiche. Quando, viceversa, c’è da far respirare la squadra, la palla nei suoi piedi è più sicura di un gioiello in cassaforte. Gli assoli che regala sono quelli di un suonatore d’arpa: leggero, armonico e sempre risolutivo.

Il secondo, Zinedine Zidane, è al contempo l’ultimo fenomeno del calcio romantico ed il primo del calcio moderno. Costituisce la tappa terminale del percorso del giocatore “box to box” che trae origine da Alfredo Di Stefano e, transitando per Neeskens, giunge a destinazione con lui.

ZINEDINE ZIDANE

Arte, poesia, coordinazione, atletismo, inventiva: Zidane è tutte queste cose. Si potrà obiettare che non è il primo nella storia del calcio. E invece sì perché queste peculiarità (e molte altre ancora) le mostra con un dinamismo mia visto prima in tutte le zone del campo. Non solo non perde tempi di gioco ma, addirittura, ne guadagna e ne fa guadagnare ai compagni. Riuscirà in più di un’occasione a dribblare gli avversari senza toccare la palla. Tra i pochissimi ad andare a segno in due finali mondiali, è sua la rete più bella realizzata in una finale di Champions. Non è raro che gli spettatori si dimentichino degli altri ventuno in campo rapiti dalla paradisiaca danza con cui li trasporta in un  Nirvana calcistico di cui, unico nel suo genere, detiene i codici di accesso.

Il terzo, Johan Crujff, è stato più volte definito un visionario anche in seno a questo blog. Ha deciso che giocherà con il numero 14 trent’anni prima dell’avvento delle maglie con i numeri fissi.

JOHAN CRUIJFF

Sarà il primo sindacalista tra i calciatori ed uno dei pochi grandi allenatori con un passato da artista in campo. Diverrà il primo calciatore di fama mondiale a sbarcare nel campionato nordamericano non a fine carriera, alla ricerca di una pensione dorata, ma nel pieno delle forze. Il problema per gli avversari è che è un visionario anche in campo.

Alla tecnica sopraffina aggiunge una capacità aerobica di prim’ordine e una visione di gioco illimitata. E’ fenomenale nel dribbling e, quando decide di cambiare passo, lascia tutti sul posto. Ha il piglio del comandante senza tenere il profilo da duro. All’autoritarismo e ai modi dittatoriali preferisce la sfacciataggine.

L’anomalia non sta nel fatto che un giocatore del genere non si sia mai visto prima, l’anomalia risiede nel fatto che non si vedrà nemmeno in seguito. Tra le tante definizioni che gli sono state affibbiate, le più riuscite sono “il profeta del goal” datagli da Sandro Ciotti e “Pitagora in scarpe da calcio”, coniata per lui da Federico Buffa.  Entrambe perfette per descrivere la divulgazione di una dottrina calcistica sino ad allora sconosciuta…CONTINUA

DI ALESSIO RUI, ALBERTO FERRARESE E FILIPPO GALLI

BIO: “Alberto Ferrarese,  nato a San Donà di Piave il 5 settembre 1988,  è protagonista del calcio dilettantistico veneto da oltre 18 anni con preziosismi e giocate di alta scuola a riprova del fatto che la “poesia del numero 10″ si lascia ammirare in qualsiasi campo e categoria.”

7 risposte

  1. Ecco Rui Costa a mio parere è uno di quelli che ha rappresentato al meglio il N 10 , forse perché nella mia visione ….chi indossa quel numero deve essere quello che manda in gol i compagni , quello che ti fa l’assist , il passaggio filtrante !!!! E penso che Rui Costa per questo fosse un maestro . Io il numero 10 l’ho visto sempre così ….non tanto il giocatore che fa gol ……ma il giocatore che fa fare i gol !!!!!!!
    Ovviamente come ho già detto in un’altro mio intervento, non nomino mai Diego perché lui era e rimarrà inarrivabile per tutti !!!!!!!

    1. Grandissimo giocatore rui costa… ma in base a quello che correttamente descrivi (manda in gol i compagni , quello che ti fa l’assist , il passaggio filtrante) il 10 italiano che le comprende tutte, ed in più si aggiunge il fatto che ha realizzato un numero enorme di goal, non ho dubbi a nominare Francesco Totti …

  2. Qui si parla di grandi numeri 10 e scegliere è difficile.
    Il mio podio è 3)Seedorf quando decideva di giocare non c’era storia, potenza ed eleganza erano il suo mantra.
    2) Rui, il Musagete che classe, sempre a testa alta come antognoni (che non ho mai visto giocava guardando le stelle) i suoi palloni erano uno spettacolo per il destinatario, quella palla che trasudava poesia a Sheva in Milan-Real del 2002…
    1)GULLIT SE SONO DIVENTATO ROSSONERO E’ MERITO SUO!!!!!

  3. Alessio, su Rui Costa mi trovi completamente d’accordo con te. Voglio solo ulteriormente focalizzare l’attenzione, sulla sua capacità di saper fare anche la mezzala non solo nelle fasi avanzate ma nel coprire la sua zona.

    Forse lui non è un vero 10 dell’era moderna, per molti motivi mi ricorda il 10 alla Rivera. Ovviamente parlo per sensazioni personali e non per aver spaccato il capello in due.
    Un saluto.

    1. È stato l’ultimo trequartista (nel senso che agiva dalla trequarti in avanti). Nel primo anno in Italia ha fatto il quarto centrocampista a sx, poi Ranieri lo ha spostato in mezzo al campo dietro a due punte. Successivamente, è stato schierato insieme a Robbiati, oltre a due attaccanti.
      Poi con Malesani allenatore ha arretrato il raggio d’azione giocando regista, con avanti a sè tre attaccanti.
      Nel primo anno del Trap è stato dominante. E al Milan ha giocato in più ruoli.
      Scusa la lunghezza Giuseppe ma stiamo parlando di un calciatore eccezionale, non che gli altri citati non lo siano ma il mio omonimo Rui è rimasto su standard elevati per molti anni.
      Spero che la descrizione che abbiamo offerto lo abbia rappresentato al meglio.

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