Qual é l’unica ragione necessaria affinché ci sia il Gioco? Il pallone.
E quando non c’è si adatta un barattolo, della carta, addirittura degli indumenti, sperando che il rotolare e il rimbalzare diventino delle condizioni proprie dell’attrezzo.
In Zambia i ragazzi costruiscono una palla che si chiama CHIMPOMBWA fatta di polistirolo, plastica per conservare gli alimenti, riscaldata ad una certa distanza dal fuoco, per avvolgere un palloncino più o meno gonfio, a seconda del livello di rimbalzo che si vuole ottenere. “Where there’s a will, there’s a way” avrebbe detto il mio amico Andrea Cristoforetti, che in Zambia allena la squadra Nazionale di Futsal.
Il Gioco è fatto! Non c’è bisogno di un campo, delle porte, di arbitri, di allenatori e neanche dei giocatori (tutti, almeno!) perchè se è vero che il signore del Gioco – e quindi dei giocatori – è il pallone, un bravo giocatore si vede da quanto è bravo a servire il Gioco.
Per questo motivo, nei tanti anni in cui ho allenato i bambini, o meglio ho lasciato che loro giocassero, mi sono convinto con il passar del tempo, che il momento più completo della seduta, quello più importante, il momento i cui si rivelava l’anima completa del giocatore che era in ogni bambino, era dato dai quei primi 10 minuti, in cui il bambino arrivava al palasport, entrava in campo, prendeva un pallone e correva da un lato all’altro, conducendo la palla, non avendo nessuna direzione, calciando verso qualsiasi cosa avesse le sembianze di una porta, arrivando anche ad associarsi, allearsi, ma tenendo bene a mente che, di base, quello che lo sosteneva e lo ispirava era una lotta. Il bambino sceglieva il pallone e giocava, mentre il pallone stesso giocava con lui, rotolando e rimbalzando. Il pallone è la manifestazione più chiara del Gioco grazie alla sua libera condizione di mobilità. Che poi da sempre è il must in ogni campo di calcio: “la palla è rotonda!”
In quel momento il bambino non ha una visione ordinata, assoluta del Gioco, il quale per esistere, ha bisogno che convivano dentro di lui identità e alterità, visione e cecità. Un bambino che corre proteggendo il suo pallone, cercando di sporcare, contrastare, togliere la palla a tutti gli altri, dona al Gioco la sua primaria caratteristica di invasione, lotta contro i compagni, contro gli avversari e contro se stesso.
Il fatto che, in quei momenti prima della seduta, quando non c’è nessun adulto ad indicargli vie e soluzioni, lo faccia non avendo un ordine, dona al Gioco quella necessaria imperfezione affinché egli stesso possa compiersi, con efficacia.
Adesso riportate l’imperfezione del Gioco a quella del bambino, naturale nei suoi primi anni di vita, che per innamorarsi del Gioco ha solo avuto bisogno di guardarlo, e per sognare di diventare un giocatore, ha solo avuto la necessaria possibilità di essere messo dentro il Gioco, con la sua condizione, altrettanto naturale, di non avere ancora schemi motori perfetti e di avere ancora la fantasia libera, non ingabbiata in confini artificiali.
Pensate a quanto si sentirebbe perso un bambino in un campo verde, lungo e largo, con la sua corsa imperfetta con passi brevi e rapidi, frammezzo a compagni ed avversari cercando una posizione ordinata in un campo, davanti ad un pallone del quale vuole colpire una parte, ma con l’unica parte del piede che qualsiasi adulto “insegnante” proverebbe subito a togliergli: la punta.
Pensate a quanto si sentirebbe limitato un bambino che volesse giocare in qualsiasi parte e del Gioco essere tutte le parti, volesse segnare e parare, e avesse nella sua testa l’unico pensiero di battere il suo avversario in uno contro uno, invece “costretto” a passare, affinare tecniche, trovare una posizione, vivere solo una parte del Gioco.
Ecco, ogni bambino per me è in modalità Futsal. Passi brevi e rapidi. Uno contro uno, tiro con la punta, vivere completamente il Gioco, in tutte le fasi e in tutte le posizioni, avere sempre il pallone ad una distanza tale da non permettergli viaggi fantastici e immaginari, perdendosi nelle nuvole.
Essere in modalità Futsal significa essere nel momento perfetto e naturale sulla linea dell’evoluzione sportiva: naturalmente calciare con la punta per poi lasciare che il Gioco possa provocare altre soluzioni tecniche; naturalmente voler cambiare posizione in campo per che il tempo e il Gioco, vero maestro, possano stimolare nuovi contatti del piede con la palla; vivere il Gioco nella sua completezza, aspettando che la ragione faccia il suo corso e porti il desiderio a stabilizzarsi; naturalmente lottare contro se stessi prima affinché associarsi diventi una necessità, e lo si possa sperimentare dapprima con un numero minore di compagni, contro un numero minore di avversari e quindi davanti ad un numero minore di problemi.
Il bambino dovrebbe essere coccolato in un ambiente che lo riporti alla sua modalità Futsal, stretto & confortevole, “tiny&cozy” direbbero gli inglesi, con le porte tanto vicine fra di loro da facilitare l’attacco è il contrattacco, ambiente in cui l’apparato di un gioco di squadra complesso come il Futsal, poi si sintetizzi più semplicemente in un’azione di uno contro uno. E il bambino ama l’uno contro uno, forse per la naturale predisposizione alla competizione.
Ma è certo che il ragazzino ama l’uno contro uno, teneramente, come solo gli innamorati sanno fare. Un romantico che, a differenza di tanti altri, sa che l’avversario è solo un altro innamorato che combatte per quello in cui crede.
Il Futsal sarebbe l’emblema del Gioco poiché chi lo gioca non prescinde mai dalla sua essenza, il pallone, e dal suo scopo, il goal.
Il tempo è prezioso. In qualsiasi posto, per strada ma soprattutto in un campo di Futsal. Anche lo spazio. Quello che si riesce a dominare è quello che si riesce a concedere. Quante cose accadono in pochi secondi e si esauriscono in pochi metri? Crescono sogni, sorgono dubbi [che non tramontano mai].
Si finalizza un contrattacco. Si vincono paure. Partite. Trofei.
BIO: Massimiliano Bellarte
- Nato a Ruvo di Puglia il 30 novembre 1977, ha assunto la guida della Nazionale il 15 settembre 2020 dopo un’esperienza ventennale da tecnico sulle panchine di Ruvo, Modugno, Acqua e Sapone, con cui nel 2014 ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa italiana, e Real Rieti.
- Nel 2017 ha guidato i belgi dell’Halle-Gooik, conquistando scudetto, Supercoppa di Belgio e Coppa del Benelux e venendo eletto dalla federazione belga miglior allenatore dell’anno. Per lui anche un’esperienza nel futsal femminile con il Salinis, suggellata dallo scudetto vinto nella stagione 2018/2019.
- È anche il tecnico della Nazionale azzurra di futsal Under 19.
- Massimiliano ha studiato lingue e parla inglese, portoghese, spagnolo e francese. Ha frequentato Sociologia all’ Universita’ La Sapienza di Roma.
Una risposta
Chi riesce a coniugare arte e scienza, sogno e realtà, a vedere sublime poesia nella prosa apparentemente più banale è semplicemente un grande e ha sempre qualcosa da insegnare. Anche senza volerlo.
Chapeau!