“Quello che non ho fatto da giocatore lo farò da allenatore”.
Una mission, ma anche una promessa per il futuro. Nel corso della sua carriera Raffaele Palladino non ha mai perso l’idea. “Pensa, credi, sogna e osa” diceva Walt Disney, uno slogan motivazionale che attraversa il tempo e restituisce speranza, contemplando un aspetto importante nello sport e nella vita: la perseveranza, ossia la capacità di sfidare gli eventi senza mai arrendersi, di resistere e combattere, sempre e comunque, fino alla fine.
Qualità e valori che hanno alimentato e alimentano Raffaele Palladino, un ragazzo promettente del 1984 cresciuto a pane e pallone nella periferia di Napoli, tra i campetti d’asfalto e la polvere, giocando per strada ogni giorno dopo scuola. Un ragazzo umile che, insieme a tanti suoi coetanei, custodiva un sogno nel cassetto, lo stesso del giovane Jimmy Grimble: diventare un calciatore.
Perché, come diceva lo scrittore argentino Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”.
Da una partitella con gli amici del padre all’approdo in una scuola calcio, gli Amici di Mugnano: per Raffaele è l’inizio di una splendida avventura, una lunga cavalcata che parte da Benevento e arriva fino a Torino, sponda Juventus, con tante esperienze in piazze importanti quali Salerno, la Genova del Grifone, Parma, Crotone, Spezia e, infine, Monza. L’ultima squadra da giocatore, la prima da allenatore. “Per ogni fine c’è un nuovo inizio” scriveva Antoine de Saint-Exupéry ne “Il Piccolo Principe”. Un passo che sembra abbracciare l’essenza di Palladino, attaccante di talento e dalla tecnica istoriata, il cui destino è ancorato al mondo del calcio come un fil rouge che lega un figlio alla propria madre.
Appesi gli scarpini al chiodo, in Brianza Palladino entra in contatto con le giovanili biancorosse, prima come tecnico dell’Under-15 e poi come guida della Primavera. A settembre 2022 l’intuizione di Galliani e Berlusconi si tramuta in un’immensa occasione: Palladino sbarca in A, da esordiente, sulla panchina della prima squadra del Monza, contro il club che da giovanissimo aveva creduto in lui, la Vecchia Signoria. Debutto con vittoria, la prima del Monza e la sua prima da coach in massima Serie.
Il resto è storia. Una piccola grande favola, come quella di Aladdin e della lampada magica, una fiaba che innesca un naturale calembour: Aladino-Palladino, il principe della panchina biancorossa, l’uomo della stanza che interpreta Osvaldo Soriano (“In fin dei conti il calcio è fantasia, un cartone animato per adulti”) inglobando il pragmatismo di Charles Sanders Peirce e abbracciando le filosofie ante litteram di Aristotele (“Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo”) e Sallustio (“Ciascuno è artefice della propria sorte”).
Il calcio è divertimento
Calcio e divertimento vivono nel linguaggio comune del Mister di Mugnano di Napoli, gioco acceso e audace, scacchiere flessibile e adattabile ai diversi contesti, in casa o in trasferta. In un’intervista alla rivista francese So Foot, Palladino ha raccontato: “Il gioco è richiesto da me. Dopo un anno e mezzo credo di potere dire che ce l’abbiamo fatta. L’anno scorso da neopromossi potevamo essere una sorpresa, ora c’è la conferma. Prima di tutto perché la squadra crede in quel che fa, è gratificante per un allenatore sentire la fiducia di un giocatore”.
Questione di qualità e talento, di mentalità e psicologia. In egual misura, come rimarcato anche da Carlos Tevez, ex fuoriclasse argentino e allenatore dell’Independiente. Entrare nella testa degli atleti, motivarli a dare il massimo e spronarli costantemente: è questa la strada per valorizzare i giocatori, armonizzandone le caratteristiche attraverso il gioco.
Da Gasperini e Guardiola, il trainer del Monza ha prelevato i principi di gioco, la ricerca del comando, la manovra articolata, la costruzione dal basso come mezzo-esca per manipolare la struttura avversaria, l’equilibrio nelle due fasi, la reazione rapida al cambio di possesso e le transizioni (la sintesi sommaria del calcio odierno), l’attacco con tanti effettivi, forza fisica e tecnica.
“Con Guardiola c’è questo in comune – ha dichiarato Palladino – poi lui lo fa a livello molto, molto alto e, soprattutto, non credo funzioni copiare tutto. Da una parte devi mettere qualcosa di tuo”.
Personalizzare, sempre. Ad esempio, la fase di possesso del Monza di Palladino è pensata per far progredire l’azione dal basso e facilitare l’uscita della palla dalla zona arretrata, nell’applicazione aggiornata della Salida Lavolpiana, una soluzione studiata da Ricardo La Volpe nel suo periodo di allenatore della Nazionale messicana tra il 2002 e il 2006. Lo schema, assorbito da Guardiola al crepuscolo della sua carriera da giocatore, prevede l’abbassamento di un mediano tra i due centrali difensivi per generare spaziature appropriate, linee di passaggio e superiorità numerica.
Un meccanismo che lavora sugli spazi e i tempi di gioco, coi due difensori centrali pronti ad allargarsi sfruttando l’innalzamento dei due terzini sul segmento intermedio. Di conseguenza un mediano scende a gestire la sfera, attirando la pressione individuale e il pressing avversario sul lato forte per andare poi a colpire il lato debole. Per sciogliere la prevedibilità il portiere, in pieno controllo visivo del campo, funge all’occorrenza da vertice basso nel trio di costruzione (con possibili varianti in 3+1 o 3+2 coinvolgendo uno o due centrocampisti) alternando giocate palla a terra a lanci lunghi per la prima punta. Ne consegue una metamorfosi dal 4-2-3-1, schieramento adottato dal Monza nella seconda parte della stagione attuale, al classico asset palladiniano utilizzato dallo scorso anno, il 3-4-2-1 (o 3-4-3), con i due trequartisti esterni a stringersi internamente e i quinti a garantire l’ampiezza.
A proposito delle sue influenze, Palladino ha confessato: “Pep non è la mia unica ispirazione, ho preso tanto da Gasperini e Juric. Per esempio: la capacità della mia squadra di essere in grado di attaccare l’avversario molto in alto. Il cuore del nostro gioco è basato sull’occupazione dello spazio. Non è facile spiegarlo, né insegnarlo sul campo. Ma quando i giocatori capiscono vedi i frutti, devi metterli nelle migliori condizioni possibili e poi spetta a loro. A volte ti trovi con un difensore in attacco. Cerchiamo di avere equilibrio, sganciare un difensore quando difendi a tre significa attaccare in modo sicuro spazi liberi, ma anche creare superiorità in ripartenza. Questo l’ho preso da Gasp, mio maestro a Genova”.
Studioso, professore, allenatore
Palladino lo studioso, Palladino il professore, Palladino l’allenatore.
Cultura per il lavoro, visione e tanti concetti da impartire al gruppo grazie al supporto del suo staff. Il calcio di Palladino è un estratto della dottrina “guardiolista”, un calcio che abbandona la fissità dei moduli per definire e adottare un modello fluido, virtuoso e dinamico. I ruoli non sono più vincolati a una semplice collocazione dei giocatori all’interno del sistema ma diventano compiti precisi, funzioni legate alle relazioni con la palla, coi compagni e gli avversari. Durante una gara, di volta in volta, i giocatori si trasformano in vertice, appoggio laterale o scarico arretrato, influenzando così gli spostamenti individuali, le scelte e lo sviluppo della manovra.
Un gioco di incastri, mercuriale e scintillante, che incentiva lo spettacolo, ingloba divertimento e rafforza il team. Un tipo di calcio plasmato sulla squadra e in cui i giocatori si identificano, riconoscono il gioco e leggono le situazioni, curano le marcature (attivamente e preventivamente), ruotano con cognizione di causa garantendo il presidio territoriale, recuperano palla e ripartono, difendono e attaccano con intelligenza. Più tipologie di calcio in un unico calcio, sostenibile e organizzato, intenso ed efficace.
Calcio con la C maiuscola, al passo coi tempi e rinnovato, di tattica e strategia in un incrocio perfetto di traiettorie, tecnica e qualità applicate alla progettualità, identità e mentalità a far rinascere il movimento provinciale, un calcio che abbatte il budget con le idee, che non guarda la stoffa ma il suo contenuto, che fa esplodere le abilità dei singoli e sposa il miglioramento generale.
Perché, come diceva Cruijff: “Il senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente dalla storia, dal prestigio e dal budget“.
Un calcio romantico che Palladino ha riacceso in Brianza, affermandosi in panchina e portando la squadra a un livello straordinario, di crescita costante e competitività, con l’asticella sempre rivolta verso l’alto. L’allenatore biancorosso ha contribuito non solo all’exploit del collettivo, ma anche e soprattutto degli individui, risaltandone le caratteristiche e il rendimento (da Andrea Carboni a Birindelli, da Bondo a Daniel Maldini, da Colpani a Mota). A fare la differenza è l’attitudine nel mettersi al servizio dei calciatori, trasmettendo loro gli stimoli corretti e il proprio credo.
Palladino, il Monza e il mestiere dell’allenatore
Il mestiere di un allenatore non si misura soltanto sulle percentuali di vittorie o sconfitte, ma sull’abilità nel trasferire un metodo e un modello funzionale agli atleti. Questione di sensibilità, esattamente come teorizzava Johan Cruijff. Un bravo tecnico, infatti, non solo ha il compito di impartire schemi e tattica, ma deve essere un buon insegnante, un istruttore capace di trasmettere i principi di gioco e la consapevolezza ai suoi giocatori di sapere esattamente cosa fare in campo.
Hans Westerhof, ex allenatore olandese di Ajax e PSV-Eindhoven, diceva sempre: “Se vuoi migliorare un giocatore, dovrai lavorare sulla sua auto-convinzione”. Tenere alto il livello motivazionale, sacramento primordiale del football secondo il Profeta del Gol, e incitare i giocatori a dare il meglio, cullando il loro talento e liberando la creatività.
Concetti che Palladino ha ribadito a più riprese, sottolineando l’importanza del roster e della gestione del gruppo. Un principio essenziale che il tecnico campano ha appreso da Didier Deschamps, suo allenatore ai tempi della Juventus, estraendo la saggezza di considerare tutti allo stesso modo e mettendo tutti sullo stesso piano. Un trattamento paritario fra giovani e veterani che consente di valorizzare ogni singolo atleta, istillare una sana competizione, consolidare la sfera relazionale, quella più intima, e massimizzare il rendimento. È da questa pratica che si genera il progresso, non solo in campo ma anche fuori, attraverso consigli mirati sullo stile di vita, le abitudini e l’alimentazione.
Diogene di Sinope, filosofo greco antico, sosteneva che “le fondamenta di ogni stato sono l’istruzione dei suoi giovani”. E aveva ragione. Esattamente come Raffaele Palladino che, giorno dopo giorno, dedica le sue energie ai giovani e li sostiene nel cammino di affermazione nel palcoscenico della Serie A.
Nel suo biennio al timone del club brianteo il mister di Mugnano di Napoli ha centrato due volte l’obiettivo salvezza, regalando molte gioie al pubblico brianzolo e accarezzando quel sogno europeo sfumato nelle ultime gare. Da squadra neopromossa e al primo anno in A, il Monza ha compiuto vere e proprie imprese, battendo le big del calcio italiano: la Juventus in casa e in trasferta, l’Inter a San Siro e il Napoli campione d’Italia all’U-Power Stadium. Nel campionato in corso è arrivata anche la vittoria interna contro il Milan per 4-2, una partita epica e avvincente, la più emozionante e prestigiosa della stagione del club.
Al netto delle prestazioni, spesso brillanti e a volte più organiche, il Monza ha esibito un calcio positivo, dimostrando coraggio nel giocare la palla, seppur con qualche rischio calcolato, e rispettando con fedeltà il leitmotiv del Presidente Silvio Berlusconi, artefice insieme ad Adriano Galliani del miracolo biancorosso. Un adagio che riecheggia quotidianamente nell’ambiente brianzolo e suona la carica. Perché, “chi ci crede combatte, chi ci crede supera tutti gli ostacoli, chi ci crede vince”.
Palladino e il Monza formano un binomio speciale, ingranaggio autentico e irripetibile, benedetto dalla buona stella della Regina Teodolinda e da una città intera. Un’accoppiata di successo che ha originato un calcio fluido e aposizionale, estremamente applicato e coeso, di pressing e riaggressione, movimenti e rotazioni a togliere riferimenti agli avversari, con funzioni e relazioni interconnesse, bilanciato e di sacrificio, col cuore e l’entusiasmo ad animare le performance.
Il mister di Mugnano di Napoli è il centro di gravità permanente del Monza, un allenatore che si è consacrato sulla panchina biancorossa diventando a pieno titolo uno dei migliori della sua generazione. Umiltà, sacrificio e ambizione: Palladino ha plasmato il gruppo in una famiglia, trasferendo le proprie virtù ai calciatori e divenendo un leader tecnico e umano, vero e autorevole. E poi l’alchimia con i tifosi, il rapporto unico con la gente, lo stile nella comunicazione, il rispetto e la disponibilità nei confronti della stampa, etica inappuntabile e dialettica chiara. Con profondo merito, Raffaele Palladino ha confezionato una proposta di gioco valida e futuribile, un master plan che in breve tempo si è evoluto in una corrente: “il palladinismo”.
E quando il proprio cognome viene allungato col suffiso -ismo significa solo una cosa: aver (bruciato le tappe e) lasciato il segno.
BIO: Andrea Rurali
Brianzolo Doc, classe 1988. Laureato in Linguaggi dei Media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da sempre appassionato di cinema, tv, calcio, sport e viaggi.
- Lavoro a Mediaset dal 2008 e attualmente mi occupo del palinsesto editoriale di Cine34.
- Sono autore del programma di approfondimento cinematografico “Vi racconto” con Enrico Vanzina e co-regista dei documentari “Noi siamo Cinema” e “Vanzina: una famiglia per il cinema”.
- Dal 2014 dirigo la rivista web CineAvatar.it (http://cineavatar.it/)
- Nell’autunno 2022 ho fondato la community Pagine Mondiali e nell’estate 2023 la piattaforma sportiva Monza Cuore Biancorosso.
- Da agosto 2023 collaboro con la testata giornalistica Monza-News, scrivendo le analisi delle partite dei biancorossi e partecipando alla trasmissione Binario Sport.
- Dal 2019 collaboro con la casa editrice Bietti, in particolare per la realizzazione di saggi sul cinema inseriti nelle monografie di William Lustig, Manetti Bros, Dario Argento e Mike Flanagan.
- Tra le mie pubblicazioni, il saggio “Il mio nome è western italiano” nel volume Quando cantavano le Colt. Enciclopedia cine-musicale del western all’italiana (F. Biella-M. Privitera, Casa Musicale Eco, 2017).