Il Genio.
La nebbia.
Il Genio e la nebbia.
Inevitabilmente, in maniera dirompente, il sentiero che l’impulso di pensiero percorre, in prima istanza, successivamente all’accostamento visivo, astrattamente ideologico, dei suddetti, in un certo qual modo impareggiabilmente ricchi di fascino, concetti, si dirige, maestoso, verso una delle immagini iconografiche più eternamente simboliche della produzione artistica umana: il “Viandante sul mare di nebbia”, di Caspar David Friedrich, ritrae un uomo che, di spalle, distintamente abbigliato ed elegantemente “sorretto” da un bastone da passeggio, osserva un paesaggio comunque inquietante, benché per taluni allarmante e per taluni altri rilassante, cosparso di vibrazioni e sensazioni che paiono accostarsi ora al funesto ora all’infinitamente beato.
Sensazioni non tradotte: il volto è blindato, il sentimento di chi osserva non traspare, benché l’imprescindibile ammirazione verso il sublime della natura, verso la pura categoria estetica, è suggerito, anche se ambivalente.
Una natura incombente, grandiosa, che l’uomo del Romanticismo sembrerebbe sfidare.
Il Genio che dipinge e viene dipinto nel creato che è per antonomasia apicale vetta di genialità e pensiero divino.
Una visione antropocentrica, fiera, dritta, sicura di sé. Un mare di nebbia domato nella fierezza delle intenzioni e nella consapevolezza delle proprie capacità. Genio, nebbia, eleganza, vibrazioni, emozioni, estetica pura.
Consapevolezza delle proprie capacità. Già.
Belgrado, nove novembre 1988: Stella Rossa e Milan si contendono l’accesso ai quarti di finale della Coppa dei Campioni. I padroni di casa conducono per una rete a zero. Grazie al Genio. Nebbia, partita sospesa.
Il giorno successivo si ricomincia, da zero, senza nebbia: uno a uno firmato da Van Basten e Stojkovic ( senza Virdis ed Ancelotti, squalificati causa espulsione ed ammonizione) e passaggio del turno per gli uomini di Arrigo Sacchi dopo i calci di rigore. Sliding door.
Il Milan, scampato il pericolo di un’eliminazione che avrebbe verosimilmente anche potuto determinare il mancato avvio dello straordinario ciclo volto al dominio pluriennale del continente e del mondo, vincerà quell’edizione. E quella successiva.
La nebbia ha creato inquietudine ma la natura è stata sovrastata dal fato. Nonostante il Genio stesse contribuendo, con la sua marcatura a fatica colta dagli spettatori e dalle telecamere, a far sì che non sorgesse quel gigante calcistico che sarebbe stato casa.
Prima, però, l’esercitazione della visione antropocentrica del “Viandante” di Friedrich impone al genio di dimostrare di domare la natura, imponendosi: senza nebbia, e prima di approdare laddove la leggenda scaturì dalla nebbia, il Genio solleva la Coppa (fortificato dalla concomitante, straordinaria, tipicamente jugoslava, concentrazione di talenti) in quel di Bari, in Italia. Presagio.
SAVICEVIC CON LA COPPA DEI CAMPIONI CONQUISTATA CON LA STELLA ROSSA NELLA FINALE CONTRO L’OLIMPIQUE MARSIGLIA GIOCATASI A BARI IL 29-MAGGIO-1991 E VINTA 5-3 DOPO I CALCI DI RIGORE.
Una stesura inevitabilmente, fatalmente, già stilata. Non prima, però, di ergersi sul tetto del mondo con La Crvena Zvezda ( il termine, autoctono, più che mai simbolico di un’identità che iniziava storicamente a sobillare sé stessa). Prima che le armi ideologiche ed etniche decretassero il disfacimento del Brasile d’Europa. Un’infinita rassegna di genialità calcistica, di tecnica sopraffina, di qualità allo stato puro, di pensiero che travalica il sublime dipingendo capolavori.
Genio, capolavoro.
Atene ( a volte la nebbia fa capolino anche qui, avvolge il Partenone, abbraccia e offusca la storia dell’intero Occidente, cela e diffonde, confondendolo, l’eco dell’Olimpo), 18 maggio 1994.
L’eco di e da Belgrado si mischia a quello degli dei. Dalla nebbia trasparì il genio che dovette piegarsi al volere del fato. Gli dei ai piedi dell’Olimpo ora sono guidati dal Genio della nebbia che li creò.
Tracotante ed arrogante l’avversario neanche avvertì l’onere di sfidare le vette. Supponente, anche se sontuoso. Senza gli dei della difesa che di dei ne annoveravano più di uno. E col genio.
Assist per Massaro che apre le danze. Poi, il capolavoro: da un’angolazione difficilmente concepibile anche per Talete e Pitagora, Dejan inventa con il pensiero e traduce con l’arto sinistro inferiore una traiettoria pazzesca ed imprendibile. Zubizzarreta non può che capitolare.
SAVICEVIC DURANTE LA FINALE DI CHAMPIONS LEAGUE MILAN-BARCELLONA (4-0) GIOCATASI AD ATENE IL 18 MAGGIO 1994.
DEJAN CON PANUCCI E LA CHAMPIONS!
Il sigillo del Genio nella notte degli dei, nella città degli dei. Un raro esempio di estetica di pensiero, bello e sublime nell’invenzione e nell’attuazione, va da sé geniale, che uno dei più sopraffini calciatori del ventesimo secolo rende storia e leggenda.
Come tutti i più grandi, o quasi, Dejan è spesso messo in discussione per “utilità”.
Come se essere possessore di una tale qualità di pensiero e di un tale talento, squisitamente leggiadro e sopraffino, non bastasse per essere riconosciuto come indiscutibilmente meritevole di calcare aprioristicamente e senza discussioni la scena. Come se destreggiarsi magistralmente con lo strumento dell’opera, condurre e dirigere, infiammare ed esaltare improvvisamente il pubblico, non bastasse per scavare il solco fra utilità e invidia.
Perché l’estetica ammalia così tanto da scatenare avversità in coloro che, pur dovendo preoccuparsi principalmente di goderne, non possono contribuire a decretarne la superiorità estrema, etica, di ogni fine umano.
Ruoli, mansioni, utilità. Seconda punta, trequartista, mezz’ala, largo sulla corsia esterna (!). Indisciplinato (!) tatticamente, controverso. Già. E’ così che il genio subisce sovente il tentativo di essere svilito, è così che il numero dieci, il calcio fatto essenza, subisce l’ignobile tentativo di essere declassato. Già, declassato.
Come nel 1991: mancato pallone d’oro ( non me ne voglia Jean-Pierre).
Tre scudetti, tre supercoppe italiche ed una europea.
La Champions, così ribattezzata e griffata nelle classiche notti che rendono ancor più insignificanti i detrattori della bellezza e della genialità, della qualità e della conclamazione enfatica dell’estetica.
Una sola, Coppa dei Campioni.
L’anno precedente Capello lo esclude dalla squadra che si arrenderà al cospetto dell’Olympique, dal Genio già battuto. Uno stiramento gli preclude l’atto conclusivo del 1995 contro il giovane Ajax allevato e custodito in campo dall’ex Rijkaard. Tre finali, un successo. Col Genio in campo. Limitato inizialmente dalla regolamentazione che non consentiva il contemporaneo schieramento di tutti gli atleti provenienti dall’estero, limitato ai primordi nell’investitura assoluta da un Milan stellare e ricco di personalità carismatiche, fuoriclasse e palloni d’oro, limitato dalla becera predisposizione prettamente derivante dalla mediocrità mai tesa all’esaltazione euforica della qualità nella sua accezione più pura, limitato da un carattere che ne sublimava, però, l’essenza: eppure la storia del football narra di un giocatore squisito ed elegante, tecnicamente pregiato, creatore di giocate e parabole difficilmente comparabili.
Geniale.
Fiero delle proprie capacità, sicuro delle proprie potenzialità, smanioso di domare la natura, il fato.
Il “Viandante” che oltrepassa la nebbia da cui, paradossalmente, scaturì la propria ed altrui leggenda. Fatalmente, in seguito, unificate.
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio
4 risposte
Soventi dissapori con Capello, come ci raccontava quando lo sentivamo di tanto in tanto al telefono, hanno limitato a noi di poter godere di più e per più tempo le genialità che Dejo sapeva regalare. Un poeta del calcio che ci ha deliziato infinite volte e ci ha fatto vincere e godere con il MIO MILAN. Grazie Dejo!!! Auguri !!!!
Ciao Walter grazie per il tuo contributo.
Bellissimo articolo su questo immenso giocatore. Ho un ricordo di un gol sotto la pioggia a San Siro sotto la pioggia, dove sfodera un diagonale schiacciando la palla e scavalcando il portiere in tuffo. Il resto è stato tutto scritto. Il calcio sfodera campioni, fuoriclasse , ma la genialità di questo grandissimo giocatore è stata davvero immensa .Grazie per avermi fatto rivivere nel suo pezzo Andrea questo immenso giocatore
Grazie a lei per le belle parole e per aver letto con passione il pezzo.