Sono passati 30 anni da quando ho intrapreso il viaggio della mia professione. Ho avuto la fortuna e mi è stata data l’opportunità di viverla a diversi livelli e in diversi contesti. Sono partito dal mondo dei dilettanti per poi approdare in quello dei professionisti, in cui negli ultimi 13 anni ho avuto la possibilità di sperimentarmi in diversi ruoli.
Potrei raccontare di quello che ho vissuto al Milan, nei diversi progetti formativi che ho seguito, grazie alla fiducia che Filippo Galli mi diede e dimostrò sin dal 2009; potrei raccontare di quello che ho vissuto a Torino, quando, come coordinatore tecnico, ho navigato il mondo del settore giovanile bianconero; o, ancora, delle due esperienze vissute in uno staff di prima squadra nel campionato di serie B.
Ma spesso la vita è sorprendente e regala sempre nuove esperienze e nuove opportunità ed è per questo motivo che ho scelto l’idea di condividere l’ultima esperienza personale e professionale che ho vissuto poco tempo fa: un viaggio in Africa, in Costa d’Avorio, che ha di nuovo ribaltato i miei paradigmi.
Ho fatto riferimento alle opportunità e, quindi, alle persone (poche) che te le propongono (te le offrono in dono) e per questo meraviglioso viaggio non posso non indicare Silvio Broli (già mio responsabile a Milano) e David Karamoko, artefici e promotori di ciò che ho incontrato.
Il progetto in cui mi hanno coinvolto prevede la formazione di tecnici Ivoriani, desiderosi di cimentarsi nell’incontro con differenti, quando non addirittura nuove, conoscenze e competenze. Siamo quindi partiti; e sono quindi partito: senza sapere cosa mi sarebbe aspettato, senza conoscere la lingua (il francese in questa situazione), senza conoscere il contesto e senza conoscere le persone.
Una sfida dentro il non conosciuto; il concetto più alto di adattabilità e di variabilità.
Ed è proprio in questi momenti, quando si è dentro queste sfide che la vita sorprende. Ho incontrato persone di un’umanità incredibile che fin da subito mi hanno fatto conoscere e vivere, con loro, il loro contesto. Appunto il contesto.. Periferia della città, villaggi a 150 km dalla città, spazi di gioco ricavati nei cortili, in campi di terra battuta, in campi ricavati vicino alla foresta, la cosa più lontana da quello che avevo vissuto negli ultimi 12 anni fatto di centri sportivi moderni, campi da gioco perfetti, organizzazione e ordine.
E dentro quel contesto, ho trovato tanto di quello che nelle mie esperienze precedenti avevo un po’ perso: la gioia di giocare e il piacere di giocare, ovunque, senza alibi, senza scuse, solo giocare, giocare, giocare…Ho assistito a partite di bimbi di 10 anni a piedi nudi sulla terra che dentro il gioco e dentro il contesto trovavano adattamenti tecnici impressionanti, non curanti del cattivo rimbalzo o della difficoltà di muoversi sul terreno sconnesso.
Ho proposto (in italiano ) giochi nuovi durante dimostrazioni pratiche che i ragazzi, 12-13 anni e poi 16-17 anni non avevano mai svolto, organizzando spazi e numero di giocatori e la risposta cognitiva, emotiva e tecnica è stata incredibile.
La capacità di apprendimento e di adattamento alle diverse richieste e alle difficoltà che il contesto richiedeva, sono state sorprendenti e mai avrei immaginato una risposta simile. Il tutto svolto con una passione, una gioia e un’intensità a me sconosciute.
Entrando nel merito metodologico, ho proposto giochi che prevedessero la presenza di compagni, palla e avversari, modificando dimensioni di gioco, direzioni di gioco, superiorità numeriche; quindi, il concetto più alto a mio avviso di variabilità e adattabilità; e tutto, ovviamente, proposto dentro contesti e ambienti difficili da gestire del punto di vista tecnico come descritto prima.
Nonostante tutte queste variabili e queste condizioni di difficoltà, la capacità di comprensione e di adattamento continuo dei “giocatori”, ad ogni gioco proposto, ad ogni esercitazione mi sorprendeva.
La palla sembrava ed era a volte ingestibile per direzioni di gioco che cambiavano improvvisamente, per una buca o per l’erba troppo alta, o per la terra che frenava o accelerava la palla, ma questo non impediva ai ragazzi di trovare continui adattamenti efficaci senza perdere il senso del gioco e lo scopo dello stesso.
Il tutto con una partecipazione emotiva e una volontà impressionanti. Negli ultimi anni ho sentito spesso parlare delle esperienze perse nella nostra società che potrebbero essere il motivo per cui oggi non ci sono più talenti come in passato.
Tra queste, ci sono le ore dedicate al gioco, gli spazi che non ci sono più e la voglia e il senso di sacrificio che le nuove generazioni hanno perso. Ecco, tutte queste circostanze cui ho accennato, in Costa d’avorio, e, credo, in tutta l’Africa non mancano, anzi sono forse l’unico aspetto che tiene i giovani lontani da altri pericoli; e, in più, la differenza è che il contesto che loro vivono è lontanissimo da quello che noi potevamo vivere trent’anni fa. E’ molto più difficile, nemmeno paragonabile al contesto della nostra infanzia.
Lì, in quei posti, l’adattamento e la capacità di leggere il contesto sono legati quasi ad un discorso di sopravvivenza e quindi diventano necessità. Lo spunto di riflessione che allora mi sento di poter sottolineare è quindi proprio riferito alla necessità di recuperare il gioco di strada, come spesso si sente dire nel nostro mondo, in questo tempo: i giochi di strada, come il luogo nel quale far riemergere, far crescere ed alimentare tutto quel talento che oggi sembra scomparso.
Ma, a tal proposito, l’esperienza vissuta ha permesso ancora più chiarezza su un concetto ancora poco considerato in ambito metodologico: il concetto di specificità o meglio, come a me piace definirla, di multilateralità specifica. Se è vero che le ore di esposizione al gioco sono necessarie e decisive, è altrettanto vero che deve essere un’esposizione specifica e non generica.
Il concetto di multilateralità specifica vuole quindi fare riferimento ai diversi modi in cui poter giocare a calcio, ma in cui gli elementi specifici del gioco rimangono sempre presenti: variano gli spazi, il numero di giocatori, le superfici di gioco, anche alcune regole (si gioca a una porta, portiere “ volante” che partecipa allo sviluppo del gioco, …) ma non si gioca ad altro, si gioca a calcio in differenti modalità.
Dal punto di vista metodologico, è fondamentale che gli allenatori siano in grado di generare e preparare contesti che richiamino a quelle esperienze che si vivevano in passato e che oggi non si vivono più.
E ciò senza però trascurare gli elementi fondanti del gioco o ridurne, in qualche modo, la sua complessità; è sostando nella complessità, vivendo esperienze dirette legate al gioco che il ragazzo acquisisce e matura la consapevolezza che gli permetterà di riconoscere poi le stesse in un contesto più organizzato come è la partita e nella quale agirà in modo quasi addirittura inconsapevole.
Dovremmo trovare la forza di allenare anche, se non soprattutto, la tecnica dentro questa complessità, avere il coraggio di perdere il controllo di quello che accade e far si che emergano quei comportamenti che poi i ragazzi faranno propri e diventeranno il loro bagaglio di conoscenza da applicare al gioco.
Uscire dai dualismi tra analitico e situazionale, tra giochisti e risultatisti, tra tradizionalisti e rivoluzionari ma tentare di entrare in un’ottica evoluzionistica e cercare di generare il contesto migliore dove far emergere i nostri ragazzi.
Confronto, scambio, esperienze diverse sono il motore del progresso e dell’evoluzione e la curiosità e l’amore per quello che si fa possono stimolare e muovere le generazioni future.
Torno da questa esperienza cresciuto come uomo e come professionista; ho voluto condividerla con voi con l’auspicio che possa essere uno stimolo nuovo anche solo per qualche riflessione diversa dalla solita normalità.
BIO: STEFANO BALDINI
Nato a Chiari il 7-2-1974
5 anni : Formatore e Coordinatore tecnico – AC Milan
5 anni : Coordinatore tecnico e referente per l’area R&D – FC Juventus
2 anni : Collaboratore tecnico – Staff prima squadra AC Monza – LR Vicenza – Campionato italiano di serie B
1 anno : Secondo allenatore – Staff primavera – Brescia Calcio
4 anni : docente di teoria e metodologia sport di squadra – calcio – Università Statale di Milano
Dal 1993 al 2010 allenatore, formatore, coordinatore in diverse realtà dilettantistiche lombarde dove sono cresciuto e maturato.
Dal 2001 al 2010 Responsabile Tecnico e co-fondatore dell’associazione Sportiva Prostaff ( dove forse è iniziato il viaggio).
5 risposte
Buongiorno. Un articolo davvero molto bello , entusiasmante che esprime concetti giustissimi. Grazie per avermi fatto vivere cinque minuti davvero emozionanti. Nel mio piccolo ,cerco di riportare il gioco di strada nel campo . Farli giocare nella complessità. Ho dei bimbi del 2014 . E sono davvero entusiasta che apprendono nella partita stessa , le difficoltà e la ricerca di coordinazione, tecnica, pensiero. Grazie ancora sign. Baldini.
Buongiorno. Un articolo davvero molto bello , entusiasmante che esprime concetti giustissimi. Grazie per avermi fatto vivere cinque minuti davvero emozionanti. Nel mio piccolo ,cerco di riportare il gioco di strada nel campo . Farli giocare nella complessità. Ho dei bimbi del 2014 . E sono davvero entusiasta che apprendono nella partita stessa , le difficoltà e la ricerca di coordinazione, tecnica, pensiero. Grazie ancora sign. Baldini. Buona giornata.
Fantastico!
L’idea base è quella di ripristinare di base l’esperienza del “ragazzo di strada”, giostrando sulla tipologia di campo, sulle sue dimensioni e sul numero dei calciatori coinvolti. Ovviamente, senza poi, rinunciare ai metodi moderni.
Come uomo, ti invidio l’esperienza africana e non quella fatta con il MIlan e la Juventus. Immagino la bella accoglienza che ti hanno riservato i ragazzi e gli adulti in un ambiente genuino. Ribadisco mi riferisco all’esperienza umana, più che a quella calcistica.
Ma tu se andato oltre associando le due esperienze rendendole complementari complementari.
Un saluto all’orientale (cioè un inchino).
Umanità indescrivibile…confermo. Esperienza unica. Ho avuto fortuna nella mia vita professionale e Milan e Juventus mi hanno dato molto, ma l’Africa, la Costa D’Avorio in particolare, mi ha regalato qualcosa di diverso…. Grazie per il bellissimo pensiero.
Eccomi, mi scuso per il ritardo nella risposta. Grazie del pensiero, emozionare ed incuriosire erano gli obiettivi dell’articolo. Se le emozioni così come le riflessioni sono arrivate allora siamo riusciti a fare centro. Grazie ancora per le splendide parole.