TALE PADRE, TALE MISTER.

Passando a un’altra tipologia di figura paterna risulterà sicuramente meno accogliente ricordare l’immagine dell’allenatore della Fiorentina, Delio Rossi, quando aggredì il suo giocatore, Adem Ljaic, dopo una sostituzione contestata fortemente da quest’ultimo.

Quel momento costò l’immediato licenziamento dell’allenatore e, di fatto, la fine della sua carriera ad alti livelli.

Diffusosi a macchia d’olio anche grazie all’era delle telecamere onnipresenti, quella zuffa ebbe una risonanza enorme e scatenò un grande stupore, anche perché Delio Rossi era sempre stato descritto come un vero e proprio insegnante di calcio, molto disponibile con i giovani e Adem Lijaic in quel momento rappresentava uno dei giovani con più talento in serie A.

Ovviamente, i giorni successivi all’episodio consentirono a entrambi i protagonisti di spiegare la loro versione e l’allenatore, dopo essersi scusato con tutti, fece intendere che il giocatore lo avesse offeso a livello personale (quanto personale non lo specificò mai) condividendo poi una riflessione molto significativa.

Affermò che se quello stesso episodio fosse avvenuto nel segreto dello spogliatoio non avrebbe destato alcun clamore o stupore.

Questa frase penso sia, se possibile, ancora più negativa dell’episodio in sè, lasciando sottintesi dei significati potenzialmente esplosivi.

Una delle grosse zavorre del mondo del calcio, a cui abbiamo fatto riferimento inizialmente, è questa tendenza omertosa che si concretizza spesso nell’idea inamovibile secondo cui qualsiasi cosa succeda nello spogliatoio debba rimanerci dentro.

Come se questo luogo fisico venisse trasformato in una sorta di ideale buco nero che veicola questo suo messaggio pericoloso, non solo attraverso il concetto di silenzio assoluto ma, soprattutto, tramite l’idea che lì dentro tutto sia consentito e quasi avallato proprio grazie a quel mutismo.

È chiaro che sia più semplice gestire le relazioni all’interno dello spogliatoio piuttosto che farlo sul momento e in pubblico, ma non è sicuramente sacrilego condividerne poi la gestione a cose fatte, come avviene in moltissimi sport, senza alimentare sospetti e dietrologie di cui il calcio sembra essere atavicamente impregnato.

Un altro significato potenzialmente molto negativo, sempre collegato all’episodio in questione, è che grazie al silenzio dello spogliatoio un comportamento come quello possa addirittura rafforzare l’autorevolezza dell’allenatore, come quei genitori che si illudono di essere autorevoli minacciando i propri figli con quel terribile “poi a casa facciamo i conti!”

La violenza con cui Rossi si scagliò su Ljajic fu eclatante e, nonostante l’attitudine fastidiosamente irriverente del giocatore, fu difficile empatizzare con l’allenatore perché il suo gesto non aveva nulla di nemmeno lontanamente propositivo, fu solamente un vero e proprio scatto di rabbia sguinzagliato all’improvviso.

Quello che probabilmente questo episodio ci lascia è la conferma di quanto siano destabilizzanti le repentine metamorfosi dei nostri riferimenti educativi.

Vedere perdere le staffe a un padre solitamente vissuto come comprensivo per un figlio può essere così sconcertante da causare una paura paralizzante, come se si trovasse di fronte “una altro papà”, sensazione che sembra aver provato Lijaic in quel momento.

Adesso vorrei provare a invertire il punto di partenza da cui deriva la conclusione secondo cui spesso il calcio sia un fedelissimo specchio dei tempi, osservando invece quanto il contesto socioculturale possa attribuire a un episodio simile un significato molto diverso.

Trent’anni prima della lite tra Delio Rossi e Adem Lijaic accadde che l’allenatore del Pescara, Domenico “Tom” Rosati, diede un ceffone al suo giocatore Vittorio Cozzella mentre usciva dal campo dopo essere stato espulso per un gesto di reazione.

Anni dopo quest’ultimo, intervistato per ricordare l’allenatore scomparso a soli 56 anni, espresse il suo dispiacere nel vedere il loro rapporto indelebilmente associato a quell’episodio, offuscando la stima e l’affetto che aveva provato nei confronti di una persona che, a suo dire, aveva vissuto come una figura paterna.

Pur volendo sperare che anche Lijaic non sia contento nel rivedere l’episodio dello scontro con Rossi, faccio fatica a immaginarlo mentre ripensa rammaricato al rapporto con il suo ex allenatore… più realisticamente me lo immagino mentre sogna un re-match, già pregustando “la bella”!

In maniera positiva invece ci spiazzano repentini cambiamenti di allenatori che, nonostante si siano costruiti negli anni una fama per la loro durezza e intransigenza, decidono di mostrare gesti di grande affettività.

Abbiamo già citato prima l’abbraccio tra Josè Mourinho e Marco Materazzi dopo la vittoria della Champions League del 2010, gesto che ci conferma quanto l’allenatore portoghese sia un interprete fantastico di questo ruolo di genitore severissimo ma capace, al momento giusto, di mostrare la propria parte sensibile.

Un padre capace di lasciarsi andare a un pianto viscerale col proprio figlio senza paura di perdere l’autorevolezza è un padre sicuro, consapevole che l’aver mostrato la propria sensibilità possa solamente rafforzare la sua relazione col figlio.

Dal canto suo Marco Materazzi ha una storia personale che probabilmente lo ha portato a vivere i suoi allenatori con delle dinamiche ancora più articolate, avendo perso la madre molto giovane ed essendo cresciuto con un padre che svolgeva la professione di allenatore.

Mourinho ha spesso attirato l’attenzione di noi appassionati per il suo modo di gestire i rapporti con i mass media, trasformando le sue interviste in veri e propri eventi capaci di catalizzare un interesse fuori dal comune.

Molti sostengono che quelle modalità comunicative non siano altro che delle strategie finalizzate a togliere pressione sulla squadra, attirandola su di sé.

Io penso che per reggere una dinamica di questo tipo sia necessario possedere profondamente quel tipo di caratteristiche di personalità, perciò sono più tentato a pensare che Mourinho si metta al centro naturalmente e che, solo in seconda istanza, questo modo di pensare e di comportarsi possa essersi trasformato in una strategia utile anche per ottenere dei vantaggi per le squadre che ha allenato.

La sua auto definizione di “Special One” innesca il sempre interessante dibattito tra chi lo ama, ammaliato dalla sua autostima inscalfibile, o chi non lo sopporta, offuscato da una fastidiosa auto referenzialità.

La sfida potrebbe essere quella di individuare i confini sottili che separano l’autostima dalla superbia.

Personaggi come questi sembrano costruiti per farci rimanere stritolati nel dibattere in eterno, lasciandoci la possibilità di accusarli ed esaltarli esattamente per gli stessi motivi.

Spesso mi sono chiesto se fosse possibile creare una sorta di discendenza ego-genealogica tra Mourinho e il calciatore svedese Zlatan Ibrahimovic, che per molti versi sembra rappresentare la sua proiezione in campo, condividendone l’autostima iperbolica e la capacità di gestirla in maniera mediaticamente accattivante.

I due hanno anche avuto modo di collaborare nell’Inter e nel Manchester United, smentendo il pregiudizio secondo il quale due personalità forti negli stessi aspetti non possano funzionare bene insieme.

Da “Matti per il calcio” di Davide Bellini.

Edito da Bradipolibri nel 2022.

BIO: Davide Bellini

  • Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
  • Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.

6 risposte

  1. Io Delio Rossi l’ho conosciuto, abbiamo anche una foto insieme che ci scattò Fedele Limone. È una persona educata, gentilissima, riservata, intelligente e preparata. Molto migliore di una infinità di suoi colleghi blasonati. Che certo non meritava di passare alla storia per aver preso a botte qualcuno.
    Nel caso di specie io empatizzo con lui e penso che al suo posto avrei fatto anche di peggio. Ljalic malgrado la fiducia accordata per l’ennesima volta dal suo allenatore non si era impegnato nemmeno in quella partita, e quindi il suo allenatore lo ha giustamente tolto dal campo. Se a quel punto scegli di insultargli moglie e figli, caro ragazzino strapagato e miracolato, ti accolli la responsabilità di come l’altro possa reagire. Non penso che Rocco o Lippi avrebbero reagito diversamente. E quindi non capisco come mai all’epoca nessuno prese le parti di Rossi, che aveva ragione, contro Ljalic che aveva torto.
    Senza esaltare o giustificare la violenza, ma la verità non posso credere che stia sempre solo nel mezzo.
    Anche la frase sul chiuso dello spogliatoio, non la vedo così “potenzialmente esplosiva”, se non altro perché lo spogliatoio nasconde cose molto più “esplosive”: il doping, le combine, le scommesse, alla fine due cazzotti mi sembrano proprio il meno.
    Orrico passerà alla storia per aver inventato la gabbia, non per aver appeso Klinsmann al muro nel chiuso dello spogliatoio. E Corrado Viciani passerà alla storia per aver inventato il gioco corto vent’anni prima di Van Gaal e Guardiola, non certo per aver dato uno schiaffo ad Allegri davanti a migliaia di persone.
    Quindi diamo a Rossi quel che è di Rossi, l’aver portato in A Salernitana e Lecce!

  2. Buonasera.
    Grazie per aver letto il brano tratto dal mio libro e per aver speso del tempo nel riflettere sul suo contenuto.
    Il tema era legato chiaramente ad analizzare un episodio non le persone che, essendomi estranee, sarebbe scorretto provare ad interpretare o, tantomeno, a giudicare.
    L’idea era quella di descrivere come il significato di certi episodi cambi con il cambiare della società.
    Come lei stesso dice, il segreto dello spogliatoio copre cose ben più gravi, infatti quello era il messaggio: che quel tacere assoluto non sia positivo in assoluto.
    È vero che sarebbe potuto succedere anche a Rocco o a Lippi di fare ciò che fece Rossi, ma non è successo.
    La ringrazio ancora per la sua passione e attenzione.
    Buona serata Giovanni.

  3. Mi permetto di aggiungere che lo scorso 20 settembre, nel nuovo comma che introduce lo sport nella Costituzione emendando l’art 33 , è stato inserito il riferimento al valore educativo.
    Siamo portati a pensare che il valore educativo sia richiesto solo ai tecnici dei settori giovanili ma le carte federali la impongono anche i tecnici professionisti.
    E infatti, nella fattispecie, la Fiorentina non esonerò Rossi ma lo licenziò per giusta causa e i successivi contenziosi diedero ragione al club.
    Il fattaccio scaturì, tra le altre, a causa di una sostituzione nel primo tempo che è una cosa che i calciatori non gradiscono.
    La Fiorentina alla mezz’ora perdeva 0-2 in casa contro l’ultima e rischiava grosso in classifica.
    E (forse) sarebbe ora di far capire che, se la gara si mette male, ho più chances di recuperarla intervenendo sull’assetto al 30’ che al 60’ ,senza che ciò comporti umiliazione o disvalore del calciatore sostituito.

    1. Buongiorno Alessandro
      Grazie mille per aver condiviso un’informazione che, personalmente, ignoravo ma che sono felicissimo di apprendere!
      Grazie mille e buona giornata!

  4. Buongiorno . Ricordo l’episodio benissimo. Bisogna forse comprendere il momento che Rossi viveva , il disagio di Ljaic ,la situazione della partita in uno stadio dove e’ difficile lavorare per la grande passione del popolo viola . Non voglio giustificare nessuno . In questo momento ricordo un calcio nel sedere di Baldini a Di Carlo dove l’episodio e’ stato ancora piu’ deprecabile.
    Penso che lo spogliatoio sia sacro .
    Ma dietro l’episodio Rossi e Ljaic credo che ci siano state cose successe in precedenza e magari non sappiamo.Senza dare ragione o torto a nessuno , credo che un Mister non debba mai arrivare a questo . Sia in campo che tantomeno fuori. Anche se il giocatore magari ha espresso epiteti molto gravi
    Comunque complimenti Davide per il bel articolo e anche le risposte delle persone sopra .

    1. Buongiorno Claudio
      È vero, tutto va contestualizzato, altrimenti correremmo il rischio di banalizzare.
      Il senso dell’estratto era proprio questo, sottolineare quanto sia ancora più eclatante il fatto perché successo ad un allenatore che si portava dietro una storia da bravissimo educatore con i giovani.
      Come quando un padre, che solitamente si comporta in maniera dolce e accogliente, possa risultare fortemente disorientante per un figlio quando, invece, gli capita di esplodere.
      La ringrazio per le sue belle parole Claudio e buona giornata.

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