Non è stato affatto facile.
Vedere i miei compagni incantare il mondo con il loro gioco e andare addirittura ad un passo dal trionfo nel Campionato del Mondo mi provoca sensazioni contrastanti.
Una gioia immensa per loro, per Wim, per Ruud, per Joahn, per Arie, per Johann e per tutti gli altri.
Molti di loro sono i miei compagni nell’Ajax e insieme abbiamo vinto tre Coppe dei Campioni consecutive.
Sapevo che avrebbero fatto un grande mondiale.
Ma non essere stato lì con loro mi ha fatto male, tanto male.
Molto più del dolore al mio ginocchio malandato che mi ha costretto a rimanere qua ad Amsterdam a seguire il mondiale di calcio in tv.
Ci ho messo tanto tempo a prendere consapevolezza che in mezzo a tutti quei campioni potevo starci anch’io.
L’autostima non è mai stato il mio forte.
Anzi.
Da ragazzino giocavo in una piccola squadra, lo Zeerbugia.
Il posto giusto per uno come me.
Mi divertivo.
Giocavo da mezzala, facevo la mia parte ma nessuno pretendeva troppo da me.
Qualcuno in quel periodo si mise in testa che potevo ambire a qualcosa di più, che non ero poi così “normale” come pensavo io.
Anche in famiglia mi spinsero a crederci, a provare ad uscire da quel piccolo e confortevole guscio … dove personalmente stavo da Dio !
Mi mandarono ad un provino per l’Ajax.
Me lo dissero il giorno stesso, temendo che se lo avessi saputo prima mi sarei inventato una scusa per non andarci.
Così fui costretto ad accontentarli e mi trovai a giocare una partitella insieme ad altri ragazzi della mia età.
Alcuni di loro erano davvero bravi, rapidi e con grande tecnica.
Io ero già alto e robusto … e tremendamente impacciato.
Feci letteralmente schifo quel giorno.
“Bene” mi dissi “Ora almeno mi lasceranno in pace e potrò tornare con i miei amici nello Zeerbugia”.
Invece l’Ajax mi chiamò.
Cosa abbiano visto in me quel giorno me lo chiedo ancora adesso …
Un anno con le giovanili e poi o il contratto professionistico oppure … tanti saluti !
Continuai a giocare da mezzala ma capivo benissimo da solo che non stavo andando da nessuna parte.
Poi arrivò Rinus Michels.
Era appena diventato l’allenatore della prima squadra.
E mi volle con lui.
… a fare cosa ? mi chiedevo io …
“voglio un difensore possente, forte fisicamente ma che sappia giocare a calcio” mi disse Michels.
“C’è un problema Mister” gli risposi io “Io gioco da centrocampista”
“Fino a ieri. Da oggi non più” fu così che Michels chiuse l’argomento.
Mi spiegò molto chiaramente cosa voleva da me e come intendeva far giocare la squadra.
L’anno successivo vincemmo subito il campionato.
Io facevo lo stopper ma non voleva che il mio lavoro iniziasse e finisse con il tentativo di annullare il centravanti avversario.
“Come prendiamo palla noi tu vai avanti, ti avvicini ai centrocampisti così saremo in superiorità numerica in quella zona di campo”.
Era iniziata la RIVOLUZIONE.
Rivoluzione che divenne storia quando all’Ajax arrivò dal Partizan Belgrado Velibor Vasovic.
Rinus Michels si era innamorato di lui vedendolo giocare nella finale della Coppa delle Coppe nel maggio del 1966 che i bianconeri di Belgrado persero 2 a 1 contro il Real Madrid.
Per il grande coach olandese Vasovic, detto” Vasco”, è l’uomo ideale per l’idea di calcio che ha in testa “Il Generale”.
“Quindi dobbiamo prendere un calciatore come lui ?” gli chiesero i dirigenti dell’Ajax.
“No. Non “come” lui. Io voglio proprio “lui” fu la sentenza di Michels.
Con l’arrivo di Vasovic come libero l’Ajax inizia a costruire quell’idea di calcio che rivoluzionerà per sempre questo gioco. Non solo uno dei due centrali, Hulshoff o Vasovic, dovrà sempre uscire dal guscio difensivo e unirsi al centrocampo, ma Vasovic sarà chiamato a fare da “inventore” della trappola del fuorigioco, ovvero l’improvviso avanzamento della linea difensiva per mettere in fuorigioco gli attaccanti avversari.
Con Hulshoff già davanti a lui e Neeskens pronto a lanciarsi in pressing sugli avversari anche nella loro metà campo, a Vasovic bastava salire repentinamente qualche metro per mettere in fuorigioco gli attaccanti avversari.
Hulshoff con questo sistema si esalta. Adora partecipare alla costruzione del gioco e smette praticamente di fare lo stopper vecchia maniera diventando sempre di più un difensore centrale come vediamo praticamente ad ogni latitudine nel calcio moderno.
E così Vasovic diventa libero davvero … di impostare il gioco, di andare a sostenere il centrocampo e qualche volta di spingersi in attacco anche senza palla, in modo da creare quella superiorità numerica che da sempre è la chimera degli allenatori di calcio.
Tanto ci pensa Hulshoff, che nell’1 contro 1 non teme rivali e che diventa imprescindibile nell’economia del gioco dell’Ajax.
Arriva così il primo trionfo nella Coppa dei Campioni nella finale contro i sorprendenti greci del Panathinaikos che in panchina hanno un mito che di Coppe dei Campioni se ne intende: Ferenc Puskas. E’ un 2 a 0 netto e inappuntabile.
Nella pioggia di quella sera di maggio a Wembley l’Ajax dipinge calcio … sembrano i campi di girasole di Van Gogh … sembra qualcosa di molto simile all’AMORE.
Ma degli olandesi, nonostante il Feyenoord abbia vinto l’anno prima la Coppa dei Campioni contro il Celtic a San Siro, non si riesce ad immaginare niente di più che una bellissima, abbagliante meteora.
Quello che succede nell’estate di quel 1971 sembra confermare questa ipotesi.
Vasovic, il professore di quell’Ajax, decide, a 32 anni di appendere le scarpe al chiodo e di tornare nella sua Belgrado, nel suo Partizan, ad insegnare calcio.
Ma soprattutto se ne va Rinus Michels, attratto dalle (tante) pesetas dei catalani del Barcellona.
“Abbiamo raggiunto il massimo. Non potremo mai andare più in là di così” dirà l’ex professore di educazione fisica il giorno del suo commiato dai “lancieri”.
Sbagliato.
L’Ajax ha ancora margini di miglioramento.
Lo sa bene Stefan Kovacs, l’allenatore rumeno che si siederà sulla panchina dell’Ajax nelle due successive stagioni. Il “calcio totale” voluto e creato da Michels diventerà un magnifico “disordine organizzato” dove la creatività di giocatori come Cruyff (autentico profeta del team), Haan, Neeskens, Krol, Rep e Keizer innalzerà ulteriormente il livello di una squadra che pare davvero non avere limiti.
Due successive Coppe dei Campioni (la prima in finale contro l’Inter e la seconda a Belgrado contro la Juventus), la Coppa Intercontinentale contro il fenomenale Independiente di Bochini, Bertoni & co. e i trionfi in ambito nazionale dimostreranno inequivocabilmente che Michels aveva torto.
Hulshoff con Kovacs farà da stopper, da libero, da regista difensivo e da uomo di riferimento per i calci piazzati vista la sua rinomata abilità nel gioco aereo.
Nel 1973 però anche Kovacs si fa da parte. Lo chiama la nazionale francese che dopo anni di vacche magre vuole tornare ai vertici.
Se ne va anche Cruyff, offeso perché i compagni optano per un altro giocatore (Piet Keizer) come capitano del team. Troppo per l’ego smisurato del fenomeno olandese che lascia l’Ajax per accasarsi al Barcellona dove ritrova il suo mentore Michels riportando immediatamente i “blaugrana” ai vertici della Liga dopo 14 anni di digiuno.
L’Ajax viene affidata a George Knobel che resterà però per una sola stagione e con risultati non certo esaltanti, pagando in maniera importante l’addio di Cruyff.
Hulshoff è sempre uno dei pilastri del team. Anche nella nazionale olandese, in lotta con il fortissimo Belgio di Paul Van Himst per un posto ai mondiali di Germania, Hulshoff è imprescindibile.
Sarà proprio un suo gol ad un minuto dalla fine nell’agonica vittoria in Norvegia (2 a 1) a qualificare di fatto l’Olanda per i Mondiali di Germania del 1974.
Il barbuto difensore olandese è, con Krol e Surbier, un certezza della difesa degli “orange”. Molto più difficile stabilire chi andrà fra i pali e chi farà compagnia ad Hulshoff al centro della difesa.
Il destino, come spesso accade, ha altri progetti.
In una partita di campionato contro il NEC, Hulshoff si romperà i legamenti di un ginocchio.
Michels, che a furor di popolo viene messo sulla panchina dell’Olanda poche settimane prima dell’inizio dei Mondiali s’inventa Arie Haan, un centrocampista, come libero affiancandogli il giovane e inesperto Rjisbergen, che farà il suo esordio in Nazionale in un’amichevole giocata dall’Olanda meno di due settimana prima dell’inizio del Mondiale.
Per Hulshoff non ci sarà solo la grande delusione di non giocare quei mondiali che consegnarono per sempre gli Orange alla storia del calcio mondiale … ma il grave infortunio subito non gli permetterà di tornare mai più ai suoi livelli abituali. La sua carriera finirà di fatto nel 1977, quando Barry ha solo 31 anni.
In Nazionale non giocherà mai più chiudendo la sua carriera con un pugno di presenze (14) e un numero di reti (6) quasi da attaccante.
Hulshoff, con la sua barba e i suoi capelli lunghi rappresentava meglio di chiunque altro “la Rivoluzione” che il calcio olandese aveva messo in atto in quei primi anni ’70.
Lui, con i calzettoni arrotolati intorno alle caviglie, che calciava con entrambi i piedi, che poteva giocare “corto” o trovare un compagno a 30 metri di distanza e che con i suoi 185 centimetri diventava quasi imbattibile nel gioco aereo … nella sua area e in quella avversaria.
Rivedendo la finale del 1974 ai tanti che lo ricordano viene sempre in mente lo stesso pensiero: ma con tutti quei cross messi in mezzo all’area tedesca vuoi che con Hulshoff in campo almeno uno non sarebbe finito prima sulla sua testa e poi il fondo della rete di Sepp Majer ?
Beh, chi scrive è uno di quelli …
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Hulshoff come detto aveva un grande problema di autostima. Si racconta che ad un certo punto RInus Michels non sapesse più come fare a motivarlo ad alzare il livello della sua ambizione e a togliergli quell’insicurezza di fondo che pareva non volerlo abbandonare. Decise così di affrontare il proprio difensore in maniere energica “Barry, per le prossime tre partite starai fuori !” gli urla Michels.
Che si aspetta a questo punto una reazione d’orgoglio da Hulshoff.
Reazione che non arriverà mai.
Hulshoff attende pazientemente in panchina per poi tornare regolarmente in campo al termine della scadenza voluta da Michels.
L’esordio internazionale di Hulshoff avviene nella famosissima sfida con il Liverpool di Billy Shankly. Siamo nel 1966 e i Reds sono un grande team. All’andata, nella nebbia di Amsterdam, i “lancieri” dell’Ajax demoliscono Roger Hunt e compagni con un clamoroso 5 a 1. Al termine della prima frazione l’Ajax è in vantaggio per 4 reti a 0. C’è una nebbia intensa che avvolge Amsterdam e purtroppo pochi riescono a vedere quell’autentico spettacolo del primo grande Ajax della storia.
Il ventenne Hulshoff non giocherà quel match ma sarà buttato nella mischia nella partita di ritorno all’Anfield Road. Dovrebbe essere poco più di una formalità dopo il risultato dell’andata.
Ma Shankly carica come solo lui sa fare i Reds e promette che “all’andata hanno avuto tanta fortuna ma qui all’Anfield li distruggeremo. Non ci sarà partita e segneremo molti più gol dei 4 che ci servono per passare il turno”.
L’avvio del Liverpool è veemente. Due volte tremano i pali della porta olandese ma l’Ajax si difende con ordine e quando Cruyff ad inizio ripresa porterà in vantaggio i “lancieri” per il Liverpool si chiuderà definitivamente ogni possibilità di rimonta. Il 2 a 2 finale dimostrerà in maniera inequivocabile che una grande squadra stava arrivando sul palcoscenico del grande calcio internazionale.
Hulshoff giocherà da terzino destro, al posto dell’infortunato Suurbier, cavandosela egregiamente contro la fortissima ala del Liverpool Peter Thompson.
Ma, per sua stessa ammissione, sarà un altro il ricordo indelebile di quella notte all’Anfield. “Il calore del pubblico. Non ho mai più giocato in una atmosfera simile. Sembrava una marea umana, che cantava e si muoveva come un unico corpo. Anche quando le sorti del match per il Liverpool si erano compromesse i tifosi dei Reds non hanno smesso di incitare la loro squadra per un solo minuto.”
Nel 2000 arriva per Barry Hulshoff il momento più difficile: l’adorata moglie Hilda, sposata oltre trent’anni prima, si spegne a causa di un tumore allo stomaco. Il calcio perde d’importanza e Hulshoff, che nel frattempo ha intrapreso la carriera di allenatore, decide di fermarsi. Riprende un anno dopo, guidando i belgi del Malines, prima di rientrare nei ranghi dell’Ajax, fortemente voluto dall’amico Johann Cruyff.
Nel periodo di Hulshoff all’Ajax gli stipendi erano ben lontani dalle cifre attuali. E anche dopo i successi europei c’era bisogno di arrotondare con altre attività. Una di queste erano rappresentate dalle offerte delle varie aziende per apparire in pubblicità.
Anche ad Hulshoff si presenta questa occasione. E’ una ditta di cibo per cani, la famosa “Chappi” ad offrire un ingaggio a Hulshoff. L’idea è di riprendere Buddha, il cane di Hulshoff, mentre insieme al suo padrone corrono su spiagge e boschi dopo che il cane ha mangiato con gusto una scatoletta del prodotto.
Hulshoff accetta … ma solo dopo aver avuto la certezza che il prodotto piacesse davvero al suo adorato Buddha !
- BIO: Remo Gandolfi e’ nato e vive a Parma. Ha gia’ 7 libri all’attivo tra i quali il fortunato “Matti, miti e meteore del futbol sudamericano”. Ha una rubrica fissa sul popolare Calciomercato.com (“Maledetti calciatori”) e con gli amici di sempre gestisce un blog www.ilnostrocalcio.it . Quanto all’amato pallone, e’ profondamente convinto che la “bellezza” e “il percorso” contino infinitamente di piu’ del risultato finale.