STORIE DI CHI NON SI ARRENDE A SGUARDI SUPERFICIALI.
Come Alessandro D’Avenia osserva i sistemi educativi scolastici dall’ultimo banco, anch’io osservo i paradigmi culturali sportivi da questa prospettiva privilegiata.
L’ultimo banco in fondo è un ottimo rifugio per chi si sente nudo di fronte alla vita: non fugge ma partecipa, partecipa ma non è sottomesso, non è sottomesso ma non si sente superiore, apprende e comprende. (D’Avenia)
Ascolto, osservo, mi pongo domande, provo a rispondere. E poi, riosservo, rifletto, cerco dubbi, incertezze e criticità, e dopo?
Dopo cerco ancora risposte e domande, cerco la verità, consapevole che sia qualcosa di infinito, una ricerca che ho già perso in partenza ma, questa sfida impossibile, mi tiene vivo, acceso e connesso con loro, i ragazzi in cerca di sogni e speranze.
Giochiamo con i luoghi comuni, con la cultura radicata nel nostro sistema sportivo.
Leggo quasi quotidianamente critiche ai settori giovanili italiani, colpevoli secondo la convinzione comune di non saper produrre più talenti, di non essere più in grado di alimentare la creatività e, soprattutto di non saper allenare la tecnica.
Ecco, mi sono chiesto:
- Cos’è il talento?
- Cos’è la creatività?
- Cos’è la tecnica?
Mi sono posto dunque una serie di domande: quello che leggevo e continuo a leggere, quelle denunce e critiche, sono fondate su basi culturali, oppure sono semplici urla che ci spaventano e che spostano l’attenzione dal reale pensiero critico evolutivo?
L’uomo è un animale sospeso fra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto. (Carl Geertz)
I muri di mattoni sono lì per fermare le persone che non hanno abbastanza voglia di superarli.(Randy Pausch)
Nella disperata ricerca di domande e risposte ho accettato l’ignoto del viaggio, pronto ad accogliere un pensiero divergente, perché quando stai viaggiando scopri te stesso dentro quella distanza che sembra incolmabile tra le infinite domande che ti sei posto e le misere risposte che sei riuscito a trovare.
Siamo soprattutto domande senza risposte. E quelle poche risposte che troviamo, ci fanno diventare ciò che siamo.” (A.Pellei)
Per parlare di talento vorrei dedicarmici in maniera unica, poiché racchiude tutti gli elementi, e non solo, che analizzeremo in questa ricerca.
Tra le moltissime definizioni sulla creatività che sono state coniate, segnalo per semplicità e precisione, quella fornita dal matematico Henri Poincaré:
Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili.
Anche l’apprendimento dunque è per definizione un atto creativo, l’essere umano che apprende destruttura le informazioni che riceve dall’ambiente per farle proprie, ricostituendole nelle sue strutture mentali.
La parola americana “creativity” indica tre elementi per orientarci nella riconoscibilità di questa meravigliosa capacità, rivisitati anche nel dizionario di scienze dell’educazione;
– Capacità della PERSONA intesa come elasticità mentale.
– PROCESSO, ossia il percorso che segue qualsiasi creatore.
– METODO, che consiste nel fare ricorso agli strumenti per la risoluzione dei problemi (Problem Solving).
Questi termini illustrano adeguatamente l’essenza dell’atto creativo, un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che genera una ulteriore regola condivisa (perché rivelatasi utile), osserviamo anche le due dimensioni del processo di disordine e ordine, paradosso e metodo.
Se studiata in modo tale da indagarne i processi, la creatività può essere paragonata al concetto di pensiero laterale o divergente, allontanando la rigidità dei modelli precostituiti, stimolando la formazione di nuovi paradigmi, senza però fornire la piena certezza del raggiungimento di una soluzione, al contrario del pensiero logico che è selettivo e prevede la costante correttezza di un unico percorso scelto, da seguire dall’inizio alla fine e a cui corrisponde sempre e comunque una soluzione prestabilita, il procedimento logico è di forma analitica.
Gianni Rodari, sconfinando nel campo della psicologia per giustificare le sue teorie educative, ha sostenuto che: La creatività è sinonimo di pensiero divergente, cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza e che il suo processo ha un carattere giocoso. (G.Rodari)
C’è anche chi romanticamente esaurisce il problema delineando la creatività come un: Pensiero basato su possibilità, ispirazione e incertezza. (De Bono)
Dopo aver dato un senso al termine creatività, cerchiamo di fare altrettanto per abilità e tecnica, per comprendere come infine tutti gli elementi si abbraccino in un vortice sinergico, continuando il nostro viaggio fatto soprattutto di domande e dubbi.
L’abilità è la capacità di svolgere una forma di attività, anche se può essere una predisposizione naturale, l’abilità è frutto soprattutto della volontà, dell’esercizio e dell’esperienza del soggetto (Vocabolario Treccani)
La tecnica è l’insieme delle norme su cui è fondata la pratica, l’insieme delle regole e dei metodi pratici dalla cui conoscenza e applicazione dipende la condotta più o meno soddisfacente di un gioco o di un’attività sportiva. (Vocabolario Treccani)
Il mio caro amico e collega G. Schillaci mi ricorda sempre che: l’abilità motoria è l’espressione umana del tentativo di risoluzione di un problema di natura motoria.
La tecnica sportiva è la lente di osservazione che decidiamo di utilizzare per osservare un gesto motorio e la scelta sarà, necessariamente dettata dal nostro vissuto, da conoscenze biomeccaniche vere e/o attualmente presunte o dal regolamento sportivo.
La prima, ovvero l’abilità motoria, non si interessa necessariamente della seconda, ossia la tecnica sportiva. La seconda punta ad ottenere la prima, ed è quindi alla ricerca della risoluzione di un problema motorio.
Si può parlare di abilità (scopo) senza considerare la tecnica (esecuzione). Non si può parlare di tecnica (esecuzione) senza tenere a mente l’abilità di riferimento (scopo).
Vengono spesso usate come sinonimi ma sono in realtà percorsi concettuali differenti, che possono tuttavia incontrarsi negli sport tecnico combinatori come la ginnastica, la danza, il pattinaggio o i kata nel karate.
Per onestà intellettuale bisognerebbe definire le abilità aperte e le abilità chiuse, ma lascio il compito ai vari colleghi dottori di scienze motorie di affrontare il tema in forma più approfondita, o meglio ancora lascio ai lettori curiosi la possibilità di ricercare e comprendere in forma unica.
Un consiglio però vorrei lasciarlo, non facciamo l’errore di pensare alle abilità aperte solo negli sport che hanno un’interferenza contestuale, ovvero l’avversario nello stesso spazio di interazione ma, analizziamo e osserviamo bene tutti gli sport che hanno la presenza di un avversario anche se non presente simultaneamente nello stesso spazio ma, che abbia la possibilità di creare variabilità…buona fortuna.
Parafrasando Daniela Lucangeli proviamo a fare il riassunto del riassunto: l’abilità è unica, esperienziale e specifica del soggetto. La tecnica è un costrutto dell’uomo che se abusata conforma tutti i soggetti, perché li standardizza nella risoluzione dei problemi.
Ecco che nel continuo viaggio nell’ignoto fatto di tante domande e poche risposte, sorge in forma naturale e spontanea come un fiore in un campo dal golf l’ennesimo dubbio; Quindi per aiutare lo sviluppo della creatività abbiamo bisogno di contesti che aiutino l’ampliamento delle abilità uniche oppure l’incremento di una tecnica come modello standard?
Analizziamo alcuni mezzi di allenamento ormai conosciuti da tutti.
Quando un istruttore perché di istruttore si tratta, addestra bambini e ragazzi ad una stessa gestualità e, in forma progressiva crea un portafoglio di gestualità tecniche identiche e uguali per tutti, fatte imparare a memoria fuori da un contesto di gioco, possiamo parlare di creatività?
Quando un giocatore sia esso agli arbori del suo percorso, oppure già in possesso di un buon bagaglio esperienziale, viene visto e trattato come un’entità singola che risponde in forma automatica agli stimoli dell’istruttore, allentandolo dal suo habitat naturale (il gioco) e dai suoi bisogni primari di apprendimento (la scoperta), possiamo parlare di creatività?
Eppure, stiamo allenando la tecnica, stiamo impoverendo l’ambiente intorno per permettere al soggetto di ripetere la gestualità tecnica scelta dall’istruttore sia nella forma che nell’esecuzione per centinaia e centinaia di volte.
Continuiamo a giocare con i luoghi comuni; manca creatività nei giocatori di oggi, non sanno più dribblare e, soprattutto, come detto prima, non insegnano più la tecnica nei settori giovanili.
Adesso giochiamo anche con qualche provocazione, in modo da generare un pensiero più profondo e divergente; e se mancasse creatività perché si insegna troppa tecnica rispetto al passato?
In che senso alleniamo di più la tecnica oggi rispetto al passato? Ebbene si, se analizziamo il gioco del calcio anche da un punto di vista sociale e cerchiamo di avere una visione più trasversale sulla persona e sulla società troveremo molte risposte, basta scavare dentro di noi, dentro i nostri ricordi.
Il futuro è una porta nuova, il passato ne è la chiave. (V.Hugo)
Cerchiamo di capire insieme come sia possibile allenare la creatività e le abilità, e dopo torneremo nel passato per capire il futuro e innovarlo.
Dunque la creatività si può “allenare”, si può stimolare, creando un modello che nutra gli elementi citati sopra, che alimenti un processo di metabolizzazione di informazioni dall’ ambiente, che stimoli continuamente adattamenti a nuovi contesti e che generi nuovi soluzioni.
Dove possiamo trovare questi contesti variabili e trasformativi che aiutano nell’apprendimento di nuove e uniche abilità facendo emergere la tanto desiderata creatività?
Nel gioco, nel gioco del calcio e nei suoi gradi di complessità, che ne costituiscono la specificità, troviamo tutto questo.
Huizinga, sostiene nel saggio Homo Ludens 1939 che: Il gioco è uno degli stessi fondamenti della cultura e non una sua conseguenza, perché il concetto di cultura presuppone l’esistenza di una convivenza fatta di interazioni e sistemi complessi per elaborare le informazioni.
Viene chiamato “cerchio magico”, ed è uno spazio chiuso in cui viene riprodotto parte dell’ambiente reale: istituirlo comporta dunque il possesso di una consapevolezza e di una padronanza sulla problematica e sul contesto in questione.
La creatività è un processo del tutto culturale.
Torniamo dunque alla nostra inchiesta sociale, quanto un bambino/ragazzo oggi gioca in forma ludica (es. partite al parco), e in forma strutturata (allenamento specifico) alimentando e allenando le sue abilità uniche?
Quanto un giocatore allena la tecnica in forma destrutturata e analitica?
Quanto questo avveniva in passato negli anni 70’, 80’, 90’, riconosciuti da tutti come gli anni d’oro del calcio Italiano.
Facendo un semplice e rapido calcolo, un ragazzo praticava il gioco in forma ludica circa 4/5 ore al giorno, si allenava circa tre volte alla settimana dove aveva un’esposizione di: 40 min. di tecnica e di 50 min. di gioco strutturato (riferimento al metodo tradizionale).
Riassumendo per 5 giorni alla settimana si arrivava ad una esposizione di 20/25 h in alcuni casi anche di più di gioco e, circa 1h20 di tecnica alla settimana.
Oggi questa forbice è drammaticamente diminuita, perché oltre ad un impatto sociale lo sport ha dovuto far fronte a metodologie che mettono al centro l’istruttore e non il giocatore.
Spesso insegniamo la tecnica fuori dal contesto in cui emerge.
La tecnica di un in individuo deve avere la libertà di adattarsi in maniera unica alle situazioni.
(K. Davids)
Oggi non solo si gioca di meno ma, molti hanno un approccio riduzionistico dove il gioco viene scomposto in parti, perdendo la sua essenza, il suo valore naturale di favorire l’apprendimento, coinvolgendo le classi neurali specifiche e stimolando il cervello limbico dove risiedono le nostre emozioni, che sono moltiplicatori dell’apprendimento.
La domanda relativamente ultima nel nostro viaggio infinito, quale potrebbe essere?
I campioni che tanto abbiamo amato e ammirato si sono formati in quei 40 min. di tecnica, oppure in quelle montagne di ore giocando, alimentando le loro abilità, prendendo decisioni, vivendo contesti continuamente variabili e dovendo far fronte alla complessità del gioco del calcio?
Immagino cosa starete pensando, allora dovremmo far giocare i bambini e i ragazzi in forma libera come un tempo.
La mia personale opinione a riguardo è assolutamente no.
Quando osservi un’attività aperta (gioco ludico), cosa succede? Si ricorre spesso alle solite risposte, non esiste una risposta giusta o sbagliata, ma è molto probabile che accada così, che i giocatori rispondano sempre un po’ allo stesso modo. Per questo l’allenatore è lì, ad osservare per modificare qualcosa, in modo che i giocatori escano dalle loro abitudini ed esplorino altre soluzioni e allarghino il loro raggio d’azione. (Carlota Torrents, professoressa presso l’Istituto nazionale di educazione fisica della Catalogna)
Dobbiamo partire dal gioco perché è la natura dell’essere umano a richiedercelo ma, dobbiamo essere evoluti nel creare nuovi contesti di apprendimento, perché l’istruttore è utile agli animali e non all’ “Homo Sapiens” che necessità di una guida.
L’allenatore oggi dev’essere un differenziale di sviluppo così come ci insegna Vygotskij, deve possedere abilità empatiche, comunicative ed emotive, dev’essere un ricercatore pronto ad accogliere il nuovo per creare contesti adatti allo sviluppo dei propri ragazzi, insomma deve trasformare il gioco in una forma superiore, deve sfruttare i gradi di complessità per trasformare e creare contesti nuovi e favorire l’apprendimento.
Caro amico, non con la costrizione dovrai formare i giovani, ma con il gioco, in modo che anche tu sia in grado di distinguere le naturali predisposizioni di ciascuno. (Platone)
L’allenamento individuale e il miglioramento delle abilità individuali esistono all’interno del contesto collettivo, perché nessuno di noi è neutro all’altro, siamo tutti interconnessi.
La tecnica più alta è non avere tecnica. La mia tecnica è il risultato della tua tecnica; il mio movimento è il risultato del tuo movimento, è un continuo adattamento all’ambiente. (Bruce Lee)
Dobbiamo accettare che, la nostra logica venga messa in discussione dalla creatività e dalle scelte illogiche degli unici attori protagonisti: i giocatori che, con la loro unicità alimentano e creano continuamente nuovi scenari di gioco e infinite possibilità di soluzioni e adattamenti.
Purtroppo, dal mio punto di vista, vi è ancora un importante influenza rigida e comportamentista nei modelli educativi e di apprendimento, spesso radicata inconsapevolmente, questo genera un’incoerenza tra il dichiarato e l’agito, che trasmesso ai giovani non fa altro che alimentare un senso di smarrimento e confusione.
Si parla di libertà ma non si accettano gli errori, si parla di educazione ma poi si istruisce in modo direttivo e ripetitivo, si generano regole affinché sia tutto sotto il controllo di chi governa.
Soprattutto si chiede creatività e poi si fa ripetere per innumerevoli volte la gestualità tecnica scelta dall’istruttore, pretendendone anche un’esecuzione perfetta, ignorando che la perfezione è un film costruito nella nostra mente e, ognuno di noi si costruisce il proprio set cinematografico.
Eppure, oggi le ricerche e le evidenze ci spingono verso un approccio più complesso e caotico che accetti la non linearità del percorso, che comprenda l’unicità di ogni individuo dentro un contesto sociale fatto di interazioni, che sappia accogliere e comprendere.
Abbiamo il dovere deontologico, di ascoltare, comprendere e agire, non è più tempo di elevarci a giudici supremi, di idealizzare progressioni lineari per far si che i giovani imparino e immagazzinino informazioni, non è più possibile pensare di ingozzarli di contenuti da imparare a memoria.
Il calcio è cultura, le nuove generazione necessitano di figure pronte ad accogliere le loro necessità non le nostre presunte verità.
Più ABILITA’ per la CREATIVITA’.
BIO: Riccardo Catto
Papà di due meraviglie: Andrea e Vittoria. Marito di un splendida donna: Carlotta
Laurea in scienze dell’educazione. Tesi: Apprendimento Pedagogico
Master in Pedagogia Montessoriana
- – Fc Torino Calcio season 2023/2024 Head Coach U15
- -Youth Sector OfK Ostersund Consultant since 2022
- – Fc Juventus Head Coach U14 2021-2023
- – Fc Juventus Assistent Coach U15 2018-2021
- – Fc Ivrea 1905 Head Coach U19 2016-2018
12 risposte
Articolo molto, molto, molto interessante, ben costruito, forse con qualche “citazione di troppo”…complimenti!
Ciao Fausto, innanzitutto grazie.
In risposta alla tua considerazione posso dirti che, è possibile che tu abbia ragione ma, la volontà di inserire citazioni e referenze non è nient’altro che il desiderio di rinforzare un pensiero attraverso opinioni ed evidenze non solo personali.
Un articolo di grande spessore. La dimostrazione di come si possa studiare lo sport ed il calcio ritrovando scienza e cultura ai massimi livelli. Complimenti davvero.
Grazie Mirko, apprezzo molto.
Potrei dire che in questo articolo c’è racchiuso tutto quello che può servire a chi deve trasmettere e trasferire alle nuove generazioni ,senza avere la verità in tasca,le basi per lasciare “esplodere” il talento di ogni ragazzo ,che è unico ,e non ripetibile ….ma oggi è fattibile?
Ciao Michele, ti rispondo anche se credo che poi ti risponderà l’autore. Credo che sia fattibile, auspicabile.Noi allenatori abbiamo questa mania di controllo su ogni cosa che spesso non permette al talento dei nostri ragazzi di esprimersi. Grazie per il commento. A presto.
Ciao Michele, credo che la tua perplessità sulla fattibilità di questo eventuale processo metodologico sia comprensibile visto il contesto culturale in cui viviamo e agiamo.
Credo però che, questo cambio di paradigma debba essere fattibile perché di vitale importanza per il nostro sistema.
Abbiamo bisogno di responsabili di settori giovanili lungimiranti che abbraccino la ricerca e che creino le condizioni per favorire la scintilla del nuovo che, come detto nell’articolo non rinnega il passato ma, lo trasforma a misura della nuova generazione.
Dopo come giustamente ha detto Filippo, serve anche un “esercito” di allenatori che siano capaci di perdere il controllo, guidando i giovani nell’apprendimento rendendoli protagonisti e autonomi.
Queste due figure importantissime devono lavorare in stretta sinergia.
Spero di averti risposto
Complimenti un articolo molto interessante e ben scritto.
Ciao Umberto, grazie mille per il commento.
La curiosità sulla vita in tutti i suoi aspetti, a mio avviso, è ancora il segreto dei grandi creativi. (Leo Burnett)
CREATIVITÀ è la capacità di risolvere problemi non seguendo percorsi prevedibili e collaudati,
ma producendo idee e soluzioni nuove e impreviste. Si differenzia dal termine ‘immaginazione’, perché il suo impiego prevede una soluzione “produttiva”.
Ciao Riky d’accordo su tutto, possiamo parlare di LIBERTA’ espressiva, tecnica, umana e comportamentale ed all’interno di tutto ciò si sviluppa, cresce e si forma la persona insieme al giocatore. Grazie bel contributo.
Ciao Luca, grazie per il commento.
Credo che persona e giocatore siano inscindibili, ed e’ proprio per questa che la figura dell’allenatore nel settore giovanile diventa determinante nel processo di crescita.
Come detto, la nostra figura ha diverse dimensioni; quella professionale specifica del gioco del calcio, quella educativa, quella sociale e psicologica.
È la capacità del “tirar fuori” il potenziale che farà la differenza.
Insomma, credo che nel nostro “agire” quotidiano che ci piaccia o meno, influenziamo non solo il giocatore ma, anche la persona.
Questo aspetto ci porta una responsabilità enorme, una responsabilità che non dobbiamo mai dimenticare e sottovalutare.
A presto !!
Ciao Ricky ho letto attentamente quanto hai scritto ed trovato molto interessante l’argomento. Creatività, abilità e tecnica… dobbiamo partire dal gioco e dobbiamo essere evoluti nel creare nuovi contesti di apprendimento.
Complimenti 👍