DA VILLASANTA AI SESSANTA: STORIA DI UN EROE LETTERARIO CHE HA GRIFFATO LA LEGGENDA.

L’enorme patrimonio culturale derivante dalla letteratura mondiale insegna che l’eroe è, sovente, al di là di preannunciati trionfalismi secondo dettami che lasciano poco spazio a colpi di scena o ad improvvisi ed impronosticabili mutamenti narrativi,  un comprimario che, in un dato momento e  secondo dinamiche per lo più inaspettate , si eleva a protagonista assoluto scrivendo in calce il proprio nome in un punto preciso dello spazio-tempo, suggellando un evento che i posteri tradurranno quale epico e leggendario.  

Gli astri, va da sé, giustappunto per proseguire in una narrazione che possa comprendere riferimenti cosmologici, devono necessariamente concorrere a scrivere un copione, una stesura, volti a far sì che l’inatteso possa non solo verificarsi ma sovvertire , sbaragliare, surclassare ciò che differentemente avrebbe dovuto compiersi.

Il calcio è per antonomasia foriero di romanzate vicissitudini, traversìe, peripezie, gloriosi accadimenti, intima narrazione di personaggi, teatro globale di storia che travalica i confini di un terreno figurativamente vasto un centinaio di metri ma che suole estendersi continuamente nell’immaginario collettivo, fluttuando nei meandri individuali del tempo, evidenziati in ogni volto di qualsivoglia passante.

Quasi ventinove anni fa esatti, all’alba del compimento di trentuno primavere, un eroe silenzioso, elegante, capostipite e volto di un calcio culturalmente appartenente ad una più sobria, educata e rispettosa, età della nostra penisola (caratterizzata da atti di semplicità quasi arcaica rispetto ai tempi odierni in cui appariscenza, supponenza, estetica estremizzata e pretese sottese di folle idolatria caratterizzano pressoché chiunque), vestiva ineluttabilmente l’abito che il destino aveva lui confezionato sin dai polverosi  luoghi natii: da Villasanta ad Atene, culla della civiltà occidentale, dalla Brianza all’Attica, passando per Pescara e con alle spalle già undici anni di marcata esposizione della propria eleganza, della propria raffinatezza stilistica, della propria prontezza e dell’incredibile capacità di inanellare successi grazie al proprio contributo.

Abitualmente il porto del Pireo, sul mar Egeo, a specchiarsi nella storia che ha sancito fiorire l’uomo per come lo conosciamo,  non è solito essere attraversato da squali, figuriamoci lombardi di nascita, tanto più che in quella notte coincidente con ciò che l’uomo ha astronomicamente contabilizzato essere il 18 maggio del 1994 le belve feroci avrebbero dovuto assumere altre fattezze e provenire ancor più da Occidente, dalla Catalogna, di blaugrana vestite.

Una gita fuori porta, un’ora e mezza di attesa prima di un trionfo annunciato: questo l’itinerario previsto da Johan Cruijff in terra di Grecia, con la certezza di alzare al cielo la seconda Coppa dei Campioni della società d’appartenenza.

Un “dream team” così supponente e così sicuro della propria forza da ridimensionare preliminarmente un club alla quarta finale in sei stagioni ( comprendenti, fra l’altro, in realtà, l’annata in cui il Milan fu escluso dalle competizioni internazionali successivamente ai fatti di Marsiglia) e con già quattro titoli in bacheca: del resto, che paura avrebbero dovuto incutere i vari Donadoni, Boban, Savicevic, Massaro, senza la cerniera difensiva costituita da Costacurta e Baresi? Già.

Altresì, ulteriormente a svilire ciò che la retroguardia rossonera avrebbe potuto compiere, dall’altra parte, in attacco, giostrano non esattamente due sconosciuti: il tandem offensivo del Barcellona è costituito da Romario e Stoichkov.

Per intenderci: indiscutibilmente uno dei migliori giocatori brasiliani di ogni epoca ( nel gradimento popolare il più amato e considerato dopo sua maestà Pelè e Ronaldo, a posteriori quarto marcatore assoluto della storia di questo sport con 765 marcature ufficiali siglate ), tecnicamente sublime, rapido nell’esecuzione e protagonista di tocchi sopraffini e soluzioni balistiche deliziose e, a corredo, il calciatore che in quell’anno solare avrebbe trionfato nella classifica del pallone d’oro, conquistando il quarto posto con la Bulgaria ai mondiali e detronizzando colui che, se non fosse stato per il rigore incredibilmente fallito durante l’atto conclusivo di Pasadena, avrebbe nuovamente, consecutivamente, ottenuto l’illustre riconoscimento.

Squali apparentemente indomabili. Ma a volte capita che in acque normalmente avare di particolari esemplari si aggirino, improvvisamente, specie sconosciute: forse Romario e Stoichkov, non proprio depositari di conoscenze estremizzate relativamente alla fauna marina, non supponevano che Filippo da Monza, alfiere decennale dello scudo meneghino, fosse anche ribattezzato lo “squalo bianco di Villasanta”.

Capello ne è a conoscenza: lui e Maldini in mezzo, Tassotti a destra, Panucci a sinistra, partita perfetta, secondo le prerogative tipiche della marcatura sull’uomo da parte di Galli, una doppietta di Massaro, una pennellata geniale di Savicevic, chiosa di Desailly, quattro a zero, coppa sollevata al cielo degli dei pagani, a pochi chilometri dall’Olimpo e dal Partenone, Barcellona annichilito. C’est plus facile.

Romario e Stoichkov aggrediti sull’anticipo,  annullati che neanche Andrea Tentoni e Totò De Vitis, da chi, niente poco di meno che dallo stesso Berlusconi, è stato definito “ il giocatore che meglio rappresenta lo stile Milan”.

Quattordici stagioni in rossonero, esordio a S.Siro contro il Verona al fianco di Luciano Spinosi, regia di Ilario Castagner. Titolarissimo con Liedholm, precursore concettuale di Sacchi, che lo definisce “il nuovo Rosato” e gli affida l’ingrato compito di prendersi cura del fantasista di turno della squadra avversaria, in virtù di un’intelligenza nella lettura parimenti elevata quanto la capacità di marcare a uomo: è la Serie A degli anni ottanta e, a cotale categoria, appartengono gente del calibro di Maradona e Platini. Credo basti.

Scudetto con Sacchi nell’ottantotto, Maradona domato. L’anno successivo lo “squalo” deve arrendersi alle bizze del ginocchio sinistro: Costacurta, dopo la sperimentazione da centrale difensivo di Rijkaard, gli soffia il posto da titolare che Filippo cerca nuovamente di conquistare nel corso della stagione successiva. Questa volta, a tradire il centrale brianzolo, è l’altro ginocchio, dopo uno scontro in allenamento con Marco Van Basten.

Quanto sia fondamentale è però dimostrato dalle molteplici presenze raccolte durante la stagione 1990/91 e, va da sé, dalla certificazione di altri sei anni in rossonero: cinque scudetti, tre coppe dei campioni, tre supercoppe europee, due intercontinentali, quattro supercoppe italiane e la sola Coppa Italia  a non essere annoverata nel proprio palmares.

La storia narrerà di molto altro Milan, nelle vesti di allenatore e dirigente. Di una passione infinita verso il calcio che lo condurrà a nutrirsi quotidianamente di storie da raccontare, eventi da commentare, metodologie da analizzare e dispensare, nel pieno rispetto di ruoli e riconoscendo il valore altrui.

Da Villasanta ai sessanta: buon compleanno Filippo, eroe dell’Attica, eroe di Grecia, terra da cui partì la storia degli eroi della letteratura occidentale.

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