E’ facile, normale, amare Rivera, Van Basten, Maradona, Pelé… Sono gli idoli e i riferimenti di tutti quelli che amano il calcio. Finisce regolarmente con la disputa su chi sia stato il più grande. Molto diverso è ricordare i propri beniamini, giocatori più o meno grandi, non sempre stelle, che però si portano nel cuore per motivi assai diversi dalla loro luminosità
Il primo giocatore del Milan per il quale presi una cotta era Giorgio Biasiolo: vicentino di Montecchio, classe 1946, fu il mediano rossonero dal 1970 al 1977. Io da ragazzino giocavo mediano, gli allenatori mi mettevano sempre in campo perché correvo come un matto ed ero più alto e grosso di tutti gli altri, ma sognavo di avere una tecnica decisamente migliore e quindi mi ispiravo a lui, perché era molto tecnico e segnava gol (una quarantina in carriera, che per un centrocampista dell’epoca non erano pochi). Pensare che ho smesso di seguire il calciomercato quando fu ceduto al Lecce, lo giuro! Compravo ogni giorno la “Gazzetta” (ho iniziato a 11 anni), costava 70 lire. Non c’erano trasmissioni tv, radio, programmi di calcio d’estate – erano pochissimi anche in inverno e solo sulla Rai -, quindi per seguire i movimenti dovevi leggere il giornale. Dalla mattina in cui lessi che Giorgio Biasiolo era stato venduto, iniziai a saltare sistematicamente le pagine che riguardavano il mercato e anche nella mia carriera ne sono poi sempre stato alla larga, per molti altri motivi in verità.
Biasiolo era mite e ordinato in campo, ma lottava come un leone su ogni palla. Mi emozionai quando, per una ricerca scolastica di cui non ricordo i contenuti, ottenni di poterlo incontrare attraverso l’addetto stampa del Milan, avrò avuto sì e no 14 anni e mi diede appuntamento in un bar di piazza della Repubblica a Milano. Fu la prima intervista della mia vita.
Impazzivo per Luciano Chiarugi, toscano di Ponsacco (Pisa): per me negli anni Settanta fu il più forte giocatore del Milan dopo Rivera, un centimetro sopra Alberto Bigon. Tecnico, veloce, mancino puro, soprannominato “Cavallo Pazzo” per il suo modo di giocare: un dribblomane che sbuffava, protestava, cadeva appena lo sfioravano, brontolava, si sbracciava. Segnò su punizione, in finale con il Leeds a Salonicco (1973), il gol che diede al Milan la Coppa delle Coppe. Batteva i calci d’angolo a rientrare, ricordo che a San Siro contro l’Ascoli segnò il primo gol di una sua doppietta (finì 2-0) direttamente dalla bandierina del corner.
Avevo un debole per i portieri, ruolo dove avrei finito la mia lunga carriera dilettantistica avendo ormai legamenti e stazza che mi impedivano di giocare fuori: quando arrivò il mio idolo, Ricky Albertosi dal Cagliari, mi emozionai come un bambino, ma avevo altri strani pallini prima di lui come Antonio Rigamonti, un lungagnone preso dal Como e che batteva i rigori,
e José Cafaro, nato a Catanzaro ma emigrato in Argentina:
JOSÈ CAFARO
2 stagioni al Milan in momenti diversi, non giocò mai neanche un minuto. Fu titolare solo per poche stagioni nel Brescia e nella Cavese. Mi stregarono i baffoni sulla figurina Panini e la sua strana storia di famiglia.
Piano piano, l’allenatore mi aveva spostato in difesa a fare lo stopper e quindi il mio beniamino divenne Aldo Bet: capellone, un gigante soprannominato dai tifosi “Orso bruno”, vinse lo scudetto della stella e nonostante la rudezza del suo gioco, appariva elegante e pulito.
L’amicizia nata con Andrea Icardi durante un’estate ligure fece sì che lui e Joe Jordan, all’inizio degli anni Ottanta, mi entrassero nel cuore. Andrea era anche lui un mediano tutto corsa e capelli: non molto alto, tosto e grintoso, ebbe una bella carriera con Milan (117 presenze e 5 gol), Atalanta, Lazio e Verona. Giocò 2 stagioni in serie B con la maglia rossonera, la prima delle quali con il centravanti che era Joe Jordan, chiamato “Lo squalo” per la famelica capacità di segnare, ma anche per la bocca sdentata a causa di un incidente di gioco (non poteva usare il supporto mobile in partita, quindi quando esultava aveva davvero le sembianze di uno squalo). Nazionale scozzese – ricordo un gol strepitoso ai Mondiali del 1982, in tuffo di testa a volo d’angelo -, arrivava dal Manchester United e quindi infiammò la mia fantasia. Concluse la carriera poi giocando 3 anni anche nel Southampton e quindi rimase per sempre nel mio cuore. Mi dispiacque molto quando una volta, da vice allenatore del Tottenham a bordocampo a San Siro nel 2011, fu colpito da Gennaro Gattuso per un diverbio: dopo la partita spiegarono a Rino chi fosse e quindi lui andò a scusarsi nello spogliatoio inglese.
Come tutti, impazzii per il gol vincente di Mark Hateley in un derby, ma il motivo era anche il fatto di averlo incontrato e intervistato appena arrivato, in un gala estivo organizzato dal mensile dove lavoravo, “SuperGol”: a una domanda sulla sua vita privata, mi rispose di essere bravo a letto come in area di rigore… Con lui arrivò anche un altro inglese che ho amato, per la sua figura gentile e per la classe cristallina che lo contraddistingueva: Ray Colins Wilkins. Di Roberto Mussi mi è sempre piaciuta l’educazione e quella faccia angelica da bravo bambino, che con quei capelli rossi e lo sguardo furbo dissimulava un ragazzino pestifero quale non era affatto.
Con Stefano Nava diventammo amici perché – quando non era convocato – veniva a vedere le partite in tribuna stampa, che all’ora (negli anni Novanta) era ancora relativamente piccola, sistemata al primo anello accanto alla tribuna d’onore. Siccome io scrivevo la cronaca durante le gare, per poter inviare gli articoli al più presto dopo il fischio finale, ancora oggi quando ci vediamo mi chiama “Giacomo” come Giacomo Leopardi.
Sono diventato amico e ho frequentato molto due meteore che al Milan non hanno avuto molta fortuna, ma che invece hanno percorso carriere importanti: Cristophe Dugarry, centravanti grosso e capellone preso dal Bordeaux, e Sokratis Papastathopoulos, raro caso di giocatore greco in Italia. Cristophe ebbe più fortuna con la Nazionale francese (vinse il Mondiale del 1998) che a livello di club, dove comunque oltre a Milano giocò anche a Barcellona e Marsiglia, mentre Sokratis – aitante difensore centrale – arrivò in rossonero troppo presto. Poche presenze, ma vinse lo scudetto del 2011 per poi giocare a Brema, Dortmund e poi 3 stagioni di buonissimo livello all’Arsenal.
Ancora ricordando nomi sparsi, tornando agli anni Settanta: ero ragazzino e quindi, quando il Milan lanciava qualche giovane, diventava immediatamente un mio beniamino. Come Gaudino, bisonte dell’area che dopo 10 partite e 2 gol in rossonero, spaziò in serie B e C cambiando praticamente una squadra all’anno (tra cui Bari, Forlì, Savona, Frosinone, Reggina). O Giovanni Sartori, oggi uno dei più apprezzati direttori sportivi italiani. E ancora “anguria” Mandressi, il Rensenbrink della Brianza, 32 presenze e 6 gol al Milan. Infine Giuseppe Galluzzo, centravanti preso a 19 anni dopo che aveva già segnato 27 reti in 66 partite con il Lecco. Solo 13 partite e 2 gol in rossonero, poi via a girare l’Italia tra Monza, Spal, Bari, Cremonese, Ancona, Spezia.
Chiudo con due nomi che sono entrati nella storia, di giocatori che amai perché – nonostante la loro modestia – si ritagliarono spazi importanti in rossonero: Egidio Calloni a metà anni Settanta giocò con Rivera, Chiarugi, Benetti, vincendo una Coppa Italia e segnando 31 gol in 100 partite, ma fu ribattezzato “Lo sciagurato Egidio” per gli errori clamorosi sotto porta.
Stefano Chiodi arrivò subito dopo di lui, diventando uno degli eroi del decimo scudetto. Dei 14 gol segnati in 2 stagioni (50 partite), la maggior parte furono su rigore. MI ha addolorato molto la sua scomparsa prematura, a soli 52 anni dopo una lunga malattia, 15 anni fa. Ma, come tutti gli uomini di sport a un certo livello, continua a vivere nei ricordi e nelle nostalgie dei tifosi e dei cronisti. Dell’ultima infornata adoro Pierre Kalulu:
PIERRE KALULU
è sbocciato dal nulla, ha mostrato subito un piglio da veterano, è freddo, lucido e puntuale. Non si deprime per gli errori e non si esalta per le lodi. Credo che, con la testa che ha, potrebbe avere davvero una grande carriera.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
9 risposte
Complimenti Luca.
Bellissimo ..
Luca Serafini, un gradevole giornalista che gode tutta la mia stima.
Buongiorno.
Mi torna alla mente un giocatore che a giocato poco o niente con la maglia del Milan che aveva un’ottima tecnica ma poca testa: Guido Magherini.
Saluti.
Il mio idolo era Roberto Rosato, tutti amavano Rivera, ma la grinta che aveva faccia d’ Angelo!!!
che carrellata!!! che anni…io aggiungerei tra i tanti..per eleganza BATTISTINI….SEMPRE MLAN
Articolo molto bello grazie.
Me li hai ricordati tutti! Faccio anch’io il tifo per Pierre Kalulu il taciturno, duttile e
sempre presente
Semplicemente una grandissima carrellata. E il ricordo di Mandressi , Galluzzo ,Sartori che meritava una carriera piu luminosa , Carotti un giocatore che solo gli infortuni gli ha precluso una carriera luminosa. Il bomber Gaudino . Il ricordo di Egidio Calloni è sempre vivo giocatore dai gol impossibili e da errori madornale. Ma era sempre lì pronto in area. La mia fortuna di essere in contatto ancora con qualcuno di loro.Caro Luca ,bellissimo articolo.