COMO 1907: LA SERIE A E LA STORIA RECENTE

Qui Como, cronache marziane.

In riva al Lario è successo (o meglio, sta succedendo) qualcosa di molto particolare.

Senza dubbio imparagonabile a tutto quello che è accaduto prima (calcisticamente parlando) in questo piccolo centro della Lombardia, diventato all’improvviso famoso in tutto il mondo per la sua bellezza.

Una promozione in Serie A mai vista prima. Premessa: Il Como, che in precedenza era stato  promosso nella massima serie cinque volte nella sua storia, ha collezionato in serie A 13 partecipazioni in totale:  poche,  ma con una serie di talenti,  lanciati da un settore giovanile che fece storia (Vierchowod, Borgonovo, Matteoli, Zambrotta, Invernizzi, Fusi, Fortunato, Parolo e altri), che ne hanno fatto  comunque una realtà provinciale riconosciuta nel calcio nazionale.

Negli ultimi anni, però, era finito ai margini. Con scarse possibilità di resurrezione. Quando passi tre fallimenti (tecnicamente: due, più una mancata iscrizione), vedi sparire un settore giovanile, hai uno stadio che diventa una carcassa e hai  una serie di debiti accumulati da varie proprietà, che tu possa risorgere, baciato da una proprietà-principe azzurro, è sempre tremendamente difficile.

Anzi, è più facile che collezioni storie di ordinaria follia. Come quella volta in cui si presentò un presunto nobile, tale Raffaele Ciuccariello, accompagnato da cinque  guardie del corpo con auricolare (che invece scoprimmo essere i suoi figli), per una conferenza stampa in cui disse di voler acquistare la società, prima di sparire poco dopo. Cose così.

Occhio all’ultima, però, di queste storie strampalate: nel 2017 all’asta fallimentare si presentò la moglie del calciatore Michael Essien, che rilevò  il Como promettendo mari e monti. Il nome era una garanzia: ma sparì tre mesi dopo, provocando la terza caduta in serie D della storia recente del club.

Eppure… Eppure i motivi che avevano avvicinato la famiglia Essien a Como, erano gli stessi che due anni dopo avrebbero portato la famiglia indonesiana Hartono qui: i due fratelli con 35 miliardi di patrimonio, nella top 30 degli uomini più ricchi del mondo, che hanno acquistato la società per scrivere in riva al lago una storia glamour nello stadio dalla posizione più affascinante del mondo (parole loro, non nostre).

In pratica, laddove anni di angherie avevano convinto i comaschi che quel rudere in centro città (il glorioso Sinigaglia) era solo un problema (per la gestione del calcio in centro città) che altro, senza futuro, loro ci hanno visto il copione di una storia di cui si sarebbero innamorati in tutto il mondo.

Quando i fratelli Hartono hanno preso il Como (non si sono mai visti qui, gestisce tutto il  manager indonesiano Suwarso), era troppo facile essere scettici. La storia aveva tutto per essere una di quelle che naufragano in fretta: proprietà straniera che non conosce le dinamiche calcistiche, la burocrazia, la jungla pallonara, che vuole fare show in un tessuto umano (i tifosi italiani) a cui dello show interessa poco, perché al tifoso italiano interessa solo vincere.

Invece la famiglia Hartono (titolari della Djarum, sotto la quale ci sono 81 società dalle attività più disparate, dalle banche all’intrattenimento, dalle comunicazioni alle assicurazioni ecc.) si è dimostrata, prima ancora che di danaro, ricca di idee. Affidabile, seria e concentrata sull’obiettivo. Senza spacconate, senza esagerazioni, con passi mirati. Dal 2018 al 2024 ha portato il Como dalla D alla A, ha affidato le chiavi  a un personaggio come Cesc Fabregas (non è solo l’allenatore, ma il direttore a 360° del progetto tecnico e calcistico) che ha anche richiamato l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo. Fabregas ha acquistato qualche quota della società, ha convinto l’amico Therry Henry a fare altrettanto (qui c’era già l’ex bandiera del Chelsea Dennis Wise, Ceo) , ha tirato gli ultimi calci al pallone in maglia azzurra prima di assumere il comando delle operazioni.

Ha somministrato palate di mentalità ambiziosa, professionale, concentrata con l’ossessione di alzare l’asticella. Dopo quattro stagioni e mezzo di piccoli passi, la svolta lo scorso autunno: via Moreno Longo, che stava facendo comunque bene, la società ha promosso Fabregas in panchina, con il cambio dichiarato di obiettivo, e cioè i playoff non bastavano più, l’obiettivo era la A. Subito. Detto e fatto. Ma non basta.

La società ha avviato un processo commerciale per creare e diffondere un brand legato alla città di Como, laddove i comaschi (in vent’anni di spot da parte di George Clooney, residente sul Lago) non ne erano stati capaci.

Lo stadio, che oggi contiene 7.500 persone (una miseria) è oggetto di un pellegrinaggio continuo di appassionati stranieri. Roba da non credere. Tutti in giro con la maglia del Como, a parlare le lingue più disparate, in quel rudere del Sinigaglia (certo oggi un po’ abbellito, per la A sarà rattoppato) che però oggi (provare a googolare per credere) figura in certi siti come uno dei venti  impianti nel mondo dove vedere una partita, almeno una volta nella vita.

Basta così? No. Perché adesso a Como tutti si chiedono quale potrà essere il futuro di questa squadra. La società non si vuole fermare, la sua idea è di avvicinarsi all’Europa, magari giocarci nel giro di tre anni, e nel frattempo sta per presentare il progetto di un nuovo  stadio tutto autofinanziato, da costruire al posto del vecchio Sinigaglia. E ha usato una definizione che sarà anche un po’ spaccona e roboante, ma fa capire che razza di storia si sono messi in testa questi: “Como dovrà diventare la prima meta del turismo calcistico del mondo”.

Ci fosse Totò, magari gli direbbe: “Ma mi faccia il piacere…”. Eppure visto quello che hanno fatto in cinque anni, in riva al Lario ormai sono in tanti a crederci…

BIO: Nicola Nenci, capo servizio allo sport de La Provincia di Como, segue la squadra azzurra per il giornale da 30 anni.

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