NON È VERO CHE TIFOSI DEL TORO SI NASCE.

Non è vero che tifosi del Toro si nasce. Io lo sono diventato. Da bambino, ero dell’Inter. L’Inter di Mazzola e Bonimba, di Oriali e Facchetti. La prima volta che misi piede in uno stadio fu a San Siro, il 15 aprile 1971. Inter-Sampdoria 3-1.

Erano gli anni della televisione in bianco e nero (il colore sarebbe arrivato solo nel 1972). Gli anni in cui la Rai trasmetteva solo un tempo (in genere il secondo) di una partita di serie A, la domenica sera, alle sette. Non esisteva il calcio spezzatino, Sky era solo il nome con il quale si definiva il cielo in inglese e Dazn ancora non ci faceva girare le palle con problemi di connessione. C’era solo la Rai, solo 45 minuti, solo quello. Tanto che la mia prima volta a San Siro, appena preso posto in tribuna, mi sono girato verso il mio amico Mauro e gli ho detto: “Ma ti rendi conto che qui si vede anche il primo tempo?”.

Poi, è arrivata quella maledetta benedetta sera. È il 5 maggio 1974. Io sto aspettando la partita, ma prima fanno vedere le immagini di quello che era successo il 4 maggio di 25 anni prima. Vedo i titoli dei giornali. Sento la gente che racconta di quando è uscita di casa di corsa perché tutti gridavano: “È morto il Torino”, come fosse una persona, non una squadra. Vedo i funerali, un fiume immenso di gente che piange e accarezza le bare. E allora piango anch’io, che ho 12 anni. Mia madre entra e dice: “Che cosa succede, tesoro?”. Io non dico niente, lei guarda la televisione e aggiunge: “Ah, il Grande Torino”. E si ferma a guardare con me.

Da quel giorno, ho l’immensa fortuna di essere tifoso del Toro. Perché è vero che non vinciamo mai niente, ma è anche vero che nella vita non puoi valutare tutto in base alle vittorie. Essere tifosi granata significa sofferenza, ma anche bellezza. Io non baratterei le nostre sconfitte con nessuna vittoria della Juve. Giuro. Mi spiace solo per mio figlio. Io ho visto Pulici e la cavalcata del ’76, lo scudetto e i 50 punti, con il secondo scudetto rubato a Genova, ho visto Mondonico alzare la sedia e la coppa Italia, ho visto il Toro eliminare il Real Madrid, ho visto Pasquale Bruno e Tarzan Annoni, che per noi valgono più di Messi e Ronaldo. Mio figlio Francesco ha visto solo un derby vinto, con Quagliarella che, per di più, nemmeno esulta, poveretto lui.

Adesso, tutto è diverso. Quando usciamo dallo stadio, sono più le volte che usciamo amareggiati di quelle in cui siamo felici. Però, siamo sempre del Toro. Dopo l’inguardabile partita col Verona, mentre andavamo alla macchina e io avevo voglia di strozzare uno a uno i giocatori del Toro che non avevano lottato, mio figlio cantava: “C’è una bandiera che sventola ancora, il suo colore è il più bello che c’è…”. E alla fine dice: “Dai, vinciamo la prossima”, dimenticando che la prossima è il derby.

Insomma, non svegliateci. A noi va bene così. Siamo stupidi, ma felici di esserlo. Ci incazziamo solo quando non giochiamo da Toro, ma anche quando non succede pensiamo che accadrà la prossima volta. Peccato che non esista più il calcio delle bandiere e delle prese per il culo. Quando ero ragazzo io dicevo agli juventini che regalavano le auto agli arbitri e loro rispondevano che eravamo dei poveri sfigati che non vincevano mai. E si rideva. Oggi, se provi a dire qualcosa del genere, ti mettono le mani addosso.

Io rivoglio quel calcio lì. Andare a vedere gli allenamenti e poi accompagnare a casa Pulici, perché molti di loro tornavano a casa i piedi con i tifosi. E ridere o piangere, ma sempre pensando che è uno sport, lo sport più bello del mondo, perché basta una palla di carta e due maglioni a fare da palo e ci sei comunque dentro e la magia rinasce.

Non è vero che nello sport contano solo le vittorie. Perché altrimenti Ayrton Senna sarebbe meno di Verstappen. Conta quanto riesci a entrare nel cuore della gente, soprattutto quando sei bambino, tifi per il più forte e poi vedi qualcosa alla televisione che ti fa dire: “No, io voglio essere del Toro, anche se non vince mai”.

BIO: Massimo Cotto si è sempre diviso, anzi moltiplicato tra più attività, nel segno dell’eclettismo: deejay (oggi a Virgin, dove conduce ogni mattina Rock and Talk, prima vent’anni a Radiorai, di cui 4 come responsabile artistico di Radiouno, poi Radio 24 e Capital), scrittore (71 libri  a sua firma), giornalista professionista (ha scritto per le più prestigiose riviste italiane e internazionali (tra cui l’americana Billboard e la tedesca Howl!), narratore a teatro, direttore artistico di prestigiose rassegne (ha guidato tra le tante anche il Premio De Andrè  e il festival di Castrocaro), presidente di Commissioni artistiche per giovani talenti (per più di dieci anni  ha guidato Sanremolab e Area Sanremo che sceglie i giovani per il festival e per tre anni ha presieduto la giuria del Primo Maggio di Roma) e autore televisivo (tra i tanti programmi, anche il Festival di Sanremo 2010 e The Voice), è anche Cavaliere al merito e Ufficiale della Repubblica.

2 risposte

  1. Sign Massimo buongiorno. In queste bellissime righe , ha raccontato la storia della squadra dove i tifosi granata sono unici , segno di appartenenza , fede.
    Sono rossonero , ma nei primi 66 anni , ho sempre pensato e convinto che , se non fossi stato rossonero , sarei stato un granata . Questo perche’? Semplice. mio papa’ ,(anche lui era rossonero),gia’ da piccolo mi spiego’ la tragedia di Superga , solo i nomi Mazzola , Gabetto , Maroso , Bagigalupo ecc. e solo scrivere questi nomi mi fanno venire i brividi. Poi si aggiunse la scomparsa di Gigi Meroni investito dal futuro presidente Romero . lo scudetto , il secondo posto , e quel colore granata che mi ha sempre emozionato.
    Poi la grande emozione del provino al Torino , fatto al Filadelfia ancora vecchia maniera e dove nel sottopassaggio i volti del grande Torino stampati sul muro , ti guardavano e mi dicevo ” Ma cosa centro io con questi” Bello giocare nel campo del Grande Torino! Chiaramente l’emozione mi tocco’ forte. Toccai due o forse tre palloni.
    Nonostante i due anni e mezzo alle giovanili Milan , quel giorno me lo porto dentro tuttora come il momento piu’ emozionante.Avevo 13 anni (scusi se ho parlato di un fatto personale).
    Poi ,ricoverato in ospedale , mi sono trovato in cima al mio letto , un gagliardetto del Torino. Non ho mai saputo chi me lo mise . Forse un messaggio? mah!
    Mi complimento per il suo articolo . Mi ha trasmesso , gioia e nostalgia di un calcio che non esiste piu’.

  2. Siamo tutti fratelli di diversi colori…Chi ci mette il. Cuore,l Anima la passione e la non violenza,resta uno di noi tutti

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