“CHE TU POSSA INCONTRARE LA VITTORIA E LA SCONFITTA E TRATTARE QUEI DUE IMPOSTORI NELLO STESSO MODO“.
E’ una frase di Rudyard Kipling scritta all’ingresso del Centre Court dell’All England Club di Wimbledon, citata da Emanuele Atturo in uno dei due mirabili pezzi twins composti e orlati intorno alle recentissime vittorie di Jannik Sinner.
Dopo un non breve stand-by per il quale mi scuso pubblicamente con il blogger che ha la bontà di ospitarmi e al suo cuore rossonero che ha saputo pazientare, torno a rilanciare sul piatto i miei pensieri sparsi intorno al calcio, solleticati dall’epica vittoria sportiva non completamente prevedibile, almeno non sul 3-6, 3-6, avvenuta a Melbourne in questa fase di luna piena e dagli articoli colmi di genio sopra citati che innescano sempre nella mia testa, come credo in quella dei tanti malati inguaribili di sport, il più virulento dei contagi. Salto a piè pari le frasi pronunciate post Slam da Jannik Sinner e da Daniil Medvedev…perle preziose in realtà, da conservare con cura per le generazioni a venire in quell’angolo di memoria sportiva che si trasforma in patrimonio dell’Umanità.
Parole di saggezza, discernimento ed equilibrio, anche perché pronunciate con naturalezza da due giovani atleti che facilmente si trasformeranno però nei prossimi giorni in inflazionata materia da “romanzo”. Così come appaiono già taggatissime le foto del vincitore, che abbraccia l’ambìto trofeo dell’Australian Open. A quest’ultime preferisco di gran lunga gli scatti che ci raccontano tanto sul mistero insondabile di un talento ormai indiscusso, i suoi occhi lontani e spauriti da scampato, sopravvissuto all’attacco di un “cagnaccio” con forse troppe ore di gioco non smaltite, i suoi ricci scomposti: un guerriero di 22 anni che ancora stenta a prendere coscienza dell’happy-end della battaglia, che ripensa riconoscente al pozzo profondo in cui è andato a pescare tutta quella energia, al momento felice in cui si è infilato nell’unico pertugio possibile, uno spiraglio nel terzo set, sapendo cogliere la più ghiotta delle affordance come direbbe il buon vecchio James ( Gibson ) che la situazione gli offriva in una girandola di emozioni, tante e tali da doversi sdraiare per processarle tutte.
Le salto dunque, provando però ad abitare alcune domande che troveranno sviluppo e risposte nei prossimi articoli:
- Questa generazione di giovani atleti come Sinner, Medvedev, lo stesso Gianmarco Tamberi che ai Giochi Olimpici di Tokio divide con Barshim la medaglia d’oro, ma anche le Sofie Goggia e Raffaeli che vivono con profonda emozione, naturalezza e semplicità le vittorie e le sconfitte, ci offrono un’interpretazione di uno sport tanto impegnativo ma DIVERTENTE, una attività in cui il gioco non ha secondi fini ma nello svolgersi e nel misurarsi con vera, disinteressata creatività ed intelligenza, trova la sua piena realizzazione. Nella ricerca infatti di quelle soluzioni non cooptate ma libere, nell’appropriazione e scoperta del proprio percorso risolutivo e di squadra sta tutta LA BELLEZZA. Un tipo di gioco che ha un senso e che rende la vita divertente, degna di essere vissuta. Il gioco non richiede alcuna ragione infatti se non l’abilità e il divertimento del giocatore.
L’utilizzo NON disinteressato che a volte si fa del gioco, la gamification entrata ormai nelle scuole a supporto della didattica, nelle industrie come meccanismo incentivante e nelle stesse società sportive, nelle squadre che “gestiamo” e nella nostra vita è fonte di divertimento per l’alunno, il dipendente, il giocatore, ciascuno di noi? Come e cosa fare dunque per RICOLLOCARE il divertimento al centro del villaggio, il DIVERTIMENTO nel GIOCO?
Paul Kostabi e l’atto creativo. Galleria d’Arte Casati, Monza.
2. Neuroscienze e Teoria della complessità evidenziano da almeno una trentina d’anni l’unione di fatto tra il GIOCATORE e l’AMBIENTE DI PERFORMANCE, dove per ambiente non si intende solo l’ambiente fisico materico e per giocatore non sto neanche più a dire sull’entità inscindibile capace di COGNIZIONE INCARNATA ( e non più parcellizzata di corpo e cervello, cervello nel corpo, e altre geografie improbabili ). Tale embodied cognition, ( una fusion di percezione cognizione azione consapevolezza ) costituisce l’abilità di risolvere problemi che si generano di continuo durante il gioco, catturando le informazioni determinanti e incessanti all’interno del contesto. Nuove vie metodologiche ci invitano ad inserirci in questo stesso ambiente-sistema di cui facciamo parte a tutti gli effetti ed affinare sempre di più la nostra predisposizione di PROGETTISTI DI EFFICACI VINCOLI e non di COLLETTORI DI RIGURGITI : non ci deve far felice soltanto il feedback che riceviamo dalla squadra quando ci rendiamo conto che è in grado di applicare l’ appreso: l’entusiasmo dovrà arrivarci fin dentro le ossa se la squadra o il singolo con discreta autonomia riuscirà a far fronte alla situazione sempre mutevole che gli si prospetta. Via dunque al GAME DESIGN: UTILIZZO DEL GIOCO MA NON PER ALTRI SCOPI SE NON QUELLI VOLTI AL MIGLIORAMENTO DELLE ABILITA’ DELLA SQUADRAE DEL SINGOLO GIOCATORE. E AL DIVERTIMENTO. Non ho scritto MOTIVAZIONE INTRINSECA. Ci vuole una MOTIVAZIONE INTRINSECA per giocare a calcio e divertirsi?
3. Cito Atturo: “Sinner ha detto di aver lavorato molto sulla parte atletica, durante la off-season, e oggi abbiamo ammirato la sua migliore versione fisica di sempre.”
Nonostante le nostre riserve relativamente al termine “versione fisica”, ora che grazie agli analisti conosciamo tutto relativamente ai dati, permane ancora una INCERTEZZA sulle modalità di un lavoro che coniughi modello prestativo, performance, variabilità funzionale, contesto, ritmi tempi e spazi, tecnico-tattico, strategia. Come considerare e valutare ad esempio la prestazione stessa nell’ambito della scuola calcio dove la MUTEVOLEZZA generazionale legata a fattori di crescita non solo fisiologica è sempre più ampia, rendendo obsoleti i criteri che si sono scelti per esempio a inizio anno?
Tentativi di sperimentazione per provare ad applicare proposte scientifiche anche serie o idee pedagogiche e psicologiche non peregrine spesso falliscono trascinando però poi nel disagio tutti gli attori coinvolti. ( vedi BIOBANDING…. come se la capacità di giocare e intrepretare adeguatamente il gioco potesse costituire dato biologico! )
4. Durante il suo intervento finale al microfono Jannik Sinner ha sommariamente accennato al fatto di aver sperimentato da bambino VARIE DISCIPLINE SPORTIVE prima di approdare al tennis, reputando questo fattore importante, determinante al suo successo nello Slam. La questione dovrebbe far riflettere ogni educatore insegnante e allenatore relativamente alla SPECIFICITÀ dei movimenti e alla loro TRASFERIBILITÀ, allo scopo di ideare percorsi che possano dar voce ai giocatori e rispettare la loro crescita e la loro dignità. Attività che possano influenzare al meglio e in maniera stabile e permanente la loro lettura dell’ambiente, la risoluzione delle variabili e dei problemi del gioco. Credo che i GIOCHI DI INVASIONE e le attività ad essi connesse possano davvero rappresentare un nucleo fondante e allo stesso tempo di grande utilizzo pratico nel calcio intorno a cui rivolgere il nostro interesse. Ritrovare il SENSO DEL GIOCO. Gli studi scientifici e neuroscientifici, pedagogici e psicologici seri, la match analysis innegabilmente hanno innalzato il livello prestativo dei giocatori e delle squadre attraverso le migliori competenze degli allenatori, degli insegnanti e dei professionisti che di educazione si occupano. A volte però è mancato UNO SGUARDO D’INSIEME. Oltre al fatto che le competenze degli specialisti in genere risultano fortemente settoriali, prive di esperienza e conoscenza sportiva calcistica. A volte sono stati spacciati per dogmi inconfutabili dei concetti rivelatisi fasulli alla lunga, interpretato i dati in maniera anomala, affermando ad esempio che la durata degli allenamenti e delle partite dovrebbe essere strettamente uguale….identica l’ampiezza del campo, indiscutibile l’uni-direzionalità. Alla stessa stregua sono state sconfessate e archiviate molte attività forse utili proprio nell’ottica dell’intelligenza di gioco che il TRANSFER stesso sollecita.
5. Riappropriamoci dunque della capacità di OSSERVARE, di VEDERE, di DIVERTIRCI esattamente come abbiamo fatto da bambini nel gioco libero che codificava la grandezza delle porte in base alla distanza casuale tra le due piante più vicine, che della diversità morfologica non faceva un problema da stigmatizzare, che quando non si era abbastanza numerosi per fare due squadre si rincorreva il portatore di palla in qualunque direzione e a qualunque velocità decidesse di andare.
E naturalmente lunga vita agli Skinner, ai Medvedev, agli Atturo. Ma anche a tutti noialtri là in mezzo.
BIO: SIMONETTA VENTURI
Insegnante di Scienze Motorie.
Tecnico condi-coordinativo in diverse scuole calcio e prime squadre del proprio territorio ( Marche )
Ha collaborato con il periodico AIAC L’Allenatore, con le riviste telematiche Alleniamo.com, ALLFOOTBALL.
Tematiche: Neuroscienze, Neurodidattica
Una risposta
Pienamente d’accordo.
Giocare attiva
processi di apprendimento a partire dal “principio attivo” insito nel gioco: learning by
doing che non significa semplicemente, meccanicamente, la saldatura dell’apprendimento
attraverso l’azione pratica, ma il fatto che il gioco attiva in sinergia il pensiero e l’azione, il corpo, l’intelligenza e l’emozione, secondo quel processo ENATTIVO
ampiamente tematizzato dalla fenomenologia e dalle scienze cognitive (MerleauPonty, 1980;
Maturana )
“Ludendo docere” non è semplicemente un ossimoro pedagogico, ma possedere la straordinaria capacità di percorrere una strada, tra le tante, per quella squadra, per quel gruppo, per quel ragazzo