Nel tentativo di tener botta con i tempi che stanno cambiando così in fretta, provo ad aggiungere ulteriori dati di derivazione Neuroscientifica ed alcune evidenze che polverizzano convinzioni divulgate con disinvoltura in passato e da revisionare ora, grazie a nuovi elementi forniti dalla ricerca.
Nonostante l’esistenza di molti documenti che comprovano interpretazioni fuorvianti e poco esatte dei risultati, questi spesso vengono ancora dati per certi tramite articoli, webinar, interviste. Purtroppo sulla base di questi presupposti inesatti a volte vengono costruiti percorsi allenanti che avranno riscontri probabilmente inefficaci.
Questo mio continuo richiamo alle Neuroscienze potrebbe risultare capzioso agli occhi degli allenatori, proiettati in questo momento verso l’urgenza di inizio campionato, catapultati nella progettazione concreta di itinerari, tra bombe d’acqua e pomeriggi di real canicola.
In realtà è solo il tempo quello che sempre manca, altrimenti queste sono alcune delle tematiche che potrebbero offrire a tutti gli operatori il vantaggio di osservare al meglio il movimento nel gioco, capire e agire sulle straordinarie architetture cerebrali che lo sottendono, innescare processi generativi nella propria squadra, capace di qualsiasi futuro.
Nella certezza che il nostro comportamento di allenatori e quello dei giocatori, per quanto complesso possa essere, è infatti determinato da incessanti cambiamenti nelle attività di 86 miliardi di cellule cerebrali suddivise in 10.000 tipi diversi, tutte strettamente in team working, responsabili di quelle decisioni prese mentre il gioco avviene.
Si riteneva in passato, ad esempio, che ciascun area corticale avesse un compito ben netto e preciso; oggi sappiamo che tutte lavorano in modo integrato, e che avvengono molte sovrapposizioni cerebrali per raggiungere uno scopo, che non esiste distinzione tra i due emisferi, che i neuroni possono rigenerarsi sia durante lo sviluppo che in età adulta, dando vita a nuove connessioni sinaptiche, che NOVA1 è solo un rigagnolo nel fiume in piena che sta travolgendo preconcetti e vecchie credenze.
Le facoltà della mente che più attirano la mia curiosità sono quelle che permettono al giocatore la risoluzione dei problemi di gioco anche in relazione alla presa di coscienza di ciò che sta facendo; un tempo erano deputate quasi esclusivamente alla corteccia cerebrale, e in particolare all’area prefrontale, sede delle funzioni esecutive, oggi la geografia è decisamente cambiata.
Ed anche le deduzioni di eminenti ricercatori conseguenti agli esperimenti di laboratorio stanno subendo una sorta di revisionismo come in questo caso Benjamin Libet dell’University of California e del suo collaboratore Daniel Wegner.
PREMESSA
Di solito un calciatore prima di eseguire una determinata azione prova la sensazione di trovarsi di fronte a due o più scelte possibili e percepisce che la sua intenzione, la sua volontà di mettere in atto una giocata provocherà l’evoluzione del gioco.
Quando poi avrà modo di riflettere a bocce ferme su questo vissuto con il Mister, da solo o con la squadra tutta, il giocatore avrà la sensazione di aver compiuto un’azione libera in quanto avrebbe comunque potuto agire diversamente da come ha agito a prescindere dal risultato.
Per innescare tali processi saranno indispensabili la presenza di due o più alternative ed una libera deliberazione del giocatore, presa in base a quello che l’ambiente gli stava prospettando proprio in quel preciso istante.
Questione di affordances direbbe James Gibson. A volte l’azione è frutto del caso o di fattori variabili indipendenti dalla volontà del giocatore, ma l’allenamento dovrebbe servire proprio a far si che l’esperienza, i desideri, le intenzioni, i progetti possano rientrare nella catena causale che porterà alla giocata stessa.
Essi partirono da lavori datati 1964 di due ricercatori tedeschi HANS HELMUT KORNHUBER e LÜDER DEECKE e, precedentemente, da WILLIAM GRAY WALKER: analizzando tramite elettroencefalogramma l’attività cerebrale APPENA ANTECEDENTE UN ATTO DI MOVIMENTO VOLONTARIO, essi avevano registrato DUE DIVERSI PICCHI NEURONALI, misura dell’attività rilevabile.
Una volta SUPERATA UNA CERTA SOGLIA si verificava infatti un ACCUMULO DI FLUTTUAZIONI delle attività dei neuroni, capaci di PROVOCARE l’inizio del movimento.
Questo accumulo fu denominato POTENZIALE D’AZIONE Readiness Potential (RP) o POTENZIALE di BEREITSCHAFT cioè di PRONTEZZA MOTORIA (come riportato nel penultimo articolo <AND TIME GOES BY> trovate i LINK di seguito).
L’ obiettivo di Benjamin Libet fu quello di stabilire se ci fosse o meno una DIFFERENZA TEMPORALE TRA L’INIZIO DELL’RP E LA REALIZZAZIONE DELL’AZIONE VOLONTARIA da parte del soggetto.
Libet effettivamente dimostrò che l’ ATTIVITÀ MOTORIA A LIVELLO DELLA CORTECCIA CEREBRALE (PER ESEMPIO MUOVERE UN DITO) PRECEDE DI CIRCA 350 MILLISECONDI LA PRESA DI COSCIENZA, la quale SUBENTRA CIRCA 200 MILLISECONDI DOPO CHE È STATO ATTIVATO IL 1° NEURONE MOTORE SULL’AREA CEREBRALE PREPOSTA.
L’esperimento di Libet, pubblicato per la prima volta nel 1983, mirava a testare LA RELAZIONE TRA LA VOLONTÀ COSCIENTE E L’ATTIVITÀ NEURALE DEL CERVELLO, l’anello di congiunzione tra la LIBERTÀ DI AGIRE e l’ambito FISIOLOGICO.
REALMENTE il potenziale di prontezza del cervello aveva preceduto la decisione consapevole di premere il pulsante ma questa evidenza fu fuorviante per Libet perchè lo portò a concludere che LA VOLONTÀ COSCIENTE DEL GIOCATORE NON È VERAMENTE LIBERA, ma una CONSEGUENZA POST-HOC dell’attività neurale che si era già verificata.
Le ricerche più attuali in campo neuroscientifico inoltre dimostrano l’inesistenza di un rapporto consequenziale tra il POTENZIALE DI PRE-ATTIVAZIONE Readiness Potential (RP) POTENZIALE di BEREITSCHAFT e la DECISIONE EFFETTIVA. Inoltre il momento della decisione cosciente può essere influenzato come vedremo dalle procedure sperimentali.
Sono QUESTE CONCLUSIONI avventate dell’esperimento che hanno decisamente influenzato svariati ambiti, tra cui quello educativo, specialmente per quel che riguarda l’autodeterminazione e l’autorganizzazione del soggetto, che saranno successivamente dibattute e criticate da molti scienziati e filosofi.
Il dibattito sulla relazione tra cervello e coscienza è ancora in corso.
ESPERIMENTO
Benjamin Libet condusse le sue ricerche allo scopo di DETERMINARE IL TEMPO INTERCORRENTE TRA L’ESECUZIONE D’UN ATTO MOTORIO ED IL RENDERSI CONTO DI FARLO, L’ATTO, servendosi di un elettroencefalografo (EEG), un elettromiografo (EMG) e un oscilloscopio appositamente modificato.
L’oscilloscopio faceva comparire sul monitor un quadrante marcato da segni a intervalli regolari, come in un orologio, ed un puntino che compariva intorno ad esso a velocità costante.
Per spostarsi da un segno all’altro, il puntino impiegava 43 millisecondi, per compiere una rotazione completa 2,56 secondi. L’EEG e l’EMG misuravano, invece, le attività cerebrali del soggetto posto di fronte al monitor, il quale doveva muovere un dito non appena il puntino fosse giunto in corrispondenza di uno dei segni del quadrante e, in secondo luogo, riferire la posizione del puntino nel preciso istante in cui avesse avvertito l’impulso a compiere l’azione.
Attraverso gli elettrodi, Libet registrò la FREQUENZA e l’AMPIEZZA delle onde cerebrali nella regione dell’ AREA MOTORIA SUPPLEMENTARE della corteccia, connessa ai movimenti volontari e l’insorgere di una caduta del potenziale nella corteccia che precede ogni atto (readiness potential RP).
Un elettromiografo misurava inoltre il momento in cui avveniva la contrazione muscolare vera e propria. Libet scoprì appunto, attraverso l’encefaloelettrografia (EEG), che il cervello dei soggetti mostrava un’attività particolare e riconoscibile già MOLTI MILLISECONDI IN ANTICIPO RISPETTO ALLA PRESA DI COSCIENZA DELLA DECISIONE. Chiamò VARIABILE SOGGETTIVA V, la volontà del soggetto di muoversi e VARIABILE M, il MOMENTO REALE IN CUI IL PARTECIPANTE aveva eseguito IL MOVIMENTO. Ciò che Libet trovò, fu appunto che la CADUTA DI POTENZIALE (e quindi l’inizio del processo che anticipa il movimento volontario) precede di circa 300-500 millisecondi IL PRIMO APPARIRE DELLA COSCIENZA DI UN DESIDERIO AD AGIRE. Il risultato dell’esperimento fu controintuitivo: il potenziale di prontezza motoria cominciava circa 1 SECONDO PRIMA DELL’AVVIO DEL MOVIMENTO DEL DITO, ma i soggetti divenivano consapevoli dell’intenzione di agire SOLO 200 MS CIRCA PRIMA DEL MOVIMENTO, QUINDI MOLTO DOPO (circa 800 MS) L’INIZIO DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE. I RISULTATI MOSTRANO CHE IL CERVELLO SI PREPARA ALL’AZIONE PRIMA CHE IL SOGGETTO DIVENGA CONSAPEVOLE DI AVER DECISO DI COMPIERE IL MOVIMENTO.
La conclusione di Libet, ora messa in discussione fu che il VERO INNESCO delle azioni dei soggetti non sarebbero le INTENZIONI COSCIENTI, la volontà del soggetto di eseguire l’azione, bensì UN’ATTIVITÀ INCONSCIA, come se il cervello del giocatore sapesse prima QUALE azione compiere. Libet concluse in maniera assiomatica che <L’ATTIVAZIONE DI UN ATTO VOLONTARIO SPONTANEO DI SOLITO INIZIA IN MANIERA INCONSCIA; LA CONSAPEVOLEZZA SOGGETTIVA DELLA DECISIONE SEGUE TEMPORALMENTE L’INIZIO DEL PROCESSO CEREBRALE CHE TERMINERÀ CON L’ATTO MOTORIO> In altre parole, secondo Libet, il nostro cervello conosce già, molto prima di noi, quale atto sceglieremo di fare e si prepara a compierlo e che l’attivazione di un atto volontario spontaneo di solito inizia in maniera inconscia.
L’esperimento di Libet che chiedeva l’esecuzione di un movimento in un certo momento riguardava perciò solo il QUANDO dell’azione, NON il CHE COSA FARE che era chiaro e prescrittivo: PREMERE UN TASTO.
Nel 2007, i neuroscienziati Soon, Brass, Heinze e Haynes confermarono i risultati ottenuti da Libet ma utilizzarono per i loro esperimenti una tecnologia più sofisticata introducendo una modifica: NON PIU’ SOLO ESEGUIRE UN COMPITO ma EFFETTUARE UNA SCELTA premendo liberamente con l’indice destro oppure quello sinistro uno dei due pulsanti posti di fronte, a destra e a sinistra.
Inoltre veniva richiesto agli esecutori di osservare su uno schermo una sequenza randomizzata di lettere aggiornata ogni 500 ms e indicare la lettera visibile sullo schermo nel momento esatto in cui avevano avvertito la consapevolezza di aver compiuto la loro scelta. In base ai risultati dell’esperimento, il gruppo concluse che L’ATTIVITÀ INCONSCIA PLASMA, SE NON ADDIRITTURA DETERMINA TOTALMENTE, UNA DECISIONE BEN PRIMA CHE QUESTA DIVENGA COSCIENTE. Haynes Brass, Heinze e Soon evidenziarono che nella CORTECCIA FRONTOPOLARE la preparazione del cervello all’azione fosse presente ben 7 SECONDI PRIMA della decisione consapevole della stessa da parte del soggetto.
Un “potenziale di prontezza” presente anche prima che le immagini apparissero sullo schermo, non correlato quindi alla decisione < quale pulsante premere e con quale dito>.
CRITICHE
Negli anni, in seguito ai progressi in campo neuroscientifico, molti furono i dubbi scaturiti dalle deduzioni avanzate dagli scienziati. Per prima cosa il tempo soggettivo e il tempo oggettivo non sarebbero tra loro commensurabili: il tempo dell’esperimento è pensato come successione di istanti puntiformi, il tempo soggettivo è caratterizzato dal fatto di avere una durata non oggettiva. Ciò significava per i soggetti cercare di dare un’immagine puntiforme a ciò che per natura è durevole. Quanto è affidabile perciò la temporizzazione dell’istante in cui avviene la consapevolezza della volontà di agire?
Inoltre la decisione presa in seguito al gesto esecutivo di premere un bottone non rientrerebbe nel campo delle decisioni propriamente libere in quanto prescrittiva. Sappiamo che la volontà cosciente è una forza causale della mente che ci muove ad agire in modo libero. Se Libet ed il gruppo di Soon avessero ragione, se la coscienza entrasse in scena dopo una serie di eventi cerebrali inconsci ma considerati i reali determinanti delle azioni, allora la coscienza non avrebbe alcun vero potere causale. Tali esperimenti sono solo in grado di attestare in maniera inequivocabile che il POTENZIALE DI PRONTEZZA RP sia la firma del cervello che sta pianificando e si sta preparando al movimento.
Critiche e obiezioni sono arrivate negli anni da varie branche del sapere: ecco le più rilevanti.
DANIEL DENNETT, filosofo:
DANIEL DENNETT
Libet, richiedendo ai soggetti di memorizzare il momento in cui erano coscienti della volontà di muovere il dito per premere il tasto, prendeva in esame un dato soggettivo non semplice, poiché basato sulla COINCIDENZA DI DUE ATTI MENTALI: la PRESA DI COSCIENZA DELLA DECISIONE DI COMPIERE L’ATTO MOTORIO e la PRESA DI COSCIENZA DELLA POSIZIONE DEL PUNTINO.
Questi due eventi mentali, insieme ad un terzo, ovvero L’EMERGERE DEL POTENZIALE RP, sono processi che RICHIEDONO DEL TEMPO, derivando da diverse aree del cervello.
Il ritardo evidente di 300 millisecondi registrato nella coscienza del soggetto sembrerebbe essere spiegato con il TEMPO IMPIEGATO DAL NOSTRO CERVELLO PER ELABORARE LE INFORMAZIONI PROVENIENTI DALLE PRIME DUE ATTIVITÀ E INVIARLE AD ALTRE AREE.
L’errore presente nell’esperimento di Libet, secondo Dennett, riguarderebbe quindi L’INTERPRETAZIONE DEI DATI. <Ciò che ha scoperto Libet non è che la coscienza resta indietro rispetto alle decisioni inconsce, ma CHE I PROCESSI DECISIONALI COSCIENTI RICHIEDONO TEMPO>.
Dennett espresse forti critiche riguardo la TECNICA utilizzata da Libet per eseguire l’esperimento, cioè assegnare un parametro temporale al desiderio cosciente di agire. Libet ha impostato brillantemente la ricerca sulla durata temporale dei fenomeni mentali, ma nell’interpretazione dei suoi dati è rimasto bloccato da una concezione atemporale cartesiana.
ALEXANDER BATTHYANY, filosofo:
L’azione richiesta ai soggetti, premere un tasto ecc…., non corrisponderebbe ad un’azione volontaria né ad una deliberazione o ad una scelta bensì ad UN COMPITO DA ESEGUIRE; non si tratterebbe, dunque, di un atto coscientemente provocato, un’azione pianificata ma di un’esperienza PASSIVAMENTE VISSUTA.
Ai soggetti non viene chiesto di deliberare, né di fornire ragioni per le proprie scelte, ma solo di aspettare il momento in cui il desiderio o l’impulso ad agire emerge spontaneamente. Libet si è limitato a confermare che tali esperienze sono passive, cioè poste in essere NON consciamente: risulta, perciò, contraddittorio da parte sua credere che i soggetti agiscano spontaneamente, visto che SEGUONO DELLE ISTRUZIONI; inoltre, tale situazione, in cui l’azione è così semplice, congelata, estrapolata dal contesto, tale da non richiedere da parte dei soggetti particolare attenzione nel suo svolgimento, sembrerebbe essere l’ideale per l’insorgere di automatismi.
Il fatto che Benjamin Libet non abbia preso in considerazione questa possibilità fa pensare che la sua idea di AZIONE LIBERA COINCIDA CON L’IDEA DI UN EVENTO PER NULLA INFLUENZATO DA QUELLI PRECEDENTI E QUELLI SUCCESSIVI. Influenza che nella vita e nel campo da gioco è imprescindibile.
Anche SUSAN POCKETT neurofisiologa in <DOES CONSCIOUSNESS CAUSE BEHAVIOR> del 2004, ha criticato la definizione di “AZIONI LIBERAMENTE VOLUTE” di Libet. Nel suo esperimento, infatti, sia il “COSA” (alzare un dito)sia il “COME” (facendo attenzione alle indicazioni del quadrante)furono stabiliti con LARGO ANTICIPO dall’ESAMINATORE; il soggetto si limitava a STABILIRE il “QUANDO”. Pertanto, si tratterebbe soltanto del fatto che, IN DETERMINATI CONTESTI, è possibile che la decisione di quando compiere un’azione avvenga inconsciamente.
SUSAN POCKETT E SUZANNE CAROLYN PURDY (NEUROFISIOLOGHE)
SUSAN POCKETT E SUZANNE CAROLYN PURDY nel 2010 hanno inoltre dimostrato che UNA STESSA AZIONE IN SITUAZIONI DIVERSE PUÒ DARE RISULTATI COMPLETAMENTE INASPETTATI e INCONSUETI, specialmente nella vita e nel gioco in cui la variabile è altissima.
Dunque, l’azione esaminata da Libet non viene compiuta spontaneamente, ma è il risultato di una decisione, il potenziale di prontezza motoria ( RP ) che la precede arriva quasi a coincidere con il momento della presa di coscienza da parte dell’agente stesso.
Ciò dimostra che il compito affidato al soggetto di INDIVIDUARE IL MOMENTO in cui ritiene di essere cosciente della propria azione influenza così tanto il suo comportamento che l’RP non si riferisce più all’azione stessa, bensì a tale momento; di conseguenza, È ANCORA POSSIBILE CONSIDERARE LA COSCIENZA CAUSA DIRETTA DELLE AZIONI.
Le neurologhe sottolinearono ulteriormente la differenza enorme tra la decisione di muovere un dito e l’ideare invece un’azione complessa e stratificata come la pianificazione di un viaggio, l’acquisto di un auto o un’azione di gioco, nonostante quanto affermato in controtendenza dal filosofo Roberta De Monticelli.
AARON SCHURGER
Nel 2015 il ricercatore AARON SCHURGER dell’ École Polytechnique Fédérale di Losanna fu premiato con il BMI-Kaloy Prize per le Neuroscienze proprio per aver RIBALTATO la vecchia interpretazione di Benjamin Libet presa in esame. Studiando le fluttuazioni dell’attività neuronale, Schurger osservò che nell’esperimento i soggetti non ricevevano alcun indizio esterno per iniziare il movimento, agivano semplicemente in base a momenti spontanei.
Così, il ricercatore ipotizzò che in tale situazione altamente specifica il POTENZIALE DI PRONTEZZA MOTORIA D’AZIONE ( RP ) intervenisse SALVANDO IL SOGGETTO DA UN’INDECISIONE SENZA FINE. Non si trattava affatto di una sorta di preparazione del cervello ad agire come invece interpretò a suo tempo Benjamin Libet.
Studi successivi su scimmie confermarono l’ipotesi di Schurger: alcune scimmie dovevano decidere tra due opzioni ed i ricercatori rilevarono che l’imminente scelta era correlata all’intrinseca attività cerebrale (potenziale bereitschafts) PRIMA ANCORA che alle scimmie fossero presentate le opzioni.
ALFRED R. MELE
Il prof. ALFRED R. MELE docente di filosofia presso la Florida State University, ha mostrato che queste interpretazioni sono state ampiamente rivedute, soprattutto contestando l’inadeguatezza metodologica del test utilizzato da Libet. Infatti, «i dati furono rilevati solo nei casi in cui l’attività neurale fu effettivamente seguita dal movimento del dito ma non sono stati controllati i casi in cui si è verificata l’attività neurale senza tale movimento. Quindi non abbiamo alcuna prova che quel tipo specifico di attività neurale sia davvero sufficiente». Il Prof. Mele ha anche contestato la scarsa oggettività del test basato sulla sensazione/percezione del soggetto. Inoltre, come detto, il test di Libet non rappresenta affatto il tipo di scelte che vengono compiute nella vita e che coinvolgono una scelta attiva, una riflessione su elementi pro e contro diverse possibili linee d’azione. Decidere di lasciare una società sportiva, programmare una stagione, scegliere la formazione della domenica o altro come l’acquisto di una casa, la città in cui vivere, se fare un figlio o meno, sono scelte ben differenti dal pigiare un pulsante.
In conclusione L’ ESPERIMENTO DI BENJAMIN LIBET aprì un capitolo importante per la disamina degli aspetti neurologici DELLA PRESA DI DECISIONE.
I VALORI DELLE SUE MISURAZIONI furono VERIFICABILI e INEQUIVOCABILI, ma le conclusioni relativamente alla presa di decisione cosciente e libera furono negli anni preda di numerose critiche in quanto forniscono l’immagine di una mente vista non come un insieme dialogante di attività in rete in grado di adattarsi all’ambiente ma impulsi ad agire slegati l’uno dall’altro. Inoltre sottolineano con decisione che:
– il TEMPO SOGGETTIVO, TEMPO MENTALE non sempre corrisponde al tempo misurato con metodi fisici o meccanici;
– il fatto che la COSCIENZA situi la volontà in un certo istante NON IMPLICA CHE ESSA SIA AFFIORATA PROPRIO IN QUELL’ISTANTE;
-è controverso il significato dell’attivazione di certe aree cerebrali: L’ATTIVAZIONE POTREBBE CORRISPONDERE NON ALLA DECISIONE VERA E PROPRIA ma AD UNA FASE DI PREPARAZIONE DELLA DECISIONE;
– il movimento di un dito per premere un tasto, atto tipicamente automatico e privo di altre implicazioni, non è rappresentativo di una decisione cosciente, di un comportamento complesso;
-potrebbe esserci un ritardo tra l’impulso ad agire dei soggetti e la loro registrazione;
– è in dubbio il fatto che le persone siano in grado di registrare con precisione il momento della loro decisione. La consapevolezza soggettiva delle decisioni è spesso inaffidabile.
-Già il PREPARARSI A SCEGLIERE mette in moto meccanismi cerebrali di scelta. LA SCELTA FATTA NON È QUASI MAI SINGOLA ED ISOLATA, MA È UN INSIEME DI POSSIBILITÀ CHE VENGONO PREPARATE e poi connesse fino ad arrivare all’atto vero e proprio.
«Ci sono due pesci che nuotano e ad un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “che cavolo è l’acqua?”». QUESTA E’ L’ACQUA di David Foster Wallace. STAI TUNED.
BIO: SIMONETTA VENTURI
Insegnante di Scienze Motorie.
Tecnico condi-coordinativo in diverse scuole calcio e prime squadre del proprio territorio ( Marche )
Ha collaborato con il periodico AIAC L’Allenatore, con le riviste telematiche Alleniamo.com, ALLFOOTBALL.
Tematiche: Neuroscienze, Neurodidattica