L’INTERVISTA AL CORRIERE DELLA SERA: LA LEZIONE DI LUCIANO SPALLETTI.

L’intervista al CT della nostra Nazionale, Luciano Spalletti, rilasciata pochi giorni fa a Walter Veltroni del Corriere della Sera ha, se mai ce ne fosse stato bisogno, confermato lo spessore del tecnico di Certaldo.

Numerosi sono stati i passaggi che vale la pena di riprendere.

Parlando del suo percorso Spalletti descrive la bellezza di quando ragazzino si sentiva stanco perchè, con testardaggine, dava tutto per migliorarsi, stancandosi ma di una stanchezza appagante. E poi dice una cosa illuminante…“non da soli, con gli altri”. Si, proprio gli altri, gli incontri che facciamo sono determinanti, le persone che possono guidarci, siano esse adulti o coetanei, che ci mettono nelle condizioni di apprendere, lasciandoci sbagliare e aiutandoci a non sbagliare più o a sbagliare di meno. L’altro che ci aiuta a realizzare i nostri progetti, i nostri sogni…“Erano più di trent’anni che il Napoli ed io pensavamo di andare nello stesso luogo, di fare lo stesso viaggio. Incontrarci, esiste un’arte dell’incontro, ci ha fatto arrivare, ambedue, il più lontano possibile”.

Senza voler andare contro al cambiamento dei tempi e dei costumi, e proprio perchè l’incontro con gli allenatori da parte dei ragazzi e delle ragazze può essere determinante, occorre ricordare come tra i compiti degli allenatori ci sia anche quello di favorire una maggiore coesione tra i ragazzi stessi. Cosa assai difficile in un’epoca in cui il primo soggetto con cui ci si rapporta è il proprio smartphone. Nulla contro la tecnologia anche perchè noi stessi lo utilizziamo per messaggi, mail, immagini, interazioni, social, ecc. Ma in un gruppo che vuole diventare squadra talvolta può essere un limite alla coesione. Se appena rientro in spogliatoio, a fine allenamento o a fine gara, il primo pensiero è consultare lo smartphone, mi perdo situazioni importanti di spogliatoio. Lo stesso nel momento in cui arrivo al campo e tengo le cuffiette persino quando mi spoglio e mi rivesto.

Spalletti riprende il tema della voglia, del desiderio e della fatica, quando parla di Diego Armando Maradona… “Maradona, i filmati ce lo raccontano, si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini. C’era sofferenza, fatica, una innata cultura della sfida e del miglioramento. I panni, dopo l’allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi”.

Anche l’espressione…“mutare sempre restando sè stessi”, l’ho interpretata come la capacità di adattarsi ai contesti lasciando qualcosa di sè ma senza mai snaturarsi del tutto.

Poi riprende il tema degli incontri, riferendosi ancora all’esperienza vissuta a Napoli…. “Incontrarci, esiste un’arte dell’incontro, ci ha fatto arrivare, ambedue, il più lontano possibile”.

Sublima poi un pensiero che tutti dovremmo portare avanti con forza…“Io sono contento della qualificazione. Non solo per il risultato, il contrario avrebbe provocato dolore in tutti, ma per il modo in cui abbiamo giocato in tutte le partite. Tutte, ma non tutto il tempo. Perché abbiamo giocato bene per quarantacinque, sessanta o settanta minuti, mai una partita intera. Siamo però sulla strada giusta, in breve tempo”.

Il desiderio di affrontare le difficoltà, i rischi e di come abbia senso aver coraggio solo se proviamo almeno un pizzico di paura…“Ci sono molte cose che da fuori mi spaventavano e ora, dopo averle affrontate, mi entusiasmano”.

Ancora parole per tutti coloro che lavorano nei settori giovanili… “Nei settori giovanili si tende a premiare la fisicità precoce senza calcolare che il talento può essere nascosto anche nell’incompletezza fisica, e che lì bisogna cercarlo. Li facciano giocare con la palla, non c’è bisogno che gli allenatori dei settori giovanili facciano il copia e incolla degli schemi miei o di altri. Bisogna fare attenzione a non appiattire i livelli, a non mortificare talenti e creatività. E se un ragazzo mostra estro ma ha delle pause, lo si aspetti. Lo si formi, non lo si rifiuti. Il ruolo degli istruttori è fondamentale e deve essere esaltato”. Cambierei solo il termine “istruttore” perchè si è allenatori anche con i bambini e “istruttore” mi riporta all’idea che i nostri giovani calciatori debbano eseguire senza comprendere e, se esegui, senza comprendere, non apprendi.

Bellissimo il passaggio sulla cosiddetta cultura dell’alibi, sulla ricerca di una responsabilità altra, che non ci appartenga…“E comunque io non cerco scusanti, non alleno i miei alibi”, così come quello dell’elogio a Raspadori…”è un ragazzo fantastico: non rinuncia a impegnarsi né in allenamento né nel preparare uno dei suoi esami universitari”. A sottolineare l’importanza della dual-career.

Anche il passaggio sul tema del recente scandalo scommesse è qualcosa che tutti possiamo condividere: “La storia delle scommesse è profonda. Le società di scommesse come sponsor. Ci si indigna, ma si pubblicizza una cosa che ha ragione di esistere solo economicamente e in nessun modo eticamente”. E ancora…“Vedere ragazzi che non hanno talento o fortuna è triste ma c’è qualcosa di più amaro e di più insopportabile del non avere talento o fortuna: è avere l’uno e l’altro ma non saperli riconoscere e apprezzare. Questo per me fa la differenza tra un uomo vero e un uomo apparente”.

L’accusa alla cultura imperante nel nostro Paese, per cui chi perde è sempre qualcuno che ha fallito; secondo cui è sempre l’esito, inteso come il risultato, a contare e non il percorso…“Purtroppo quello che non sta cambiando in Italia è la mentalità, specialmente per quel che riguarda la cultura della sconfitta”.Quella del massacro a chi perde è una usanza che si è addirittura allargata ai campionati giovanili andando ad incidere negativamente sul percorso di molti talenti”.

Nel passaggio successivo Spalletti mi ricorda Marcelo Bielsa, a mio avviso tra i più grandi portatori di valori positivi nel mondo del calcio: “Essere sconfitti è importante, educa, insegna a migliorarsi, educa a vincere”.

E poi la chiusura sulla domanda del giornalista: “Il calcio è davvero un «gioco semplice?”. La risposta è un manifesto del messaggio che questo Blog vuole condividere:

“Il calcio semplice è per chi si accontenta degli standard, è per chi pensa che il campo sia 105 metri per 68. Il calcio diventa più complesso, ed estremamente più affascinante, per chi pensa invece che il campo sia 7.140 metri quadri. Solo così si capisce la vastità delle possibilità delle sfide e delle variabili coinvolte in una partita di calcio. Nel calcio c’è chi può farlo diventare semplice e chi invece no. Ma nel momento in cui i grandi talenti lo fanno sembrare semplice significa, in realtà, che lo stanno facendo evolvere ad un livello ancora più alto”.

IN BOCCA AL LUPO LUCIANO, COMUNQUE VADA E PER QUEL CHE PUÒ VALERE, PER ME HAI GIÀ VINTO!

Nel LINK qui sotto, l’intervista integrale:

https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwji2qvbq_mCAxUQhf0HHcb5AUgQvOMEKAB6BAgOEAE&url=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Fcronache%2F23_dicembre_05%2Fspalletti-intervista-44301d18-92e2-11ee-b4ce-f7c294a6ba9a.shtml&usg=AOvVaw2bxyZwfzWnyKiZGZeWNpuO&opi=89978449

3 risposte

  1. Buongiorno filippo. Questo Signore, che io sinceramente , non apprezzavo , mi ha confermate tante cose e tanti miei pensieri !
    E’ un professionista che starei ad ascoltare per ore e ore. I concetti che esprime , mi fa ancora lavorare ancora piu’ volentieri con i “miei” pulcini , spronandomi a fare sempre meglio.
    E’ bello anche cambiare idea su una persona , su un allenatore.
    Caro Mister Spalletti . Anche per me hai gia’ vinto !!!!

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