Uno scherzo grafico: assumerebbe questi contorni, in prima istanza, la visione della classifica di Serie A dopo la dodicesima giornata agli occhi di un tifoso rossonero che, in occasione dell’ultima sosta, ammirava la sua compagine guardare tutti dall’alto in basso.
Al netto di un cammino evidentemente foriero di colpi di scena e preliminarmente consapevole di equilibri che in un certo qual modo poteva essere scontato determinassero un alternarsi in vetta alla graduatoria del massimo torneo nazionale (anche in virtù dei diversamente impegnativi confronti continentali), è opera difficoltosa giustificare un calo così drastico in termini di punti e prestazioni: le certezze derivanti da una proposta di gioco consolidata, contemporanea, avanzata e suscettibile esclusivamente di sfumature in base alle circostanze di ogni singola partita, sembravano suggerire che un tracollo di queste dimensioni non potesse essere in alcun modo preventivabile.
Il vero problema del Milan non è naturalmente costituito in sé dal pari ottenuto al “Maradona” contro il Napoli (pur pieno di problematiche sfociate nell’allontanamento di Rudi Garcia) o da una sconfitta storicamente circoscrivibile alla portata dell’evento contro la Juventus, altresì viziata inevitabilmente dall’espulsione di Thiaw che ha fatto sì che mutassero drasticamente dinamiche ed evoluzioni a favore della sornione ed in realtà non affatto prorompente “gestione” bianconera nonostante la superiorità numerica: ciò che ha sconcertato anche il più distratto dei tifosi meneghini sono state le modalità che hanno condotto gli uomini di un sempre più contestato Pioli a racimolare due soli punti nelle ultime quattro giornate.
Se il campanello d’allarme sembrava per l’appunto non essere scattato successivamente alla sfida contro la Juve in virtù, come appena sottolineato, dell’impossibilità a sciorinare adeguatamente i propri concetti ed il proprio calcio in inferiorità numerica (diverso è soffermarsi su ciò che avrebbe potuto essere evitato al fin di non esporre la linea difensiva ad un esasperato e a volte complessivamente disconnesso uno contro uno), una prima voragine ha fatto capolino nell’incontro di Champions League contro il Paris Saint Germain, domato nella prima mezz’ora di gioco , nettamente subìto a gara in corso: doveroso soffermarsi sulle scelte tattiche, sull’interpretazione dei ruoli e dei compiti assegnati ( in alcuni casi ad elementi più volte smistati in zone di campo diverse e onestamente non di propria competenza concettuale) e sulla solidità mentale e temperamentale di un gruppo richiamato da Calabria, probabilmente senza l’ausilio della lucidità quasi sempre a caldo offuscata dai bollori della prestazione agonistica, peraltro da subentrato scottato dall’esclusione iniziale, ad una immediata riconnessione allo spirito e alle ambizioni del club.
Un chiaro sintomo incipiente di malessere atmosfericamente annusato nei meandri di Milanello e prontamente ridimensionato e declassato attraverso le puntualizzazioni di Stefano Pioli e dalla voglia di rimarcare un’empatia ambientale cementata nei giorni successivi in luoghi e circostanze non immediatamente riconducibili al terreno di gioco.
La gara di ritorno contro i parigini in quel di San Siro dimostra, stimolando nei cuori rossoneri paradossalmente una certa inquietudine, che nella sua più convinta espressione apicale, consapevole dei propri mezzi e rivestito di spessore caratteriale, il Milan è capace di indossare magnificenza e grandezza sottolineando come, inevitabilmente, la digestione dei concetti di gioco, la voglia di esprimere un calcio evoluto, contenutisticamente adeguato ai più elevati standard europei, sono testimonianza del livello di una squadra ricca di valori e di un timoniere che non può essere additato di nefandezze o incompetenze.
La chiara rappresentazione di sé stessi nel palcoscenico più importante e al cospetto di un avversario candidato alla vittoria finale sottolinea, va da sé, che il lavoro svolto da staff tecnico e squadra non può essere classificato come approssimativo o inadeguato.
E’ proprio per questo che diviene ancora più inconcepibile analizzare quanto accaduto contro Udinese fra le mura amiche e nelle seconde frazioni delle trasferte di Napoli e Lecce, accomunate dalla medesima sceneggiatura che, nei minuti conclusivi, avrebbe in entrambe le circostanze potuto comportare addirittura due sconfitte: indiscutibilmente l’atteggiamento individuale ha inciso profondamente, lignaggio e personalità, padronanza e gestione, dovrebbero emergere specialmente in alcuni momenti e su campi dove è fondamentale ottenere bottino pieno nell’economia di una corsa a tappe, motivo per il quale le carenze soggettive vanno parimenti colte assieme a quelle collettive, in special modo se si è in grado di rendersi protagonisti di prestazioni come quelle sciorinate nei primi quarantacinque minuti, sinonimo, come suddetto, di indiscutibili capacità e spartiti infusi nel DNA.
Pur sbagliando formazione, principalmente dal punto di vista squisitamente tattico, della copertura del campo e delle soluzioni che avrebbero dovuto scaturire dalla logica di aver disposto gli uomini in un certo modo ( non affatto, nel caso specifico che sta per essere visionato con la lente d’ingrandimento, verificatosi), un allenatore, per quanto gravemente colpevole di alcune leggerezze ed imputabile di una non perfetta lettura dei momenti e degli uomini a disposizione, non può preventivamente mettere in conto prestazioni individuali come, ad esempio, quella espressa da Jovic nella prima frazione contro la neonata Udinese di Cioffi: pur non aiutato ed esaltato da uno sviluppo del gioco assente e, come sottolineato, non adeguato alla disposizone tattica prescelta, un professionista il cui livello sottende la possibilità di vestire la casacca rossonera non è preliminarmente concepibile possa fornire un apporto di quel genere.
E se sentore è, relativamente a quanto scritto sino ad ora, che Pioli sembri essere sollevato da gravi responsabilità, così, intimamente, in realtà, non è: ciò che nei dettagli emerge è un timoniere probabilmente convintosi di poter estrarre dal cilindro più conigli di quanto le proprie visioni calcistiche possano contemplare; la sensazione è di una guida e di un uomo infatuatosi di sé stesso che suppone sia sostanzialmente sempre corretto ciò che sceglie e determina.
A dir poco discutibile insistere su Krunic, evidentemente non all’altezza, quanto meno momentaneamente, del contributo che ne ha fatto uno dei pilastri delle scorse stagioni e tatticamente un ago della bilancia imprescindibile in una formazione le cui dinamiche necessitavano improrogabilmente di un elemento dalle letture prontamente corrette, capace di equilibrare intelligentemente una squadra che verteva su evoluzioni contenutistiche mutate successivamente alla partenza di Brahim Diaz, fondamentale nel gioco fra le linee; bisogna scegliere se essere più invasivi palla al piede o più cauti nella manovra: or dunque, se optare per tempi di gioco più ragionati e fare affidamento su un regista puro e pensante o avanzare la possibilità di utilizzare la mediana quale propedeutica ad un rovesciamento del fronte acquisendo campo e spazio per le soluzioni offensive.
In effetti una delle decisioni più significative che Pioli dovrà definitivamente esautorare è rappresentata dallo schieramento della linea mediana: non tanto negli uomini ( Loftus-Cheek è imprescindibile, Reijnders meritevole, nonostante gli alti e i bassi, di mantenere i galloni della titolarità), quanto nei compiti.
L’espressione migliore sembra riconducibile alle mansioni di cui l’inglese e l’olandese erano stati rivestiti all’inizio della stagione: prorompenti incursori , da mezzali, sulla linea della trequarti, volti a scombinare sia con la palla che senza la struttura difensiva degli avversari e creare un appoggio produttivo alla prima punta, con Leao e Pulisic larghi ad inventare soluzioni e a saltare i diretti opponenti.
Gli esperimenti hanno spaesato gli attori protagonisti: al netto di indisponibilità ripetutesi ( altro problema da risolvere, visto che i dati parlano di una quantità numerica di defezioni non comparabile, statisticamente, a quanto accade alle altre compagini in uno scorcio di stagione comunque ancora temporalmente limitato), lo stesso Reijnders è stato maldestramente costretto a giocare da regista in quel di Dortmund, allorquando il successivo ingresso di Adli ha comportato l’innalzamento del livello della squadra e della prestazione individuale dello stesso centrocampista tulipano.
Lo stesso Adli sembrava assurgere, meritevolmente, a grimaldello indispensabile nella zona nevralgica, tranne poi essere nuovamente utilizzato con il contagocce e senza quell’acquisizione di responsabilità, da parte di Pioli, di “lanciarlo” definitivamente nei match più importanti; di Musah si è fatto leva sulla sua polivalenza, che ne ha determinato l’impiego in almeno cinque ruoli: esterno tutto campo, esterno alto, mezzala, uomo schermo, sino all’incauta scelta di esterno basso contro il Lecce, verosimilmente ( nelle primordiali intenzioni di Pioli che, va da sé, non è da supporre volesse volontariamente farsi del male) per contrastare con gamba e fisicità le sempre più frequenti folate pugliesi, tranne poi peccare nelle letture che, come diverse volte capita, un elemento non appartenente a quello specifico ruolo può evidenziare ( allo statunitense è accaduto anche contro l’Udinese).
Tra l’altro, il buon Musah, nella nazionale a stelle e strisce, un anno fa di questi tempi durante il campionato del mondo, ma più generalmente sempre, dava importante prova della propria “ragionevolezza” con il pallone fra i piedi: non è esclusivamente un elemento di corsa e fisicità da sfruttare per le sole risorse energetiche e strutturali ( come parrebbe stia facendo lo staff tecnico rossonero in larga misura), bensì un centrocampista fine nelle letture e capace di occupare bene gli spazi di competenza.
Le disquisizioni puramente tattiche potrebbero proseguire sino a far acquisire contorni estremamente prolissi, probabilmente esaustivi ma sin troppo ipotetici; è per questo che bisogna ritornare ad una primordiale certezza: è doveroso che i componenti della rosa vengano esaltati e messi nelle condizioni di esprimere al meglio il proprio potenziale, coniugandosi alle esigenze espressive del collettivo al fin di ottenere il massimo da tutto ciò che la totalità del mondo Milan può essere in grado di raggiungere; è altresì indispensabile, contemporaneamente, che il rendimento dei giocatori più importanti si discosti dall’irregolarità della non continuità.
Bisogna essere più presenti ed incisivi, tecnicamente più precisi, caratterialmente più ingombranti sul terreno di gioco ed esempio per i compagni. La buona volontà di sacralizzare sé stessi fornendo solo conseguentemente un apporto decisivo all’intera struttura è effimero.
Ultima postilla: serve che Theo Hernandez torni ad essere probabilmente uno dei tre migliori esterni bassi del continente. Il suo apporto apicale può regolare le sorti delle controversie in casa Milan.
E serve, urgentemente, che Pioli riacquisisca la necessaria facoltà di mettere in discussione le sue scelte.
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.
3 risposte
Ma che prosa pesante!!!!
Buonasera Amerigo,le rispondo in qualità di editore del Blog, anticipando,immagino, la risposta dell’autore. Si dice che la libertà sia partecipazione e lei ha partecipato al blog commentando una modalità di scrittura che evidentemente non è di suo gradimento. Prendiamo nota pur sottolineando come ci prema che sia la chiarezza dei contenuti ad aver valore. Andrea Fiore ha la mia massima stima per contenuti e forma. Mi auguro continui a seguire il Blog e porti i suoi preziosi contributi. A presto e buon wend.
Filippo
Salve Amerigo: oggigiorno quasi tutto è fugace, scarno, approssimativo, prontamente liquidato senza essere adeguatamente argomentato; condivido il suo pensiero: un’espressione curata, dettagliata, contenutistica, forbita e stilisticamente elegante “appesantisce” la disabitudine ad un’informazione esaustiva. Ma, mantenendo fede a ciò che disse Pasolini, non commetto mai l’errore di poter sottintendere che il lettore o l’ascoltatore possano essere “distratti” : pena ne sarebbe la qualità di pensiero a favore della mediocrità. E lei, leggendo l’intero pezzo, ha già di base largamente dimostrato di non essere un lettore mediocre. Ogni argomentazione sottintende la sua coralità sintattica e lessicale:se lei ama maggiormente l’istantaneità comunicativa la invito a leggere i miei articoli relativi ai “ritratti” di alcune leggende del football: ascolterà con gli occhi uno stile differente. Grazie per aver interagito ed espresso il suo pensiero.