IL PUNTO SUL VERTICE DEL CAMPIONATO CON FOCUS SU MILAN, INTER E JUVENTUS.

Immediatamente e, per l’appunto, considerando la celerità temporale, sorprendentemente ridestatosi apparentemente senza strascico alcuno dal duro colpo subito nel derby ( con l’Inter che in ogni caso continua a rappresentare una sorta di insormontabile maleficio tattico prima o poi da scardinare, verosimilmente  attraverso l’ausilio del carattere e della personalità: forse, paradossalmente, proprio la nuova stesura ha suggerito preliminarmente, in maniera errata, che bastasse esprimere in maniera diversa e nuova esclusivamente sé stessi per ottenere la vittoria), Il Milan riconquista la vetta di una graduatoria graficamente intrisa di secolare storicità riprendendo altresì  un percorso che precedentemente alla disfatta in salsa esclusivamente meneghina aveva lasciato largamente intravedere la solida costruzione di un progetto umano e tattico di prim’ordine: la bravura di Pioli è stata di quella di non mettere in discussione, errore che avrebbe potuto essere differentemente facilmente compiuto sulla scia emotiva dell’ennesima stracittadina conclusasi con un risultato, per usare un eufemismo, non sorridente ai colori rossoneri, le idee ed i concetti altamente espressi nelle prime giornate di campionato.Pur mutando in alcune circostanze peculiarità nell’organizzazione collettiva, oserei dire più squisitamente “grafiche” ( da consegnare a chi sembra più attento ai contenuti meramente numerici  che prettamente calcistici relativi alla spasmodica individuazione di un sistema di gioco da “idealizzare” in sede di presentazione dell’incontro) che concettuali (il campo suggerisce sempre, istantaneamente, la veridicità di un’identita  da sciorinare ed analizzare, al di là di reparti ed interpreti da ingabbiare in fallaci linee mediatiche lontane dai basilari concetti concernenti  l’occupazione degli spazi e linee da creare attraverso una manovra definita,  eminentemente da individuare principalmente nella  direzionalità della costruzione), il tecnico emiliano ha primariamente dimostrato coerenza nel difendere l’idea che la rosa debba necessariamente essere sfruttata nella sua totalità  ( Florenzi, ristabilitosi fisicamente, ha per esempio adempiuto ai compiti di Calabria sulla linea mediana, Krunic è stato “diversamente” sostituito sia da elementi appartenenti alla retroguardia sia da centrocampisti con caratteristiche differenti, Musah ha ampiamente dimostrato la sua utilità rispettando sempre le consegne, indipendentemente dalla zona di campo da occupare) e, ad emblematica e suprema dimostrazione di quanto appena affermato, ha , bisognerebbe dire “finalmente” ( dopo un apprendistato di oltre un anno) , lanciato nella mischia Adli, rivelatosi prontamente un giocatore da accostare al concetto di titolarità a prescindere da defezioni e importanza dell’incontro: a conferma di ciò, nella delicata sfida di Champions League contro il Borussia Dortmund, è stato il suo ingresso in regia (con conseguente spostamento di Reijnders nel più congeniale ruolo di mezzala o “sottopunta”) a mutare  l’andamento delle ostlità in terra di Germania ( qualora fosse stata finalizzata qualche occasione maldestramente sprecata nella ripresa il Milan, reduce altresì dall’amaro pari interno con il Newcastle, anch’esso foriero di rimpianti, avrebbe potuto guardare con molta più serenità al doppio impegno contro il Paris Saint Germain)  e a rendere finalmente determinante ed influente la trasposizione delle fulgide bellezze esposte per tecnica e qualità durante il ritiro estivo ( doverosi i complimenti per il valore umano e temperamentale che gli hanno consentito di accettare il pressoché totale inutilizzo nella scorsa stagione e di sentirsi comunque partecipe alla stregua dei compagni protagonisti). Le vittorie contro Verona, Cagliari, Lazio e Genoa, quest’ultima dai contorni enfatici ed epici difficilmente riscontrabili abitualmente ( doveroso, in virtù dell’onestà intellettuale perennemente appartenente a questo blog, sottolineare che Pulisic addomestica il pallone con l’ausilio dell’arto superiore in occasione della rete decisiva), hanno sollevato alcune perplessità relativamente all’eterna diatriba riguardante l’utilità di un turnover ragionato: per taluni Pioli ( che, ribadiamo, ha più volte sottolineato l’indispensabilità di usufruire delle prestazioni di tutti i componenti) attua un turnover fin troppo “scientifico” volto inesorabilmente a coinvolgere chiunque, indipendentemente da uno stato di forma che potrebbe suggerire un utilizzo continuativo di alcuni elementi, verosimilmente i più importanti, ai quali è nettamente più difficile rinunciare. La scelta aprioristica di decidere di relegare in panchina un calciatore indipendentemente dall’apporto fisico, tecnico e dunque prestazionale potenzialmente da riversare sul terreno di gioco nonostante un utilizzo frequente, è, va da sé, non condivisibile: la linea di demarcazione principale è dettata dalle sensazioni esclusivamente raccolte nel corso della settimana. Inevitabilmente gli impegni ravvicinati sanciscono incontrovertibilmente un doveroso ricorso a turnazioni indispensabili perché tutti possano non solo essere coinvolti ma altresì mantenere uno stato fisico e di connessione mentale agli eventi elevato: paradossalmente, per “rimpiangere” la scelta di accantonare momentaneamente un giocatore decisivo per le sorti della squadra, è necessario che quel giocatore evidenzi un livello di rendimento sempre alto, cosa possibile principalmente in virtù di una gestione che preveda un calibrato dosaggio di minutaggio. Naturalmente è figlio dell’equilibrio e del buon senso del timoniere individuare i momenti in cui è meno “rischioso” rinunciare a “fattori” determinanti come Leao, Theo Hernandez, Giroud, Tomori , Reijnders e più generalmente a coloro i quali possono essere identificati quali titolari inamovibili. Così come è contemporaneamente certo che, in alcune circostanze, elementi anagraficamente più giovani possono essere gestiti innalzando la possibilità di un impiego continuativo. Fatto sta che il Milan, indipendentemente da  indispensabili elucubrazioni di stampo filosofico-calcistico (senza riflessioni accurate, in ogni ambito, impossibile è raggiungere l’apoteosi), ha riconquistato in maniera tutt’altro che scontata e prevedibile il primo posto in classifica: ciò è avvenuto non solo naturalmente per le vittorie inanellate successivamente all’infausto derby contro l’Inter  ma, in concomitanza, per i passi falsi di cui si sono resi protagonisti gli uomini di Simone Inzaghi.

A tal proposito, il solo punto interno raccolto nelle sfide contro  Sassuolo e Bologna ha scatenato nuovamente un’antica diatriba relativa alla presunta incapacità del tecnico nerazzurro di variare, a gara in corso, l’impianto logistico della propria squadra.

La vera domanda è, come sempre, capire se, indipendentemente dall’indiscussa agevolazione concettuale che può derivare dal sapersi destreggiare attraverso più sistemi di gioco (particolarità che non mi sento di non attribuire a qualsivoglia allenatore di livello), mutare tatticamente e concettualmente, nelle dinamiche relative all’espressione e all’esecuzione delle due fasi, la struttura della squadra comporti vantaggi oggettivi: per quale assurdo motivo attuare quanto appena sottolineato dovrebbe comportare forzatamente avere più possibilità di ottenere un risultato positivo? Per quale motivo minare certezze meravigliosamente instaurate ed espresse con evidenza di contenuti, nozioni e bellezza dovrebbe consentire di avere ragione dell’avversario di turno? Semplicemente, e pare addirittura superfluo doverlo sottolineare ( ma indispensabile al fin di placare il diffondersi di qualunquiste teorie vacue e superficiali), è esclusivamente la lettura delle dinamiche in partita che deve implicare ed esigere un mutamento delle disposizioni e dei compiti, al fin di raggiungere l’obiettivo del dominio di campo ed avversario: contro il Bologna dell’ottimo ( a dir poco) Thiago Motta (fine stratega sia nella preliminare fase volta all’analisi concernente la preparazione delle partite sia, per l’appunto, nelle letture a gara in corso) probabilmente i tre punti non sarebbero derivati da mutamenti del sistema di gioco, né da fluttuazioni concettuali differenti o da una diversa circolazione del pallone (semmai da un incremento relativo alla velocità d’esecuzione mentale e tecnica); il doppio vantaggio maturato nel primo quarto d’ora ha sottolineato quanto efficace potesse essere affrontare i felsinei con il sistema di gioco consueto.

La verità, come in tantissime altre circostanze e come nel precedentemente dibattuto tema relativo al turnover, sta probabilmente nel mezzo (in situazioni analitiche come queste, in cui deve assurgere, differentemente la verità sta nel mezzo solo per chi la ignora): è naturalmente opportuno avere a disposizione un ventaglio plausibile di soluzioni di cui rivestirsi e di cui poter usufruire nel cammino evolutivo costellato da specifiche, di volta in volta, avversità tattiche da fronteggiare, ma non è per nulla condivisibile sostenere che schierarsi diversamente comporti un’efficacia superiore alla stesura consolidata.

L’espressione di gioco dell’Inter ( probabilmente la migliore squadra attualmente in Europa per puntualità di tempi di gioco, occupazione degli spazi e per la capacità di “aprire” il campo e soddisfare le perentorie folate offensive, vero marchio di fabbrica ) verte su pilastri difficilmente replicabili con un cambio di sistema, anche solo saltuario:il secondo tempo , letteralmente straripante, contro il Benfica, rimarca ulteriormente quanto intensa, coesa e travolgente possa risultare la manovra nerazzurra nei momenti apicali della sua espressione.

Peculiarità decisamente non appartenenti, differentemente, ad una Juventus sì rinfrancata dal terzo posto e giustamente gioiosa successivamente alla vittoria ottenuta nel derby ( contro un Torino a dire il vero inconcepibilmente dimesso e lontano dalla qualità del gioco cui Juric ci aveva costantemente abituati) ma “costretta” a non distaccarsi dai limiti derivanti da una gestione tecnica a mio modo di vedere costantemente, comunque, tesa a rendere inconsapevolmente ( si spera) la compagine bianconera decisamente inferiore a sé stessa, soprattutto nell’esposizione della propria forza secolare dal punto di vista concettuale: l’ormai consueto clamore innalzatosi sulle modalità attraverso le quali la Vecchia Signora ha quasi volutamente optato affinchè a Bergamo fosse più che altro raccolto un punto ( attraverso, or dunque, una mentalità ben distante dall’atteggiamento per inclinazione naturale volto alla conquista della vittoria quale obiettivo inevitabile per una società storicamente riconoscibile nell’irrefrenabile voglia di primeggiare e di rifiutare aprioristicamente il concetto stesso di sconfitta), non desta ormai nemmeno più la giusta indignazione.

La Juve non può e non deve compiere l’errore di consolidare l’idea, avvilente e paradossale, di ridimensionare l’ambizione massimale costringendosi a restare inferiore a sé stessa in un inconcepibile gioco al ribasso delle proprie potenzialità. La vittoria nella stracittadina sabauda è giunta dopo un primo tempo inguardabile:non può rappresentare motivo d’orgoglio la sola cattiveria agonistica sfoggiata nella seconda frazione. Questo modo di pensare ha allontanato implacabilmente la Juve dal proprio DNA, ha fatto sì che la Juve accettasse obbrobriose prestazioni, assenza totale di mentalità vincente, terzi e quarti posti visti come un successo, eliminazioni umilianti declassate a “il calcio è questo”, gironi di Champions League indegni, goleade subite in campi di provincia. E’ questo l’aspetto più grave, al di là della pochezza relativa all’espressione tecnico-tattica: è aver disintegrato un DNA, è aver accettato il pareggio e la sconfitta alla stregua di una provinciale, è l’inaccettabile pressapochismo dentro e fuori dal terreno di gioco.

Al contrario di una Fiorentina meravigliosamente esaltata dal calcio ricco di sfumature di Italiano, che ha oggi condotto i viola a surclassare un Napoli evidentemente lontano dalla superba armonia che ha condotto a quel decisivo salto di qualità in termini di mentalità che lo scorso anno comportò non solo vincere il titolo nazionale ma affrontare in maniera consapevole e addirittura straripante le più quotate compagini del continente. Allo stato attuale pare proprio che le milanesi abbiano poco di cui preoccuparsi alle spalle.

BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.

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