Per la prima volta, a sette anni dal mio esordio in Nazionale, mi sento finalmente un giocatore importante.
Ai Mondiali di calcio c’ero anche quattro anni fa (1982), ma, tranne che per una una partita con il Kuwait (che non contava nulla perché eravamo già qualificati), ho sempre dovuto sedermi in panchina.
Ron Greenwood nel settore nevralgico del gioco preferiva Bryan Robson e Ray Wilkins, la coppia di centrocampisti centrali del Manchester United e come prima alternativa aveva Trevor Brooking, l’esperto regista del West Ham.
Poi sulla panchina inglese è arrivato Bobby Robson.
Anche se all’inizio ha continuato a preferirmi Robson e Wilkins sapevo che l’idea di calcio così meravigliosamente espressa dal suo Ipswich Town per tanti anni poteva essere perfetta per il sottoscritto.
Un centrocampo dove la tecnica contava più della corsa, la capacità nei passaggi più della bravura nei tackles e la creatività più della forza fisica.
C’è voluto un po’ di tempo e c’è voluto soprattutto una cocente sconfitta a Wembley con la Danimarca, che ci ha impedito di giocare i Campionati Europei in Francia del 1984.
Ma dalla partita con l’Ungheria in poi sono entrato stabilmente in squadra e non ne sono più uscito.
Alla faccia di quegli “esperti” nei media britannici che confondono ancora il calcio con il rugby.
Ora finalmente sento che non ho bisogno di fare cose speciali ogni volta che scendo in campo con la maglia dei Tre leoni.
È stato così per anni. Fin dall’esordio a Wembley, in una partita valida per le qualificazioni agli Europei italiani contro la Bulgaria.
Eravamo nel novembre del 1979. Avevo solo ventidue anni, ma nel mio Tottenham ero titolare inamovibile da più di tre stagioni.
Quella sera giocai una buona partita, niente che non facessi settimana dopo settimana con i miei adorati Spurs… ma poi segnai un goal.
Un bel goal, con un tiro da fuori area “a giro”.
Il giorno dopo pareva che l’Inghilterra intera si fosse accorta del sottoscritto.
Sembrava l’inizio di una lunga carriera nella Nazionale del mio paese. In realtà la mia “luna di miele” durò un pugno di partite prima che i miei detrattori iniziassero a definirmi «un lusso che la Nazionale Inglese non può permettersi».
… come se “saper giocare a calcio” sia un “lusso” …
Da quel momento, fino all’avvento di Bobby Robson, è stato un continuo “dentro e fuori”.
Indispensabile quando non giocavo e l’Inghilterra perdeva, “un inutile soprammobile” quando invece giocavo e non vincevamo!
Domani inizierà un nuovo Campionato del Mondo. Ci sono ancora Bryan Robson e Ray Wilkins.
Ma stavolta ci sono anch’io. E non importa se dovrò giocare un po’ spostato sulla destra invece che al centro del campo. Sto aspettando questo giorno da una vita. A ventinove anni so bene che difficilmente ci sarà un’altra occasione.
… Ma è ora che il mondo sappia chi è davvero Glenn Hoddle …
L’avvio di quel Mondiale messicano del 1986 non sarà esattamente come nelle speranze di Hoddle.
Una sconfitta all’esordio contro il Portogallo ed uno scialbo pareggio a reti bianche contro il Marocco mettono l’Inghilterra in una situazione quanto mai complicata.
Bisogna vincere l’ultimo match contro la Polonia.
Nell’incontro con il Marocco, però, sono successe due cose che si riveleranno fondamentali per le sorti della Nazionale Inglese e di Glenn Hoddle in particolare.
Accade tutto nel giro di tre minuti scarsi. Prima si fa male Bryan Robson, capitano e leader del team, e subito dopo Ray Wilkins viene espulso. I due perni su cui è stato costruito il centrocampo inglese nell’ultimo lustro non saranno disponibili per il decisivo match contro i polacchi.
Bobby Robson a questo punto decide di consegnare a Glenn Hoddle “le chiavi” del centrocampo dei bianchi. Non più da comprimario, quindi, leggermente defilato sulla destra e ai margini del gioco come nelle prime due partite, bensì impiegato finalmente come nel suo Tottenham: da regista e leader assoluto del centrocampo.
Al suo fianco viene inserito l’esperto Peter Reid dell’Everton, centrocampista di grande intelligenza tattica e predisposto come pochi al sacrificio.
Con il “grigio crinito” mediano dell’Everton che “porta la croce”, Glenn può finalmente dedicarsi a quello che sa fare meglio: “cantare”, per se stesso e per tutto il team.
L’Inghilterra annichilisce la Polonia per tre reti a zero.
Gary Lineker, autore della tripletta, sembra un altro giocatore imbeccato dai lanci millimetrici di Hoddle, che sa “leggere” alla perfezione i suoi movimenti in profondità a dettare il passaggio.
Negli ottavi di finale tocca al Paraguay ma non ce n’è più per nessuno.
L’Inghilterra gioca un grande calcio e Hoddle disputa una partita sontuosa.
I suoi passaggi filtranti, i suoi cambi di gioco, la sua tecnica sopraffina e quella capacità davvero rara di calciare alla perfezione con entrambi i piedi gli regalano finalmente la vetrina che merita.
Nei quarti di finale finirà l’avventura degli inglesi, sconfitti da un furbo fenomeno come Diego Armando Maradona, dal suo sinistro e da una mano galeotta.
Glenn Hoddle entrerà praticamente in tutte le formazioni “tipo” degli addetti ai lavori di quel mondiale e sarà proprio grazie a quel Mondiale messicano che il suo nome diventerà finalmente conosciuto a livello internazionale. Il minimo per un calciatore di grande talento che in fondo ha avuto solo una grande maledizione: essere nato troppo in anticipo rispetto al suo tempo … e probabilmente anche nel paese “sbagliato”.
Si, perché ora, uno come Glenn Hoddle, sarebbe un fenomeno assoluto del calcio mondiale.
Glenn Hoddle nasce ad Hayes, nel Middlesex il 27 ottobre 1957.
Si trasferisce da piccolissimo nell’Essex ed è lì che, a soli sette anni, sviluppa già un talento incredibile per il calcio. A scuola gioca già con la selezione Under-11 anche se ha quattro anni in meno di quasi tutti i suoi compagni di squadra. È più o meno in quel periodo che s’innamora degli Spurs, pare durante una partita del campionato riserve.
Quando nella sua scuola vengono invitati Martin Chivers e Ray Evans per la premiazione di un torneo scolastico, le due ex-glorie del Tottenham non possono fare a meno di ammirare il talento dell’ormai undicenne Hoddle.
Glenn viene invitato ad allenarsi con le giovanili del Club. Pare che bastino poche settimane per convincere i Responsabili del Settore Giovanile a mettere sotto contratto come “apprendista” il giovane Glenn.
La sua rapida crescita fisica gli provoca diversi problemi alle articolazioni e per un po’ i problemi fisici ne limitano lo sviluppo tecnico… ma è solo questione di tempo.
Hoddle brucia le tappe e il 21 febbraio del 1976, a soli diciotto anni, fa il suo esordio dal primo minuto in First Division, contro lo Stoke City la cui porta è difesa dalla gloria nazionale Peter Shilton.
Segnerà un goal fantastico, con un sinistro al volo da oltre 25 metri.
L’anno successivo gli Spurs retrocederanno dalla First Division ma, nonostante siano in tanti a richiedere le sue prestazioni, Glenn rimane fedele ai suoi adorati colori.
Il ritorno in First Division è immediato.
Dopo un ulteriore anno di crescita è nella stagione 1979-1980 che Hoddle mostra finalmente appieno le sue incredibili doti. Non solo dirige con la sua classe immensa il centrocampo del Tottenham ma la sua fantastica abilità al tiro, in azione e su calcio piazzato, farà sì che a fine stagione potrà contare ben 22 reti… cifra che moltissimi attaccanti puri firmerebbero tranquillamente!
Saranno anni d’oro per il Tottenham che, sebbene non riuscirà mai ad arrivare ai vertici della First Division, nelle competizioni ad eliminazione diretta otterrà invece risultati eccezionali; valgano come esempio le due FA CUP consecutive nel 1981 e nel 1982 o la brillantissima prestazione nella Coppa Uefa della stagione 1983-1984 che vedrà trionfare gli Spurs nella doppia finale contro i temibili belgi dell’Anderlecht di Morten Olsen, di Enzo Scifo e di Georges Grun.
Dopo i Mondiali in Messico del 1986 le richieste dal continente per Glenn si moltiplicano.
Hoddle chiude la sua carriera agli Spurs con un’altra finale di FA CUP, questa volta uscendo sconfitto dal sorprendente Coventry.
Ad attenderlo, nell’estate del 1987, ci sono i francesi del Monaco guidati da un giovane e rivoluzionario manager che si chiama Arsen Wenger. Con Glenn arriva dal Milan il connazionale Mark Hateley; ad accogliere entrambi al Monaco troveranno, tra gli altri, calciatori di livello assoluto come i nazionali francesi Ettori, Battiston e Amoros… e l’anno successivo si unirà a loro un giovane attaccante liberiano di cui si raccontano meraviglie che si chiama Georges Weah.
Per il Monaco c’è subito la conquista del titolo e Hoddle è il riconosciuto protagonista principale e leader assoluto della squadra. Wenger lo esime da tutti i compiti difensivi e lo lascia libero di muoversi e creare nella metà campo avversaria. Il portiere Jean-Luc Ettori dirà di lui «Per noi Glenn è Dio. Non c’è altro da aggiungere».
Hoddle nelle sue prime due stagioni al Monaco segnerà 29 reti in 84 partite prima che un brutto infortunio al ginocchio da cui fatica a riprendersi convincerà il Monaco e lo stesso Glenn ad arrivare ad una risoluzione consensuale.
Rimane oltre un anno senza riuscire a tornare in campo. A soli trentatré anni si trova in una situazione quanto mai delicata: non è più un calciatore ed è obiettivamente troppo giovane per una panchina importante.
L’unica offerta concreta arriva dallo Swindon Town, squadra in gravi difficoltà finanziarie che, proprio a causa di poco trasparenti operazioni economiche, si è vista prima strappare una First Division conquistata sul campo e poi ha dovuto sopportare una autentica emorragia dei propri migliori calciatori.
Quando Glenn arriva al Club la situazione è davvero drammatica.
In pochi mesi si è passati da una First Division raggiunta per meriti sportivi e poi negata ad una quasi certa retrocessione nella Terza serie del calcio inglese.
Hoddle, che si è comunque tesserato come “player-manager”, non si dà per vinto.
Con un’autentica impresa salva i Robins dalla retrocessione e nella stagione successiva sfiora addirittura i play-offs. Nel frattempo il ginocchio ha iniziato a mettere giudizio e sono sempre più frequenti i match in cui Glenn “si mette in campo”. È un uomo intelligente, lo è sempre stato. Sa che in mezzo al campo non ha più la possibilità di imporsi. Ritmi troppo alti e scontri fisici troppo cruenti per il suo ginocchio. E così s’inventa come “libero” in una difesa a tre, qualcosa di assai poco comune nel calcio inglese, sebbene sperimentato con successo a livello di Nazionale da Bobby Robson ai Mondiali in Italia del 1990.
Nella stagione successiva, però, la qualificazione per i play-offs arriva davvero e nella finale di Wembley del 31 maggio del 1993 il suo piccolo Swindon Town contende al Leicester City un posto in Premier League. Glenn è in campo con il numero 4, giocando da libero alle spalle dei due difensori centrali.
Sarà una partita memorabile, una delle più spettacolari mai viste nel grande tempio del calcio inglese. Lo Swindon vincerà per 4 reti a 3 e Glenn Hoddle, oltre a segnare un goal, risulterà indiscutibilmente il migliore in campo.
Pochi giorni dopo aver portato lo Swindon in First Division Glenn Hoddle accetterà l’offerta del Chelsea, anche qui mantenendo lo status di allenatore-giocatore.
I suoi tre anni al Chelsea confermeranno appieno le sue grandi doti di manager anche se non tutti apprezzano i suoi modi spesso altezzosi e supponenti.
Nel maggio del 1996, a 39 anni, arriva la panchina più importante nella carriera di qualunque allenatore inglese: è la Nazionale dei 3 leoni che lo vuole al comando delle operazioni per raggiungere le finali del Campionato del Mondo di Francia del 1998.
Raggiungerà questo obiettivo alla grande, conquistando il primo posto nel girone di qualificazione e costringendo l’Italia al play-offs con la Russia.
L’Inghilterra giocherà un mondiale più che dignitoso prima di uscire agli ottavi contro l’Argentina ai calci di rigore dopo una rocambolesca partita.
Sembra comunque l’allenatore perfetto per la Nazionale Inglese che ha ritrovato competitività e soprattutto un gioco finalmente moderno.
… Invece Hoddle dovrà lasciare la panchina dell’Inghilterra pochi mesi dopo a causa di alcune sue infelici dichiarazioni … “cavalcate” con arte dai più popolari tabloids inglesi.
Ma questa, come direbbe il grande Carlo Lucarelli, è un’altra storia…
Nell’ottobre del 2018, esattamente il giorno del suo sessantunesimo compleanno, mentre si trova negli studi della BT Sport, Glenn Hoddle ha un attacco cardiaco. Solo il prontissimo intervento di Simon Daniels, uno dei fonici dello staff, evita il peggio.
Hoddle viene ricoverato in gravi condizioni ma dopo pochi giorni viene considerato fuori pericolo.
… e per quanto controversa possa essere la sua figura una cosa è certa: di talenti del genere in Inghilterra ne sono nati proprio pochi…
ANEDDOTI E CURIOSITÀ
Durante il suo soggiorno in Francia con il Monaco dove vinse il campionato nella sua prima stagione ed eletto miglior calciatore del Ligue 1, furono davvero in tanti a celebrare il suo grande talento.
Significative le parole del compagno di squadra Patrick Battiston, all’epoca terzino del Monaco e della Nazionale francese:«Non fatemi scegliere tra Michel Platini e Glenn Hoddle… perché non saprei davvero dirvi chi dei due è più bravo».
Lo stesso Michel Platini, parlando di Hoddle disse che «se fosse nato in Francia in Nazionale avrebbe giocato almeno 150 partite!»
Arsene Wenger si spinge ancora più in là: «È il calciatore tecnicamente più forte che io abbia mai allenato. Controllo di palla sublime, visione di gioco e una capacità di calciare alla stessa maniera con entrambi i piedi che non ho mai più visto né prima né dopo di lui»… E qualcuno bravino Wenger lo ha allenato …
Non tutti, però, sono stati ferventi ammiratori di Hoddle. Tommy Smith, il forte e durissimo difensore del Liverpool, ha sempre criticato duramente la scarsa propensione di Glenn Hoddle allo scontro fisico e la sua totale mancanza di “cuore” e di… attributi!
«Per quanto mi riguarda per me potete chiamarlo “GLENDA!”» fu la spietata sentenza di “Iron Man” Smith.
Molto criticato anche il suo stile manageriale.
«Amava metterti in ridicolo con la sua incredibile capacità tecnica –racconta Tony Cascarino che ebbe Hoddle come manager al Chelsea. Quasi provava piacere ad umiliarci quando ci chiedeva di fare cose che per lui erano naturali mentre per molti di noi erano impossibili».
Sempre l’ex-centravanti di Olympique Marsiglia e della Nazionale Irlandese aggiunge: «Quando si vinceva era sempre merito della sua strategia. Quando si perdeva la colpa era di noi giocatori che non avevamo fatto quello che lui ci aveva chiesto».
Sullo stesso tono è Mickey Hazard, compagno di Hoddle agli Spurs e in seguito allo Swindon. Durante un allenamento, dopo aver ridicolizzato in dribbling un paio di volte il piccolo centrocampista, Hoddle gli dà dello “sciocco” vista la facilità con cui si è fatto ripetutamente superare. «Dillo un’altra volta, Glenn, e ti spacco le gambe» è la risposta decisa di Hazard. Che aggiunge poi: «Quando morì mia madre fu in assoluto la persona che mi stette più vicino. Dopo il funerale rimase a casa mia a consolarmi quando tutti se n’erano andati da un po’. Glenn è così, è una persona speciale!».
Infine queste le parole di uno dei suoi più grandi estimatori, Brian Clough, il più grande allenatore inglese di sempre.
«Se fossi io il manager dell’Inghilterra costruirei la squadra attorno a lui. Un genio come Hoddle non possiamo permetterci di sprecarlo» disse il grande manager del Nottingham Forest e del Derby County, aggiungendo poi un chiaro messaggio ai detrattori dell’elegante regista degli Spurs:«Dite che Hoddle non ha coraggio? Ma avete idea di che coraggio ci voglia per giocare come gioca Hoddle? Lui si assume responsabilità con il pallone, sempre, in ogni momento del match. Questa è la differenza tra lui e tutti gli altri».
… e sono in molti a chiedersi COSA sarebbe stata una Nazionale Inglese con Brian Clough in panchina e Glenn Hoddle in cabina di regia …
BIO: Remo Gandolfi e’ nato e vive a Parma. Ha gia’ 7 libri all’attivo tra i quali il fortunato “Matti, miti e meteore del futbol sudamericano”. Ha una rubrica fissa sul popolare Calciomercato.com (“Maledetti calciatori”) e con gli amici di sempre gestisce un blog www.ilnostrocalcio.it . Quanto all’amato pallone, e’ profondamente convinto che la “bellezza” e “il percorso” contino infinitamente di piu’ del risultato finale.