Sono passati alcuni anni dalla famosa intervista in cui Antonio Conte ammetteva di dare consigli ai suoi giocatori (erano quelli dell’Inter) su come svolgere nel modo più opportuno la loro attività sessuale. Ricorderete forse che Conte consigliava posizioni comode e partner fisse per evitare un eccessivo affaticamento fisico e (forse, non risultava chiaro dalle sue parole) anche mentale. Questo è rimasto uno degli esempi più chiari di come il mondo dello sport faccia fatica a considerare l’atleta come un essere umano a 360 gradi e non solo una macchina da prestazione sportiva che fa leva solo su capacità fisiche e tecniche.
Di sesso e sport se ne parla poco, nonostante lo sport sia intriso di riferimenti e simboli sessuali più o meno espliciti. Il fatto che il sesso sia in qualche misura ancora un tabù impedisce di riflettere serenamente sul suo ruolo nelle nostre vite e nello specifico nelle vite degli atleti, che maschi o femmine vivono la loro carriera negli anni di maggiore attività sessuale.
Che il sesso sia ancora un tabù è un segreto di Pulcinella. Come per altri fenomeni umani, è il senso di proibito che ne determina l’attrattività e un’eccitazione superiore a quella fisiologica, sfruttata da media e pubblicitari per attirare l’attenzione del pubblico di riferimento.
Il senso di proibito è legato a considerazioni morali, ma anche a un altro elemento molto importante per la prestazione sportiva: le emozioni. Il sesso è dominato dalle emozioni e senza un’acuta consapevolezza emozionale è inevitabile vederlo come un momento in cui “si perde la testa”, non si ragiona più, si abbandonano le priorità e la nostra attenzione viene completamente assorbita dalla necessità di compiere l’atto, qui e ora. Ma non dev’essere per forza così.
Razionalmente, la sessualità può obbedire a esigenze non solo di completezza relazionale, ma più banalmente di ricerca del piacere (consolazione, appagamento, possesso…) e di scarico di energie nervose in eccesso. Questi due ultimi fattori sono quelli che possono scatenare una vera e propria dipendenza dal sesso, a maggior ragione se la persona a rischio, l’atleta professionista, è vista come oggetto sessuale e come tale continuamente bombardata di proposte di incontri estemporanei, fini a se stessi o visti come occasione di costruzione di un legame.
La ricerca del piacere e lo scarico di energie nervose all’inizio appaiono come una soluzione semplice e immediata a situazioni di stress da ambienti competitivi, ma prima o poi queste soluzioni a buon mercato sono destinate a presentare il conto.
In generale, quando cerchiamo piacere fine a se stesso ci condanniamo all’insoddisfazione, perchè più ne proviamo, più ne vogliamo. Non importa che si tratti di cioccolato o sesso. Questo meccanismo psicologico, noto da tempo come “adattamento edonistico”, ci porta a impiegare sempre più energie nella ricerca di un piacere che è effimero e non duraturo. Quello che all’inizio ci dava soddisfazione, in seguito diventa fonte di frustrazione e stress, sabotando la seconda funzione del sesso visto in maniera semplicistica, quello dello scarico delle energie nervose. Il divertimento diventa obbligo, abitudine, passatempo da condire in modo sempre più speziato.
Il rischio che un atleta giovane, maschio o femmina, di qualsiasi orientamento, più o meno famoso, ben pagato e con un po’ di tempo libero cada in queste spirali, che portano via l’attenzione da allenamenti e partite, è quello che spaventa gli allenatori come Antonio Conte.
La soluzione sta sempre nella consapevolezza dell’atleta, nel modo cioè in cui l’atleta vive e interpreta le sue reazioni. La sessualità è parte di noi. Le emozioni che genera sono altrettanto parte di noi. Lo stress delle competizioni è un fattore fisiologico da conoscere e usare come spinta. La serenità, la soddisfazione, la gratificazione possono venire da noi stessi, piuttosto che da fattori esterni o soluzioni di brevissimo periodo. L’atleta capace di dire “IO SONO, indipendentemente dalle vittorie, dalle sconfitte, dalle difficoltà, dalle conquiste sessuali e dal riconoscimento degli altri” è una persona equilibrata che riesce a utilizzare bene le proprie risorse ogni volta che ne ha bisogno.
E’ una persona che può fare sesso un’ora prima di un impegno importante senza perdere niente delle proprie capacità. Anche se la posizione è scomoda o il partner è particolarmente coinvolgente. La stanchezza fisica è un concetto molto labile, se c’è consapevolezza delle nostre energie e di come le impieghiamo. Allenatori e preparatori atletici potrebbero aiutare i loro atleti a guadagnare questo aspetto di crescita personale, piuttosto che offrire direttive che sminuiscono ancora una volta l’inevitabile responsabilità, autonomia e indipendenza degli sportivi professionisti.
@playthenow_coaching su Instagram e Stefano Nicoletti su Linkedin.
BIO: Stefano Nicoletti è un appassionato formatore, cresciuto in grandi aziende del settore finanziario in cui ha maturato e coltivato competenze trasversali su performance, collaborazione, negoziazione, mindfulness e gestione dell’attenzione. È un esperto di allenamento visivo e segue professionisti e giovani talenti dello sport di tutto il mondo. La sua frase preferita è del pugile George Foreman: “Nell’incontro con Ali non sentivo alcuna paura. Ho pensato: è facile. È quello che aspettavo. Nessun nervosismo. Nessuna paura. E ho perso”.