LUTHER BLISSETT – LUGLIO ’83: L’ARRIVO AL MILAN.

Quattro decenni fa, l’inglese fu il secondo straniero rossonero dopo il belga Gerets.

Un inglese di origini giamaicane come secondo straniero per la stagione 1983/84. Sono passati quattro decenni dai giorni che portarono in maglia rossonera Luther Blissett, presentatosi a Milano con il titolo di “capocannoniere” del massimo campionato inglese.

Di lui le cronache calcistiche avevano già parlato nel periodo più buio della gestione Greenwood con la nazionale inglese. Punta del Watford, Blissett arrivò a Milano con uno score di 22 reti nella stagione 1981/82 e 27 l’annata dopo, sempre in campionato, dove aveva fatto meglio persino dell’osannato gallese Ian Rush in forza al Liverpool.

A furor di popolo, il Ct Bobby Robson lo aveva convocato in nazionale, ricambiato da Blissett, autore di tre delle nove reti rifilate al modesto Lussemburgo. Lutero avrebbe rimesso piede in nazionale solo in altre tre circostanze. Molti addetti ai lavori lo definirono giocatore con attitudini offensive ma capace di mancare una grande quantità di occasioni prima di riuscire ad insaccare la palla in rete.

Per questo gli affibbiarono il soprannome “Miss it” (sbaglialo). Luther si difendeva sostenendo che le sue caratteristiche venivano sfruttate bene dal Watford con lanci lunghi dalla difesa verso l’attacco, permettendogli di puntare verso la porta avversaria da posizione frontale e non volgendo le spalle, lasciando quella scomoda posizione ai difensori. La sua miglior prestazione della stagione 1982/83 fu contro il Sunderland, segnando un poker di reti.

Robson pensò di utilizzarlo in nazionale in un attacco a tre punte: nello schema con due attaccanti di spazio per Blissett non se ne trovava. Forte fisicamente ma limitato tecnicamente, il nuovo attaccante rossonero si presentò nel luglio ‘83 in modo roboante.

“Farò più gol di Platini. Diventerò l’idolo dei giovani”, dichiarò alla Gazzetta dello Sport. Mostrò un biglietto da visita di 49 gol nelle ultime due stagioni. “Centravanti irruento e potente, col vizio di sprecare qualche gol di troppo ma col sicuro pregio di non tirarsi mai indietro in area. Il tifo milanista è già in ebollizione”, scrisse Carlo F. Chiesa del Guerin Sportivo.

Nato a Falmouth, in Giamaica, arrivato a Londra con i suoi genitori all’età di sei anni, nella stagione 1975/76 esordì diciassettenne con il Watford. Un marcantonio di 180 centimetri per 79 chili. All’esordio in prima divisione, Blissett realizzò 26 reti, conquistando il primato nella classifica dei bomber della Football League. L’acquisto da parte del Milan giunse al termine di una trattativa piuttosto contorta che vide, come interpreti, da una parte il giocatore, il suo manager e il suo avvocato e dall’altra lo staff tecnico e dirigenziale del Milan, con il presidente Farina e il suo vice Rivera in testa.

Le parti finali del contratto vennero limate lungo il tragitto che separava l’albergo fissato per l’incontro e il Policlinico dove il giocatore si sarebbe dovuto sottoporre alle visite mediche. Fino all’ultimo rimase il dubbio circa la firma sul contratto di Blissett, con Joe Jordan, speranzoso in una riconferma, a seguire la vicenda fino alla delusione finale dello scozzese dopo aver saputo della conclusione positiva della trattativa con l’ex del Watford che sanciva l’addio al Milan dello squalo.

Farina, che era stato sul punto di mandare tutto a ramengo, venne convinto da Rivera. La firma fu apposta all’interno di una piccola stanza del Policlinico, quasi uno sgabuzzino, uscendo con la certezza dell’ingaggio di Blissett. Tutto in un’atmosfera tra il naif e il surreale, tipica di certe sceneggiature di Cesare Zavattini.

Trapelò un particolare: l’allenatore Castagner, che aveva riportato  in A il Milan, non aveva mai visto all’opera, nei mesi scorsi, il nuovo acquisto in un campo di calcio. Ad interessarsi a lui, in origine, era stato un sarto italiano residente a Londra: il signor Gino Santin, il primo ad avvicinare le parti.

Per stringere i tempi della trattativa con Blissett si attivò un’equipe formata dai vicepresidenti Rivera e Nardi, dal diesse Ramaccioni, dal presidente Farina e dal suo consulente Cardillo, con partenza per Londra con un jet privato nel giorno in cui il Milan affrontava il Flamengo per il Mundialito (28 giugno ‘83).

Nella capitale britannica l’incontro con Elton John, Blissett e Graham Taylor, manager del Watford, trovando solo l’accordo sul prezzo per la cessione: un milione di sterline. Per il pagamento si oscillava tra una dilazione ampia chiesta dal Milan e il “tutto e subito”, con leggero sconto, su cui puntava il club inglese, con saldo entro tre giorni. Da qui lo stallo nella trattativa. La cifra venne accreditata quasi una settimana dopo alla Barclay’s Bank sul conto intestato a Elton John Equire.

Uno degli artefici delle fortune del Watford, emerso dalla quarta divisione per approdare ai vertici della massima serie inglese, diventò il secondo straniero del Milan 1983/84, dopo il belga Eric Gerets.

I suoi primi calci ad un pallone Blissett li aveva tirati nei campi spelacchiati, attorniati da strade polverose, del quartiere di Kilbourne. “Non fumo, non bevo e non vado a donne. Ascolto la musica di Bob Marley. Sbaglio molto perché ci provo sempre. Non dispero di fare 27 gol anche in Italia”, disse il neo attaccante rossonero appena uscito dal Policlinico di Milano.

In Italia avrebbe percepito duecento milioni l’anno (nel Watford ne prendeva cinquanta) per un triennio. Tra i benefit accordati anche un’automobile e un appartamento. Luther Loide Blissett, classe 1958, ben presto capirà di non riuscire a mantenere le aspettative creando non pochi grattacapi a Ilario Castagner.

BIO: Sergio Taccone, classe 1972, siciliano. Giornalista e tifoso del Milan, è autore di una ventina di libri di storie rossonere, con predilezione per il “Piccolo Diavolo” della prima metà degli anni 80. Da componente del Collettivo Soriano ha vinto, nel 2020, il Premio Selezione Bancarella Sport con un libro sulla vita di Ricky Albertosi. Dirige il portale web Storie Rossonere. 

Ha pubblicato di recente “Il piccolo grande Milan 1982/83” e ha curato, nel 2021, “Milan 1980-’87: le stagioni del Piccolo Diavolo”, opera omnia su sette annate del club rossonero.

2 risposte

  1. Resta comunque un enigma, perché una stagione buca con 2 o 4 gol negli anni ottanta l’hanno fatta anche Platini, Pruzzo e Rossi (proprio al Milan quest’ultimo).
    L’autore dà due spunti interessanti.
    Cita Rush, che appunto in Italia non fece molto bene, ma sul cui talento nessuno dubita, e di lui si è detto che noi marcavamo troppo stretti e lui stesso ha riconosciuto che l’esperienza nella Juve gli è servita molto. Che anche Blisset abbia patito le marcature italiane di Collocati, Brio e Vierchowod?
    E poi fa notare che pure in Gran Bretagna si mangiava un sacco di gol, quindi probabilmente non era un bidone fatto e finito alla Fabio Junior, o alla José Germano (per restare in tema Milan), però era uno di quegli attaccanti (Delvecchio, Schillaci, Vignaioli) che hanno sfondato in contesti in cui ti arrivano 20 palloni a partita ne sbagli 18 ma fai comunque una doppietta ogni volta .

  2. Sono d’accordo con te, Giovanni. Blissett non era una prima punta. Fu questo l’equivoco di fondo. Inoltre, a mio avviso, pagò la vulgata del “bidone” veicolata da più parti e spesso non tenendo conto di criteri oggettivi. Insomma, non era un campione ma neanche un bidone.

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