CI SONO DUE GALLIANI, IL DIRIGENTE E L’UOMO: HANNO IN COMUNE PASSIONE, ENTUSIASMO, ENERGIA.

Parlano tutti delle sue capacità imprenditoriali prima e manageriali poi.

Parlano tutti delle sue doti “politiche” in un sistema calcio che fa acqua da ogni lato, o nel costruire squadre competitive dal Milan al Monza. Con grandi disponibilità economiche, certo, grazie a Berlusconi, ma la storia insegna che le grandi squadre e i grandi giocatori bisogna saperle fare e scoprire: i soldi sono fondamentali, ma non bastano senza conoscenza, destrezza, intuito. 

I suoi detrattori gli rinfacciano la squadra ritirata dal campo a Marsiglia nel 1991 (“Un giorno racconterò la verità”, si è lasciato scappare qualche volta, ma non la racconterà mai…), in realtà l’ordine superiore fu solo condiviso.

Non molti altri argomenti per criticare un uomo di successo nell’imprenditoria, nella televisione, nello sport: con il Milan, per dire, 29 trofei in 31 anni. Col Monza, per dire, dal 2018 una scalata dalla serie C a una sempre più tranquilla e sorprendente classifica in serie A per la seconda stagione consecutiva.

Quello di cui mi piace parlare qui è però lo spirito di Adriano Galliani. Può apparire burbero e talvolta lo è, come brilla per risolutezza, decisionismo, lungimiranza. Di sicuro non gli mancano passione, entusiasmo, energia dal primo giorno in cui è assurto alla fama nazionale e internazionale, ad oggi quando si accinge a compiere 80 anni il prossimo 30 luglio.

Non gli difetta – tutt’altro – la memoria: ricorda eventi, date, partite, risultati, marcatori, aneddoti, statistiche perché un altro dei suoi valori sono stati i numeri. 

Onestà e lealtà sono parte del suo bagaglio, inderogabili. Nella primavera del 1991 avevo 30 anni: il caro amico Guido Susini, capo ufficio stampa del Milan, annunciò che a fine stagione avrebbe lasciato. Il direttore generale Paolo Taveggia pensò a me per sostituirlo: ero a “Forza Milan!”, gruppo “TV Sorrisi&Canzoni”, e avevo avuto la proposta per andare nella nascitura “Tele+2”, oggi Sky, come responsabile della redazione calcio. Taveggia mi convocò a Milanello. Diluviava, parlammo con Galliani in piedi sotto al pergolato: “Venga pure, Paolo ci tiene”, mi disse, “ma sappia che al Milan ci sono solo posti in piedi”. Non esitai: “Se non la prendete come se mi proponeste la figlia, ma io scegliessi la madre, andrei a Tele+2”. Galliani annuì: “Scelta intelligente”. 

L’ho rivisto dopo molto tempo qualche giorno fa, a Felegara nella campagna parmense perché Carlo Ancelotti ha trasformato la sua antica dimora (dove sono nati e cresciuti i figli Katia e Davide) in un elegantissimo B&B, celebrando l’evento con un galà riuscitissimo e molto intimo.

Gli ultimi anni dell’epopea Berlusconi avevano generato qualche screzio tra me e Galliani: non sopportavo di vedere crollare l’impero calcistico creato in tanti lustri, non accettavo il disinteresse del presidente nel cercare soluzioni tecniche slegate dall’aspetto finanziario, mi amareggiava la deriva che avevano preso società e squadra. Avvertivo un senso di abbandono. Non perdevo occasione per sottolinearlo e a metà 2014, alla vigilia di un’altra campagna acquisti che avevo subdorato poco attinente alla politica del Milan, lasciai il canale tematico. A Felegara il nostro incontro è stato cordiale, direi gioviale. Il rispetto reciproco è sempre stato fuori discussione e io nel tempo ho capito quali fossero i suoi disagi nella convivenza con un altro amministratore delegato, Barbara Berlusconi, nell’ultimo periodo della vecchia proprietà del club. Non era solo una questione caratteriale, con diversità di vedute profonde esasperate dal caso Tevez che fu emblematico: Galliani aveva praticamente chiuso l’acquisto di Carlitos dal Manchester City, con l’idea che l’attaccante argentino prendesse il posto di Pato inesploso dopo il promettente inizio di carriera in rossonero. Nel frattempo però il brasiliano si era fidanzato con Barbara, la quale pose il veto all’operazione e la frattura divenne insanabile.

Via dal Milan, la sua fame e sete di calcio non si sono placate, rinnovandosi anzi con nuova linfa al Monza dove prosegue la sua avventura calcistica, avendo scoperto in Palladino un allenatore intelligente e capace, dopo le chance offerte a Brocchi e Stroppa. Il dirigente è freddo, lucido, visionario, ma l’uomo spesso prende il sopravvento con i suoi slanci di petto e di pancia: come quando prese Ancelotti vincendo le perplessità di Berlusconi, causate dai problemi fisici di cui soffriva l’allora centrocampista della Roma, o come quando prese Nesta, Rui Costa, Ronaldinho e quell’Ibrahimovic che fu costretto a cedere – con Thiago Silva – al Parsi St. Germain all’inizio della fine…Come ai tempi di Angelo Moratti e Italo Allodi, come ai tempi di Gianni Agnelli e Giampiero Boniperti, la tradizione delle società condotte da due soli uomini, generale e colonnello, è proseguita trionfalmente con Silvio Berlusconi e Adriano Galliani il quale non perde occasione per ricordare i meriti del sodalizio ascritti al presidente, ma le sue virtù hanno sovente avuto l’autonomia e la capacità di convincimento che hanno garantito una continuità straordinariamente vincente.

Non solo nel calcio, non solo nel Milan.

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

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