TORINO – MILAN 3-1: I GRANATA VINCONO CON MERITO

Di recente, un noto e talentuosissimo allenatore, dopo una sconfitta decisamente immeritata (almeno ai miei occhi), perché seguita dal controllo totale della partita e dal ripiegamento in difesa degli illustri avversari, con grande classe, ha citato Johan Cruijff, dicendo di non voler sentir parlare di sfortuna ché la fortuna, o il suo contrario, nel calcio, non esiste.

Be’, la fortuna esiste in tutte le cose del mondo, a volte è addirittura preponderante su ogni altro elemento: ne facciamo esperienza di continuo o così ci sembra. Non si vede dunque perché non dovrebbe esistere nel pallone. Eppure il senso profondo delle parole di Cruijff gli fanno ancora una volta avere ragione (sappiamo che non ce l’ebbe solo nel 1994, prima della straordinaria – per noi – finale di Atene, che proprio ieri “festeggiava” i suoi gloriosi trent’anni!).

Non possiamo provare, senza tema di smentita, che la fortuna non esista, ma addebitare alla buona sorte altrui le proprie sconfitte – rari i casi in cui la si attribuisca alla propria squadra, quando vince – è segno di una mentalità da perdenti. Vale lo stesso con la lamentela, quando è eccessiva e non circostanziata. I rammarichi sul fato cinico e baro, come pure i piagnistei, non conducono mai a un’evoluzione, piuttosto si ripiegano su loro stessi, alimentando un atteggiamento pedagogicamente fallimentare. Per questo la (s)fortuna non esiste, anche se probabilmente esiste. L’imponderabile è una consolazione che non giova a nessuno perché, in definitiva, non aiuta ad analizzare la performance e a progredire, ovvero non serve a fare ciò che è davvero rilevante, molto più di una sparuta vittoria.

Se ci sembra di aver perso per sfortuna, bisogna far presto a dimenticarsene: è un alibi o, come direbbe qualcuno più esperto, un bias di attribuzione. Occorre analizzare ciò che si sarebbe potuto fare meglio, solo questo. Contro la Roma, in Europa League, al Milan non è stato dato un rigore per un fallo di mano in area: non è neppure intervenuto il VAR. Qualcuno obiettò che in Europa quei falli non si fischiano. Ma quando mai, alla stessa Roma, contro il Bayer Leverkusen, ne è stato assegnato uno simile! È stata una decisione arbitrale – giusta? Sbagliata? – e la accettiamo perché si deve accettare. Giroud ha colpito una traversa: una bella sfortuna. No, avrebbe potuto tirare in modo diverso, agganciarla meglio. Ma non era il suo piede, che sfortuna. No, i centravanti purosangue hanno, come tutti, un piede dominante, ma non possono essere privi dell’arto opposto. E via dicendo, senza mai – mai – colpevolizzare l’errore del singolo o di un reparto, ma senza neppure attribuirlo al moto retrogrado dei pianeti o a qualche stravagante quadratura astrale sulla quale ci risulta impossibile agire.

Il Milan è stato eliminato ai quarti perché complessivamente ha giocato peggio, ha sfruttato peggio le occasioni che ha avuto, non ha saputo leggere la partita nel modo corretto; non è stato abbastanza audace, insomma, e, come dicevano i latini, audentes fortuna iuvat. Questo è quanto, purtroppo o per… fortuna. Appunto.

E non si può parlare di sfortuna neppure contro il roccioso Torino di Jurić, nonostante la traversa (sfortunata? No, non diciamolo!) di Christian Pulisic, all’inizio del secondo tempo, un’ottima azione congiunta Florenzi-Leao, culminata con un tiro non perfetto (ma segnare sarebbe stato complicatissimo) del portoghese e la traiettoria, di poco sopra l’incrocio dei pali, di Okafor, quando ancora le squadre si trovavano sullo zero a zero. Sarebbe andata diversamente, se lo svizzero avesse segnato, poco prima della mezzora di gioco? Difficile a dirsi e, in definitiva, congettura un po’ inutile, visto che, come sappiamo, è andata in modo diverso. It is what it is.

Il Milan, secondo in classifica ormai in modo matematico, e dunque in campo senza particolari motivazioni né troppa grinta, si è presentato rimaneggiato specialmente nel reparto offensivo, con Okafor, piuttosto opaco, purtroppo, al posto di Rafa (che entrerà intorno al sessantesimo minuto, conferendo, se non altro, un po’ di brio al gioco) e Luka Jovic a fare da punta centrale, nonostante non sia – e ieri abbiamo avuto un’ulteriore conferma – il suo ruolo d’elezione. È mancato, poiché non presente neppure in panchina, anche Theo Hernandez. Per un’indisposizione, si è detto. La speranza è che non si tratti piuttosto di un addio già scritto e non ancora ufficializzato.

Privarsi, dopo Tonali (a prescindere dalle questioni extracalcistiche che conosciamo) di un altro talento che già conosce l’ambiente e ha solo bisogno di nuovi stimoli, potrebbe non essere la decisione più saggia. Staremo a vedere. D’altra parte anche per quanto riguarda il successore di Stefano Pioli, ammesso che quelli siano i piani societari – Daniele Massaro, di recente, ha invitato a non speculare – l’eterogeneità dei profili che filtrano dai giornali, molti dei quali verosimilmente neppure mai sondati, fanno intuire che ancora non esiste un progetto unanime e coeso di “rifondazione”, ma solo alcune idee di massima.

Pioli si è presentato con un 1-4-3-3 – preferito al 1-4-2-3-1, suo modulo d’elezione – e ha provato a sfruttare a vantaggio della propria squadra le caratteristiche del calcio conservatore di Ivan Jurić, fatto di marcature strettissime (e piuttosto fallose, ma il più delle volte l’arbitro ha scelto di lasciar correre), uomo su uomo, e di rinvii lunghi – talvolta lunghissimi – del portiere, Milinković-Savić. Insomma, tutto il contrario dei principi della costruzione dal basso.

L’idea, interessante, in teoria, era quella di creare dei movimenti quasi centrifughi nella nostra metà campo, alternando le posizioni e incanalando i due terzini, Terracciano e Kalulu, verso il centrocampo, in modo da generare, proprio in virtù delle marcature applicate dal Torino, degli spazi sulle ali, grazie a una sorta di effetto risucchio.

Sarebbe stata, allo stesso tempo, garantita a Reijnders la possibilità di sganciarsi dalla mediana e di sfruttare la sua abilità verticale (a proposito, quanto corre, l’olandese! Insieme a Pulisic, sembra instancabile). Purtroppo la teoria ha dovuto fare i conti con la scarsa dimestichezza degli interpreti rispetto a movimenti che avrebbero funzionato, soltanto se ben collaudati. Non è colpa di nessuno – Kalulu e Terracciano sono un duo inedito, non abbastanza rodato, neppure in allenamento – e in questa fase del campionato la prova si poteva fare senza eccessivi patemi e senza gridare allo scempio tattico. L’affollamento nella zona centrale del campo, spesso più simile a un autoscontro che a uno schema funzionale, ha condotto a un esito che sfiora il paradosso, se si pensa alla volontà (ripeto: in teoria era valida e intelligente) dell’allenatore del Milan: i primi due gol della squadra di Jurić sono arrivati proprio attraverso cross partiti da entrambe le fasce, il primo da parte dell’ex, Rodríguez , il secondo, di Raoul Bellenova, cresciuto nelle giovanili rossonere.

Per onestà, non si può non sottolineare l’ennesimo errore di copertura dei centrali, Tomori e Thiaw, immobili e quasi spaesati in ambedue le occasioni. Tutti sbagliano, ci mancherebbe, e ci sono errori che possono essere ricorsivi, per certi versi. Si pensi a  Manuel Akanji e all’erroraccio, contro il Tottenham, che poteva costare definitivamente i sogni di Premier al Manchester City. Aveva commesso uno sbaglio simile in finale di Champions League: non proprio in una situazione irrilevante, insomma.

Allora salvò Ederson Moraes, questa volta, su incursione di Son (in genere una sentenza, contro la squadra di Guardiola!), è toccato al subentrato Ortega, portiere tedesco, di origini spagnole, scovato in terza categoria e acquistato a parametro zero dall’Arminia Bielefeld; segno che per avere una squadra concorrenziale, prima di ogni altra valutazione e prima dei bilanci, serve capirne di calcio.

Il terzo gol dei padroni di casa è stato un tiro imprendibile da fuori area di Rodríguez , solo e libero di agire. Ci mette una pezza, ma proprio piccolina, Bennacer, incaricato di tirare il rigore per il netto fallo su Pulisic. L’algerino ha eseguito con la giusta dose di freddezza – quella serve, non la fortuna, di nuovo, per tirare bene i rigori – e il match è terminato con un deludente, ma complessivamente, almeno per noi, insignificante, 3 a 1 a favore del Torino che ha meritato i tre punti.

P.s.: spero che la curva sud, per la partita a San Siro contro la Salernitana, decida di sospendere lo sciopero silenzioso che ha caratterizzato le ultime tre gare, compresa quella fuori casa di ieri sera. Credo che i partenti – tutti, proprio tutti, ribadisco, tutti, if you know what I mean – si meritino un lungo applauso e un virtuale abbraccio da parte dei tifosi.

TORINO (1-3-4-1-2): Milinković-Savić; Tameze, Buongiorno (dall’80’, Lovato), Masina; Bellanova (dal 74’, Lazaro), Linetty, Ilić, Rodríguez (dal 61’, Vojvoda); Ricci; Pellegri (dal 74’, Sanabria), Zapata.

A disp.: Gemello, Popa; Dellavalle, Djidji, Lovato, Savva, Sazonov; Ciammaglichella, Lazaro, Silva Pertinhes, Vojvoda; Kabić, Okereke, Sanabria. All.: Jurić.

MILAN (1-4-3-3): Sportiello; Kalulu (dal 70’, Pobega), Thiaw, Tomori, Terracciano (dal 65’, Florenzi); Reijnders, Bennacer, Musah (dal 77’, Giroud); Pulisic, Jović, Okafor (dal 61’, Leão).

A disp.: Maignan, Mirante; Bartesaghi, Calabria, Caldara, Florenzi; Adli, Pobega, Zeroli; Giroud, Leão. All.: Pioli.

Arbitro: Feliciani di Teramo

BIO ILARIA MAINARDI: Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita. 

Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema. 

Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.

Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!

Sono titolare della pagina IG @ilarie.ed.evntuali

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