20 SETTEMBRE 2023: LO SPORT ENTRA NELLA COSTITUZIONE.

Il 20 settembre 2023 è destinata a rimanere una data importante per lo sport italiano per aver visto  la conclusione  del processo che, dopo un iter lungo 14 anni, ha introdotto lo sport nella nostra carta costituzionale.

Con 312 voti favorevoli su 312, l’Aula della Camera ha approvato la proposta di modifica di legge costituzionale atta a modificare (rectius, integrare) il dettato dell’art 33 inserendo un nuovo comma che così recita: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme.


Con queste parole si è finalmente inteso conferire valore alla pratica sportiva, colmando (tardivamente) un vuoto costituzionale frutto di un’opinione pubblica che, da sempre, tende a relegare lo sport ai margini delle “cose fondamentali di cui occuparsi”, ignara dell’importanza dello sport in relazione agli aspetti motori, salutari, culturali e sociali.

Nessuno si illuda che l’inserimento del comma di cui sopra possa migliorare la concezione dello sport in Italia. Per far sì che non rimanga un mero esercizio di stile, ovvero un auspicio fine a se stesso, sarà necessario che alle parole seguano i fatti. Una cosa però è certa: da adesso in poi, le rimostranze di chi sottolinea lo scarso interesse istituzionale nei confronti del mondo sportivo non potranno più essere derubricate alla voce “se ne riparla in altro momento, ora vi sono altre priorità”.

Il valore costituzionale attribuito farà sì che le vicende di natura sportiva andranno considerate alle stregua di contesti ritenuti imprescindibili a livello sociale ed antropologico.

Il che significa non solo sviluppare e promuoverne la pratica ma anche riconoscere a tutti il diritto di svolgere l’attività ritenuta più consona.

Tra tutti i commenti succedutesi all’approvazione della modifica costituzionale (per la quale mai finiremmo di ringraziare l’ex CT della nazionale di pallavolo, oggi deputato, Mauro Berruto

MAURO BERRUTO

senza la cui abnegazione ed il cui impegno l’iter non avrebbe avuto corso) degno di nota è risultato quello del Presidente del Comitato Italiano Paraolimpico, Luca Pancalli.

LUCA PANCALLI

Quest’ultimo, nel sottolineare come la modifica costituzionale sia stata un’autentica conquista e non, come avrebbe dovuto rappresentare, un naturale sbocco, non ha mancato di auspicare “una nuova stagione di diritti, con al centro lo sport”.

Sport non più da intendersi come realtà ludico-motoria per chi lo pratica, ovvero quale matrice di svago e divertimento per appassionati e tifosi, bensì come centro di interessi giuridici, anche di rango costituzionale, da esprimersi nella reale ed effettiva tutela dei diritti di chi si avvia alla pratica.

Una novità, questa, che sopraggiunge in un momento storico in cui, anche a causa dell’entrata in vigore della recente riforma, è difficile per numerose bambine e numerosi bambini, per tante ragazze e tanti ragazzi, accedere a detta pratica.

L’inserimento nella carta costituzionale, al netto dell’importanza del voto unanime, non rappresenta un punto d’arrivo bensì un punto di partenza con un aggravio di responsabilità per le forze politiche.

Votando a favore della modifica dell’art. 33 Cost., i parlamentari italiani si sono assunti la responsabilità di rispettarne il dettato.

Perché questo accada, andranno considerati i valori che la pratica sportiva sottende in relazione al benessere psicofisico a cui deve mirare.

Seguendo la nuova formulazione del dettato costituzionale si dovrà riconoscere all’attività sportiva il valore educativo, sociale e psicofisico. Che tradotto significa trasformare detti valori astratti in diritti fattuali.

Per quanto concerne lo sport agonistico, l’aspetto educativo, peraltro già presente in tutte le carte federali, dovrà intendersi non solo quale diritto di frequentare ambienti e persone atte a migliorare i comportamenti e le caratteristiche dei tesserati ma anche a prevedere adeguate competenze e strutture, nell’ottica di una complessità di situazioni, proprie di ogni singola disciplina sportiva, da trattarsi non separatamente ma come unicum. Solo in tal modo sarà possibile formare le menti dei praticanti di pari passo con le conoscenze tecniche e le prestazioni atletiche.

Nel caso dei settori giovanili, i tesserati avranno diritto ad un’educazione “complessa” che preveda anche la chiamata in causa dei genitori, spesso tacciati di eccessivo protagonismo in occasione della gare dei figli.

Come possiamo immaginare di incontrare genitori collaborativi, in linea con i principi alla base del lavoro dei responsabili dei settori giovanili, se non sono posti a conoscenza degli intendimenti delle società?

In seno all’aspetto educativo deve rientrare anche un coinvolgimento dei genitori dal punto di vista “tecnico”. Andranno, cioè, illustrate loro le linee guida del percorso che viene proposto ai figli. Ciò al fine di evitare che, in occasione delle competizioni, i primi non si trovino a dare consigli o a intimare soluzioni di gioco che cozzino con quanto viene insegnato ai figli nel corso degli allenamenti settimanali.

Educazione comportamentale ed educazione “tecnica” devono essere proposte contestualmente e promulgate in modo che a beneficiarne siano tutte le risorse umane facenti riferimento ad una realtà sportiva.

Dal punto di vista sociale, merita un approfondimento quanto affermato dal Ministro dello Sport Andrea Abodi che, all’esito dell’approvazione della modifica costituzionale, ha fatto riferimento ai concetti di socializzazione e divertimento, inclusione e coesione, benessere e rispetto.

ANDREA ABODI

Socializzazione e divertimento sono due aspetti che in seno allo sport agonistico (in particolare il calcio)  non sempre vanno di pari passo e, proprio per questo, meritano un approfondimento.

Non è raro ascoltare opinioni il cui senso, nell’intento di lasciare i giovani calciatori “liberi di divertirsi”, si può riassumere con il classico “lasciate i ragazzini liberi di giocare, non imprigionateli in schemi o teorie sul possesso”.

E’ nostra opinione che se si lasciano dei bambini “liberi di divertirsi”, in assenza di qualsivoglia indicazione, a divertirsi saranno solo i più bravi che scorrazzeranno per il campo palla al piede inebriandosi di dribbling mentre i meno dotati difficilmente si divertiranno.

Divertimento si, quindi, ma non anarchia. E non solo per una questione morale ma anche in ossequio ad un processo di formazione.

Vedasi sul punto alcune riflessioni già esposte in questo blog in occasione della pubblicazione di un pezzo in tre parti sulla qualità del calcio: “Risulta, viceversa, errata l’inveterata abitudine di lasciare ai giocatori maggiormente dotati, in grado di determinare l’esito delle competizioni giovanili, “campo libero” per permettere di sfoggiare la loro bravura e rimpinguare il tabellino personale con numeri e statistiche roboanti. Una gestione di questo tipo non porta alcun incremento qualitativo. Né in favore del singolo, che crescendo rischierà di incrociare avversari più forti senza avere le conoscenze per affrontarli. Né a vantaggio della squadra che, al netto delle prodezze del giovane fenomeno, non avrà avuto l’opportunità di sviluppare un adeguato e credibile processo di connotazione valoriale”.

Il talento come valore da formare, educare, esaltare nel rispetto della socializzazione non quale aspetto che esce dal gruppo.

Senza dimenticare come il diritto al divertimento, che è elemento imprescindibile, vada sempre rapportato all’età, alle condizioni e alla collettività dei tesserati onde evitare che il divertimento di uno sia causa della mancanza di divertimento dell’altro.

Per quanto concerne l’inclusione e la coesione, i contesti sportivi dovranno essere parte attiva nei confronti della lotta al bullismo ed alle molestie.

Soprattutto nelle realtà minori, non sempre è possibile prevenire situazioni di questo tipo per un oggettiva carenza di mezzi e di competenze.

Ecco perché diviene fondamentale l’operato delle procure federali che, in passato, troppo spesso hanno chiuso gli occhi a fronte di situazioni punibili e di condotte illecite anche dal punto di vista penale.

Atteggiamento, quello di cui sopra, assolutamente da contrastare, divenuto purtroppo frequente in considerazione dello stretto rapporto tra procuratori federali e presidenti di federazione. Con i primi nominati direttamente da questi ultimi che tendono a non perseguire le condotte di cui sopra al mero fine di non veder infangata la federazione di riferimento.

Specificato una volta di più come qualsiasi diritto non sia tale sin tanto che non vi è un’autorità giudiziaria in grado di garantirne l’esercizio, il CONI ha di recente siglato un protocollo di linee guida, ideato e voluto dell’associazione Change The Game, con la Procura di Milano al fine di implementare la lotta a queste tipologie di fenomeni.

L’aver concesso a soggetti già condannati in ambito penale per molestie e abusi di continuare ad esercitare la loro attività in seno alle società sportive è qualcosa di imperdonabile che non dovrà più accadere.

Ma anche tralasciando le situazioni più scabrose, l’inclusione e la coesione andranno promosse garantendo a tutti la possibilità di praticare sport.

Il che non significa che, a livello agonistico, tutti abbiano diritto a scendere in campo perché una selezione dev’esserci e chi non trova conforto in una disciplina è probabilmente destinato ad eccellere in un’altra.

Significa che le istituzioni hanno l’obbligo di rimuovere gli ostacoli che si frappongono nel percorso di chi ambisce alla pratica sportiva. Siano essi di natura istituzionale, logistica, strutturale e comportamentale.

La scuola, quale istituzione di rango primario, non dovrà più esternare un atteggiamento ostracista nei confronti degli alunni “sportivi” e dello sport in generale. Sarà tenuta, viceversa, a sostituire le ore di educazione fisica con un’attività più specificatamente tesa allo sport vero e proprio, in modo da offrire agli studenti una serie completa di opzioni in merito alla disciplina che meglio si completa con le loro inclinazioni.

Ma ciò non basta. Vi è un altro passo in avanti da compiere ovvero far sì che lo sport  trovi posto  all’interno dei programmi formativi, quale vera e propria materia di studio, in quanto elemento acceleratore degli eventi storico-culturali nonché aspetto essenziale nella storia contemporanea del paese.

In relazione ai concetti di benessere e rispetto, il primo di essi è insito nella pratica stessa considerato come la si consideri propedeutica al benessere fisico e psichico oltre che risultare un ottimo antidoto contro la sedentarietà.

Ma c’è anche un altra tipologia di benessere che la rimodulata carta costituzionale è chiamata a garantire ovvero quello a cui si ha diritto mentre svolgiamo la nostra attività.

Garantire il benessere di chi fa sport significa, tra le altre cose, garantire delle strutture all’altezza oltre che fruibili a costi accettabili.

Sul punto è doveroso fare uno distinguo tra i vari contesti sportivi: professionistico, dilettantistico, amatoriale e ludico.

A livello professionistico (o dilettantistico ma professionistico di fatto) riteniamo che la gestione delle strutture di riferimento (centri sportivi, stadi, campi di allenamento) non debba gravare sulle tasche dei cittadini. Andrà pertanto accelerato il processo di privatizzazione degli stadi e di costruzione dei centri sportivi da parte delle singole società.

Si potranno, questo sì, prevedere degli incentivi, dei sistemi di defiscalizzazione e delle convenzioni tra club e comuni nell’interesse reciproco ma l’onere di adeguarsi con strutture sufficientemente all’altezza deve gravare sui club che dovranno essere chiamati ad investimenti virtuosi magari a costo di qualche colpo di mercato roboante in meno.

Per quanto concerne il mondo dei dilettanti, la concertazione tra comuni e società dovrà essere più presente e più proficua di quanto lo sia attualmente.  La riforma dello sport, da poco entrata in vigore, ha appesantito le condizioni economiche dei club dilettantistici, già compromesse dalla pandemia, il che rende davvero dispendiosa l’attività delle stesse.

Non è più procrastinabile un’inversione di rotta che dovrà portare ad un maggiore interesse delle amministrazioni comunali in relazione ai “luoghi dello sport”, permettendo alle società di usufruire anche delle strutture scolastiche (palestre in primis) nell’ottica di una collaborazione atta a migliorare le condizioni dei contesti in cui i nostri ragazzi si trovano a trascorrere parte del loro tempo.
Lo stesso dicasi per i mezzi di trasporto che, come noto, sono fonte di spesa per le società ma che risultano del tutto imprescindibili al fine di permettere ai ragazzi che risiedono in luoghi lontani dai campi di allenamento di accedervi.

Tra la voce “luoghi dello sport” devono considerarsi anche le situazioni in cui ci si diletta nella pratica a titolo amatoriale e ludico. Ecco, pertanto, che il diritto di cui sopra dovrà essere garantito anche in relazione alla manutenzione dei parchi ove la gente pratica lo jogging, dei percorsi ciclabili per le mountain bike, dei fiumi o laghi in cui si pratica canottaggio, canoa, surf ed altro. Trattasi di luoghi che, pur non rivestendo la qualità di impianti sportivi, rappresentano delle sedi di allenamento per tantissime persone e che, spesso, scontano problematiche dovute alla manutenzione, alla carenza di illuminazione, alle condizioni di sicurezza ed altro.

Negli ultimi anni c’è stato un aumento dei cosidetti playground urbani presso i quali i ragazzi possono svolgere alcune attività all’aperto in ambienti “sani” e gradevoli da un punto di vista estetico. E’ auspicabile che questa tipologia di spazi aumenti sempre più come è auspicabile che vengano recuperati e riqualificati alcune strutture degli oratori (i cosidetti “campetti”) che secondo alcuni tecnici tanto mancano alla formazione dei calciatori e dei cestisti di oggi.

Gli argomenti sviluppati ci impongono una riflessione importante sulle difficoltà, in particolar modo economiche che mineranno l’effettiva attuazione del nuovo dettato dell’art 33 Cost.

Per rendere l’offerta sportiva migliore e accessibile saranno necessarie decisioni forti dal punto di vista politico.

Da anni si dibatte se siano i risultati dello sport d’elite a trascinare con profitto la base dei praticanti o se sia quest’ultima che debba esser presa quale fucina dei futuri campioni.

E’ nostra opinione che questo dibattito sia assolutamente fuorviante in considerazione del fatto che un movimento sportivo d’avanguardia necessita di una continua corrispondenza biunivoca tra la base e l’espressione apicale, pur con le diverse peculiarità e le differenti articolazioni.

Al fine di tenere alta l’attenzione delle istituzioni, a cui spetterà il compito di far sì che il nuovo articolo 33 non rimanga un mero elenco di intenzioni, è necessario che tutte le componenti sportive si mostrino coese e che, al netto del differente status di professionisti, dilettanti o amatori, collaborino perché i principi enunciati generino i diritti a loro sottesi.

E’ auspicabile che in Parlamento trovino posto altre figure dal passato sportivo.

Come anticipato, senza l’impegno di Mauro Berruto, difficilmente l’iter della modifica costituzionale avrebbe avuto corso. E’ la riprova che gli sportivi servono alla politica. Per troppi anni la politica si è servita di loro sfruttandone i grandi nomi a fini elettorali senza consentire a questi di esercitare un’attività parlamentare in favore del mondo da cui provenivano.

Ma ora che lo sport è entrato nella Costituzione a maggior ragione deve entrare in Parlamento con la forza delle idee.

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

2 risposte

  1. Mi associo al commento di Luca, evidenziando che non ne sapevo nulla.
    Ma questa è solo una mia colpa.

    Inoltre, non esistono solo società ricche, soprattutto nelle giovanili, per cui è quasi impossibile farsi un campo di calcio.

    D’accordo però che la gestione, che è quella che più pesa sulle casse comunali, possa passare ad una società o ad uno consorzio delle stesse.

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