Il 24 maggio del 1989, un mercoledì sera come succedeva un tempo, il Milan scende in campo di fronte a quasi centomila spettatori.
Non gioca una partita qualunque ma la finale della Coppa dei Campioni.
Una partita che entrerà nella storia del club meneghino per tanti motivi di carattere calcistico.
Quella squadra, allenata da Arrigo Sacchi, sarà talmente importante per il calcio italiano che, nel 2015, verrà incoronata dall’Uefa in questo modo:
Uefa: “Il Milan di Sacchi è la più grande squadra di sempre” . Il massimo organismo del calcio europeo celebra la squadra di Arrigo Sacchi, vincitrice di due Coppe dei Campioni tra il 1989 e il 1990.
La forza di quel Milan, in realtà, nasce un paio di anni prima. Si appoggia, letteralmente, su delle basi solide. In primo luogo quelle del famoso vivaio rossonero, giocatori come Franco Baresi (nel suo ruolo, per chi scrive, il più forte di tutti i tempi), Paolo Maldini, Filippo Galli, Evani, Icardi ma anche una campagna acquisti che nella stagione 1984/1985 porta a Milano Terraneo, Di Bartolomei, il bomber Virdis e il duo inglese Hateley e Wilkins.
Su quelle basi consolidate, nel 1986, arriva Berlusconi e con lui il grande Milan. Ri/organizza il mondo del calcio e da al Milan una struttura talmente vincente che grazie alla sua organizzazione e al genio tecnico-tattico di Arrigo Sacchi fa dell’undici rossonero la squadra più forte di tutti i tempi. Non c’è quasi nulla da aggiungere.
Se non che quella finale della sera del 24 maggio 1989 è nella storia per tanti altri motivi. E non solo calcistici. Ma che entrano di diritto nel campo della sociologia.
Io l’ho vista da tifoso rossonero, avevo vent’anni, e la ricordo ancora adesso come uno dei momenti più gioiosi della mia vita. Facile direte voi. Avevi vent’anni, eri a Barcellona e “godevi” per la prima volta per una vittoria internazionale. Molti dicono che quella finale arrivò dopo un periodo buio. Non è vero! Da tifoso avevo vissuto il gol di Hateley nel derby (non è paragonabile ma credetemi una vera gioia che ti porti dietro per tanto, tanto tempo). Ma anche altre vittorie che il popolo rossonero aspettavano da tempo come il 3 a 2 alla Juve nel febbraio 1985.
Insomma le avvisaglie positive c’erano tutte.
Per di più quella finale ci salvò anche dall’onta dello scudetto degli odiati cugini, che quel maggio, con il “nostro” Trapattoni in panchina, festeggiarono il loro 13° titolo.
Ma la vera particolarità di quella partita, dal punto di vista sociologico, è che fu un vero e proprio esodo di tifosi rossoneri. Alcuni dicono che il tutto fu facilitato dalla dittatura di Ceausescu che proibì a molti tifosi della Steaua (squadra tifata proprio dal figlio del dittatore) di espatriare. Io sono convinto che l’esodo ci sarebbe stato anche contro una squadra inglese, tedesca o extra terrestre. Anzi, in quel caso, saremmo stati di più.
Fatto sta che il Camp Nou era stracolmo,oltre 98 mila spettatori, e tutti i biglietti andati esauriti e comprati solo dai tifosi rossoneri.
Non solo lo stadio era stracolmo, ma anche la città, la fantastica Barcellona era piena di tifosi senza biglietto, arrivati da tutta Italia per spingere il Milan.
Non è mai stato fatto un calcolo preciso ma quasi 200 mila persone sono arrivate in Catalogna quella primavera e fra quella moltitudine c’ero anche io con i miei amici di sempre (ovviamente di fede rossonera).
La nostra voglia di essere presenti nasce nella trasferta a Brema, contro il Werder. Ai quarti di finale. Andiamo con la Fossa e dopo aver strappato uno 0 a 0 in terra tedesca a Milano passiamo il turno e vinciamo 1 a 0. Vista oggi sembra tutto scontato ma vi garantisco che quel Werder era una squadra veramente tosta, difficile segnare. Passare quel turno ha dato consapevolezza e forza ai nostri ragazzi. E a noi la voglia di esserci.
A Brema ci eravamo promessi: “se passiamo il turno andiamo in finale e quest’anno ci facciamo la vacanza al mare”. Siamo stati anche spavaldi visto che in semi finale dovevamo affrontare il Real Madrid. Invece ce ne andiamo a Barcellona a ricevere il giusto tributo dai tifosi catalani. Nella gara di ritorno a San Siro,contro il Real, vinciamo 5 a 0. Ho ancora negli occhi il gol di Ancelotti. Pensa, in caso contrario, a una finale a Barcellona fra Real e Steaua. Che brivido!
Vabbè. Oramai è fatta e andiamo a Barcellona. Prima dobbiamo passare dalla riunione della Fossa ma visto che avevamo fatto la trasferta di Brema avevamo un “bonus” da usare. Abbiamo il biglietto.
Questa è la cosa bella del calcio, delle trasferte, della gioia di condividere una fede. Il gruppo che si compone è quello dei veri amici quelli che conosci sui banchi di scuola e che diventano fratelli. In questo caso di sangue rossonero.
GIANANDREA, IL PRIMO A SX, CON GLI AMICI DEL GRUPPO “DEMONI”
Sono gli amici di sempre quelli del Liceo Scientifico Donatelli di Milano (zona città studi). Quelli che non si sono mai tirati indietro e che ci sono sempre, anche nei momenti bui, e che certo non possono mancare l’impegno con la storia e la gioia.
Alcuni di loro saranno inghiottiti dalla vita e dal lavoro. Ma come il nostro Milan seguiranno sempre strade vincenti.
La partenza per Barcellona è rocambolesca. La sera prima, il martedì, a Milano suonano i Simple Minds. Uno dei gruppi che ascoltavamo di più. Nel 1987 eravamo già stati a Modena a vedere gli U2 e volevamo chiudere il cerchio con il concerto dei Simple Minds. La scelta è obbligata: concerto e si parte in auto, Faremo la nostra carovana senza andare con la curva.
Detto fatto. Arriviamo a Barcellona in tarda mattinata, andiamo al campeggio e dopo aver montato la tenda (non ci dormiremo dentro mai) partiamo per la capitale catalana: destinazione Camp Nou!
La città ci accoglie con gioia e ogni rossonero è benvoluto. Tutti ci ricordano la manita rifilata agli odiosi nemici del Real e alcuni ci aprono le porte di casa per offrirci da bere. Una vera gioia, una bellezza per i nostri occhi. Parcheggiamo la Fiat Uno distante dallo stadio e in prossimità del Camp Nou è un muro di gente. Un muro rossonero.
ANDREA, IL CUGINO, CON IL GRUPPO “DEMONI”, INDOSSA IL CAPPELLINO IN STILE OLANDESE, IN OMAGGIO AL TRIO DEI TULIPANI ROSSONERI.
Persone che erano lì già dal week end precedente, persone che avevano deciso di trascorrere le ferie a Barcellona. Un signore, con le lacrime agli occhi mi parla di Prati e Rivera. Mi dice che lui, nel 1969, era a Madrid e aveva visto la tripletta di “Pierino la peste”. Ovunque ti giri c’è un milanista. C’è un padre con la figlia sotto braccio, un’intera famiglia ma tanti tantissimi giovani.
La cosa si fa più seria verso le cinque del pomeriggio quando i poliziotti a cavallo cominciano a pressare, a spingere i tifosi. Siamo talmente tanti che ci spalleggiamo a vicenda. Il padre tiene ancora più forte sotto braccio la figlia e le famiglie fanno scudo.
ANDREA ALL’ESTERNO DEL CAMP NOU VICINO ALLA POLIZIA A CAVALLO.
Non mi ricordo l’entrata allo stadio. Mi ricordo il bandierone gigante con il cuore rossonero su sfondo bianco. Mi ricordo la tensione e il palo di Gullit. Maledico il fato. Ma poi ci pensa Van Basten a dare l’assist giusto a Gullit. Mi rilasso solo quando Ruud stoppa di petto e mette dentro con potenza e maestria il 3 a 0. Li capisco che siamo campioni. Mi giro verso una ragazza che mi racconta la storia di un cuscinetto rossonero. Era un cuscino che si portava allo stadio per sedersi in modo comodo sui gradoni di cemento dei popolari. Mi dice che quel cuscino era di suo nonno che non c’è più. La passione per il Milan gliela aveva trasmessa proprio lui. Non è milanese, è una ragazza veneta. Quel cuscino il nonno lo aveva a Verona, nella “fatal Verona”. Doveva lavare quell’onta e ci doveva pensare lei la giovane rossonera veneta. In pochi secondi fra un abbraccio per il terzo gol di Gullit e la gioia di questa nuova conoscenza capisco la forza di questo gioco: il calcio.
Dal triplice fischio in poi non ricordo più niente. Presi da questa nuova euforia stiamo per un po sulle rambla di Barcellona, molti gridano di andare all’albergo dove ci sono i giocatori. Noi no. Decidiamo di vivere fra di noi quel fantastico momento e alle luci dell’alba siamo al campeggio sul mare. Ci addormentiamo li con le nostre sciarpe rossonere al collo, il fuoco spento e le birre finite.
AL CAMPEGGIO LA MATTINA SEGUENTE LA FINALE
L’esodo rossonero prosegue per tutta la settimana. Incontro gente che mi dice: “ma chi torna a casa. Io resto qui!”.
Nel secondo tempo, caso della vita, nella partita più importante del Milan di Sacchi entrano in campo due grandi amici, al 59° Pietro Paolo Virdis e al 75° Filippo Galli.
Filippo Galli sarà l’artefice di un’altra magica finale. Ad Atene, nel 1994. Ma quella è un’altra storia.
BIO: Gianandrea Bungaro
- Nato a Milano il 17 gennaio 1964. Due giorni dopo, caso del destino, si recupera a San Siro la 9° giornata di campionato. Non è una partita come le altre, è il derby! Si gioca in casa dell’Inter e vinciamo 2 a 0. Quindi può dire di essere nato sotto una bella stella: quella rossonera.
- Si considera un giornalista sportivo (sa scrivere solo di quello).
- Ha una Laurea Magistrale in Scienze Motorie e ha scritto “Milan, gli eroi della Bombonera” (Milieu Edizioni) e ha collaborato, scrivendo del maestro Pepe Schiaffino, al libro “Fantasia Milanista. Eroi, leggende e numeri 10 rossoneri”. (Edizioni della Sera)
- A volte, per lavoro, segue il Milan dalla tribuna ma il cuore vorrebbe sempre portarlo in Curva Sud.
10 risposte
Bellissimo articolo, taglio personale, commovente!
Mi viene da piangere per l’emozione… Invidia profonda!
Complimenti a Gianandrea per questo racconto carico di emozioni, specie per chi segue il Milan da anni . Chi ha potuto vivere quella splendida serata sa che non potrà mai dimenticarla. Anche chi come me l’ha vissuta davanti a uno schermo in una casa nella periferia milanese. Gianandrea però ci regala qualcosa di più. Descrive in modo efficace la meraviglia di tutta quella umanità che è sempre la vera protagonista di un’ impresa sportiva. La gente, i tifosi le loro storie che si intrecciano con i ricordi. E tutti quei campioni che restano nei cuori con le immagini dei loro momenti più belli.
Questo è il calcio signori ed è bello leggerlo dalla ” curva” come succede in questo bellissimo articolo.
… Anch’io c’ero… Avevo 16 anni e ancora mi chiedo come fece mio padre a darmi il consenso ad effettuare la trasferta con un altro mio amico coetaneo col treno speciale delle BRN da Porta Garibaldi…splendido articolo.
… Il fatto è che ci restano ricordi sbiaditi dal tempo e qualche fotografia ingiallita e fa sensazione paragonando tutto ciò all’epoca social moderna… Non fu trasmesso neanche uno speciale in Tv sui tifosi come avvenne per esempio con la trasmissione LUCIGNOLO in occasione di Manchester 2003…insomma dobbiamo immaginare e ricordare scavando nella memoria…
Non si può spiegare a chi non c’era che cosa è stato ❤️🖤
Grande Giana un bel racconto di un evento assolutamente irripetibile che a chi c’era ha lasciato ricordi , sensazioni ,emozioni gioia indimenticabili.
Mi sono commosso.
Che emozione, c’ero anch’io quel giorno, e il mattino dopo partimmo per Madrid per il matrimonio di un amico, che settimana…
Presente in questo evento meraviglioso. Che grande gioia e grande emozione!
Scrivo con le lacrime agli occhi, commossa da questo articolo che mi fa immaginare una finale a cui ero troppo giovane per partecipare ma di cui conservo il ricordo emozionato di mio padre che ci andò con mio nonno. So quanto i tifosi milanisti abbiano atteso di ritornare sul tetto d’Europa e la gioia di essere stati tra i migliaia di tifosi che hanno invaso Barcellona con la fratellanza di un ‘fiume rossonero’, testuali parole di mio padre che tornò elettrizzato da quel viaggio come da un sogno divenuto realtà. Com’è bello l’Ac Milan, com’è bello essere noi ❤️🖤
Grazie Serena per la testimonianza di papà e nonno. Momenti davvero unici. Sempre Forza Milan