Ciò che noi definiamo con la parola “Mondo”, altro non è che una collezione innumerevole e incalcolabile di fatti, accadimenti, che possono essere descritti semplicemente con un “succede così” o un “no, questo non funziona in questo modo”.
All’interno di questa moltitudine di fatti, possiamo distinguere gli scenari semplici da quelli complessi, ossia quelli in cui intervengono fattori esterni ad alterare la basilare reazione meccanica degli oggetti osservati.
Così dunque i comportamenti sociali, i processi economici o alcuni meccanismi del cervello umano risultano di difficile comprensione, se non addirittura totalmente imprevedibili dato l’esorbitante numero di agenti presenti all’interno di essi, dai quali non possiamo ricavare un rapporto causale, nonostante, come spesso capita, il ventaglio di esiti possibili sia perfettamente binario(vittoria o sconfitta).
La finale di Champions League rientra in quest’ultimo campo, contribuendo a rarefare ulteriormente la validità dei pronostici, essendo l’evento sportivo più in vista al mondo, che mette di fronte solitamente due squadre di primissima fascia, che all’avvicinarsi della vigilia azzerano sempre di più i dislivelli sul piano tecnico, tattico e sopratutto emotivo.
La statistica, è il premuroso tentativo di valicare quell’iniziale dubbio dettato dell’imprevedibilità dei sistemi complessi, descrivendo con percentuali le probabilità che un esito possibile si verifichi. Da questo punto di vista mai si era visto in finale di Champions, almeno negli ultimi anni, una discrepanza simile tra le due contendenti al titolo:
Sulla bilancia del Manchester City pesano infatti le tre Premier League vinte in fila, l’ultima in rimonta contro l’Arsenal, vari trofei nazionali conquistati, tra cui l’ultima FA Cup ai danni dei rivali dello United, un tabellone che li ha visti spazzare Lipsia, Bayern Monaco e Real Madrid, un esborso complessivo di 1.5 miliardi di euro in un decennio, oltre al solito arsenale di campioni presente sul campo.
Se si parla di numeri, sicuramente il City è la squadra che negli ultimi anni è riuscita controllarne di più l’andamento, come dimostrato dal dominio continuo in campionato, regno prediletto dei Citizen, i quali erano sempre riusciti a comandare le classifiche seguendo un doveroso mantra: “essere migliori di tutti in tutto”.
Proprio in Champions League, dove gli avvenimenti e gli stati emotivi sono per l’appunto più imprevedibili, il City aveva faticato a far valere la sua schiacciante superiorità negli ultimi anni, uscendo con tonfi clamorosi contro Tottenham, Lione e Real Madrid, oltre alla finale persa nel 2021 contro il Chelsea, e lasciando così vuoto lo spazio dedicato alla Coppa dalle grandi orecchie nella propria bacheca, principale anatema rivolto contro Pep Guardiola. Anche le fuoriserie dunque sono soggette alle strade più accidentate, e come si può riscontrare, in una macchina perfetta un minimo guasto può portare al collasso generale.
Per questo dall’altra parte del Tabellone giungeva un Inter corsara, pronta all’assalto dello splendido veliero capitanato da Guardiola e smaniosa di ribaltare i favori del pronostico per gli avversari.
La parabola dei nerazzurri in questi anni è inversa rispetto a quella dei Citizen; una squadra che aveva trovato la sua risalita prima con il ritorno in Champions negli anni di Spalletti e poi con la vittoria dello scudetto al secondo anno di Antonio Conte.
Vicende societarie e turbolenze economiche hanno costretto l’Inter a “smantellare” l’organico campione d’Italia, senza la possibilità di spese ulteriori.
L’approdo di Simone Inzaghi, a sostituire Conte, aveva lasciato per molto tempo interdetti gli stessi tifosi, che al primo anno dal suo arrivo si erano visti sfuggire uno scudetto, complice un brutto arresto nella parte finale della stagione.
Tra i grandi vincenti dell’Inter nessuno pensava di poter annoverare in futuro una figura apparentemente poco carismatica come Inzaghi, che con la sua flemma e il suo monocromatismo comunicativo tanto si discostava dalle eruzioni retoriche di Mourinho o dall’istrionismo del Mago Herrera.
Eppure ad Inzaghi, fin dai suoi primi anni alla Lazio, gli era stato riconosciuto un talento irriducibile alla sola fortuna, ossia la capacità nelle partite secche di creare difficoltà alle grandi squadre, portando così a casa il risultato.
La seconda stagione dell’Inter dal suo arrivo ha dunque cominciato a ruotare attorno a quest’abilità del suo allenatore, ispessendo la propria attitudine ad affrontare gare ad eliminazione diretta, sopperendo così alle carenze evidenziate dal campionato, oltretutto conquistando anche la Supercoppa e la Coppa Italia, entrambe per il secondo anno di fila.
La scalata è così proseguita in Champions League dall’eliminazione del Barcellona ai gironi, alle vittorie contro Porto, Benfica e Milan, per giungere all’atto finale.
La sera della finale di Istanbul le due squadre si presentano confermando le aspettative sulle formazioni, senza particolari sorprese da una parte e dall’altra.
Il match comincia con un’Inter aggressiva e pugnace, che non intende farsi surclassare dal possesso ritmato degli uomini di Guardiola.
Da segnalarsi nella prima mezz’ora solamente una conclusione verso la porta difesa da Onana da parte di Haaland che calcia troppo defilato per poter far male.
Il Manchester City in ogni caso appare contratto e disarmonico, troppo poco affilato nelle sue offensive per poter ferire la difesa nerazzurra.
Brozovic in particolare risplende nel ruolo di interdizione, lasciando compito alle mezzali di innescare le punte e gli esterni.
Ad acuire la tensione dei Citizen si aggiunge l’infortunio del suo uomo simbolo, Kevin De Bruyne, che sembra proseguire il suo rapporto stregato con le finali dopo l’abbandono del campo per infortunio nel 2021.
Termina così la prima metà di gara, sostanzialmente equilibrata.
Nella ripresa l’Inter mostra di avere ancora energia per uscire aggressiva sui portatori di palla, in particolare i due esterni Bernardo e Grealish che faticano a puntare la porta, mentre Haaland si ritrova spesso imbrigliato nella morsa di Acerbi.
Qualche palla persa di troppo da parte dei nerazzurri testimonia in ogni caso l’ottimo lavoro di pressing condotto dai Citizen, che non calano di pericolosità portandosi a ridosso dell’area avversaria, soprattutto grazie all’encomiabile Stones, sorprendente chiave tattica della partita inserita in mezzo al campo.
L’ingresso di Lukaku riaccende momentaneamente le energie per l’Inter, che propizia l’occasione fatidica per sbloccare la partita:
Un errore clamoroso di Akanji, il quale lascia sfilare il pallone verso l’esterno, consente a Lautaro di avventarsi sulla palla vagante in area; quest’ultimo vanifica il possibile 1-0 calciando da posizione defilata addosso ad Ederson, senza premiare l’inserimento a rimorchio di Brozovic, che si sarebbe trovato da solo a centro area.
Il destino non tarda a punire gli uomini di Simone Inzaghi; al 67esimo un improvvisa imbucata centrale dello stesso Akanji premia Bernardo Silva che dalla linea di fondo prova a giocare in mezzo, la respinta di Acerbi favorisce Rodri che conclude di interno con il pallone che passa a pochi centimetri dal palo e dalle sagome perfettamente in linea di Darmian e Cahlanoglu, fulminando Onana.
L’improvvisa reazione dell’Inter sorprende il City, che rischia di farsi schiacciare:
Prima una progressione di Lukaku si conclude con un tiro debole e centrale, poi un rimpallo originato da Dumfries favorisce un colpo di testa all’interno dell’area piccola di Dimarco, il quale smorza il pallone mandandola sulla traversa per poi colpire sulla ribattuta lo stesso Lukaku che era rimasto lì.
Occasione colossale del potenziale pareggio sprecata, ma l’Inter non molla la presa; gli ingressi di Bellanova e Gosens restituiscono vivacità alle fasce e un’azione originata da questi due consente a Lukaku, con un appoggio di testa proveniente dal tedesco, di colpire da posizione ravvicinata; palla schiacciata centrale del belga che colpisce il ginocchio di Ederson, con Ruben Dias che infine mette in calcio d’angolo sfiorando l’autogol.
Il tempo scorre inesorabile, ma ora il City è ricacciato dietro, poco dopo aver fallito una chance per il raddoppio grazie ad una conclusione centrale da ottima posizione di Foden, liberatosi con un numero.
Gli ultimi istanti di tensione vedono l’Inter provare il tutto per tutto, propiziando all’ultimo secondo un calcio d’angolo; la testa di Gosens non riesce a deviare a sufficienza il pallone per scalfire le mani di Ederson, con la palla che infine carambola fuori, infrangendo le ultime speranze dei nerazzurri.
Il Manchester City è campione d’Europa per la prima volta nella sua storia, consacrando un percorso oramai decennale con il tanto agognato trofeo internazionale e vincendo con la prestazione peggiore della sua Champions League:
Il rammarico dell’Inter parla chiaro, le occasioni pendono a favore dei nerazzurri e l’approccio tattico si era dimostrato nuovamente azzeccato da Simone Inzaghi, come ammesso dallo stesso Guardiola nel post-partita.
La chiave in una prestazione non esaltante da parte del City è stata la fisicità messa in campo, ad arginare l’agonismo dell’Inter e la loro aggressività nel recuperare palla e ripartire.
Deposte le armi migliori del possesso palla e dell’apporto letale del proprio centravanti, i Citizen sono riusciti ad avere la meglio giocando una partita sporca, decisa dai contrasti di alcuni uomini fondamentali, come il match-winner Rodri, Ruben Dias e Stones, ribaltando così quel famoso mantra secondo cui il City per vincere deve essere sempre superiore in tutto al proprio avversario; ad Istanbul il City ha sofferto e ha rischiato, senza mai uscire dalla partita ed annullarsi così come nelle batoste precedenti.
Forse che anche il genio debba sporcarsi le mani entrando in battaglia, forse che anche il talento più puro sia costretto ad uscire dal suo reame etereo per conquistarsi la benevolenza della Dea Bendata?
Il Manchester City, mostrando la sua peggiore versione stagionale, ha completamente ribaltato il pronostico, confermando lo stesso in quello schema binario di vittoria e sconfitta, che spesso non considera, con il semplice applicarsi di un 1 od uno 0 tutti i fattori in gioco, vanificando prestazioni eccellenti in perdenti, come quella dell’Inter sugli scudi nella notte di Istanbul.
Ma d’altronde, se fosse davvero tutta una questione di numeri, e forse è davvero così, meglio per noi non avere la sfera di cristallo….
La fotografia in prima pagina è di Getty Images.
2 risposte
Che piacere leggere commenti di questo livello. Oramai li trovo solo su questo blog a cui ho cominciato ad affidarmi per conoscere e mettere il gioco la mia personale piccola cultura calcistica. Sllo splendido pezzo aggiungerei solo un commento. Secondo me l’Inter poteva e doveva fare una partita più coraggiosa. Non credo che dal punto di vista tecnico ci sia una differenza come tutti dicono. Spesso c’è ancora la tendenza a fare la scelta più utilitaristica. Adesso si chiamano ripartenze. Un po’ poco secondo me.
Commento molto onesto e competente. Questa è stata una partita che a me è piaciuta molto, rammaricato per il il risultato, ma contento di quanto visto da entrambe le squadre in campo.
Anche io ho notato che, dopo i primi cinque minuti, sminata la foga del City, l’Inter ha imbrigliato il gioco del City, non lasciando sbocchi. A parte, quel meraviglioso farsi scorrere la palla tra le gambe e anticipando i tempi, girarsi a volo e tirare di prima (Halland), con la palla però lievemente più avanti del dovuto e consentendo la parata a Onana che aveva chiuso il suo palo.
Ma è stato forse l’unico spunto di classe fi Halland.
Ma, forse sfruttando il suo passaggio in Italia, Guardiola (si può vincere anche 1-0), a sua volta, ha imbrigliato l’Inter con un pressing a tutto campo e con una attenta difesa.
In realtà, la dimensione degli ingaggi e quella degli ammortamento per acquisto prestazioni calciatori, non evidenzia la reale differenza tecnica, fisica e psicologica. Soprattutto in una partita secca. La differenza di resa in campo è molto ma molto inferiore a quella del fatturato.
Se, nell’insieme, è vero che la Premier ha un livello di calciatori superiore a quello della Serie A, va però detto, che, nonostante la crisi economico-finanziaria dei principali club della Serie A, si è nella fase di ripresa rispetto alla negatività massima subita tra il 2011 e il 2017. Vero che in quel periodo la Juventus ha fatto due finali di Champions, ma era l’unica che, all’epoca, non aveva problemi di bilancio. e poteva godere di lasciti del passato (Pirlo e l’intera difesa di altissimo profilo).
Queste tre finali europee hanno certificato, che c’è ancora un gradino o un mezzo gradino tra le squadre italiane e quelle inglesi e spagnole, ma ci siamo riavvicinati. Questo, anche grazie ad una nuova ondata di allenatori (direi di staff di allenamento) più orientati a modificare la fase difensiva, spostando in avanti il baricentro della squadra.
Paghiamo ancora molto la differenza di budget disponibile e l’ovvia diversa attrattività tra Inghilterra e Spagna rispetto a noi.