Sono decisamente convinto che al momento della prima convocazione pre-Euro24 Luciano Spalletti avesse già abbastanza chiara l’idea sui 3 da lasciare a casa prima di partire.
La scelta finale è ricaduta su Provedel, Ricci e Orsolini. Questioni tattiche, di ruolo, di condizione. Gli azzurri vengono chiamati sempre a seconda del valore assoluto e della stagione che hanno disputato, ma la valutazione finale è molto legata anche allo stato di forma fisica e mentale al momento del raduno.
Per quanto riguarda le prime due voci, penso che Spalletti avesse chiaro come la chiamata di Provedel, Ricci e Orsolini avesse più i connotati di un premio che di un investimento vero e proprio sulla squadra.
A portieri, centrocampisti ed esterni siamo più o meno a posto. Vero, non ci sono stelle in questi 3 ruoli: un po’ offuscata quella di Donnarumma, forfaiti di Acerbi e Scalvini, acciaccato Barella: 4 che – a mio avviso – erano e sono garanzie.
Per il resto, si fa con quello che si ha, sperando che come al solito la ferocia, il senso di squadra, la compattezza si scatenino al fischio d’inizio della fase finale (è stata quasi sempre la grande forza degli azzurri sia ai Mondiali che agli Europei) sopperendo ai limiti tecnici acclarati ed evidenti.
Per decenni le polemiche cruente delle vigilie riguardavano i dualismi, i ballottaggi, i grandi esclusi.
Oggi purtroppo questo scenario non esiste più: anzi, non oggi, ma da lustri interi. Vorrei dire dal trionfo del 2006 in poi. In questi 18 anni non abbiamo più avuto un attaccante di valore, spessore e peso internazionale. Affidati a Immobile che nella Lazio era una cosa e in azzurro un’altra, aggrappati ora a Insigne, ora a Berardi, nel 2021 a Chiesa, siamo riusciti comunque a vincere un Europeo.
In che modo? Con quello spirito di squadra di cui sopra e del quale Spalletti è adesso il garante.
Così come quella di Mancini di 3 anni fa, anche questa Italia di Lucianone mi ricorda il Milan dello scudetto di Pioli: qualche campione, qualche talento, ma soprattutto una tale organizzazione di gioco da sopperire a carenze tecniche evidenti rispetto ad altre avversarie.
L’incognita più grande che ci accompagna è legata all’attacco. Basti vedere i nomi di chi è stato inserito in quella lista dal C.T.: i centravanti sono Scamacca (nei confronti del quale i più severi critici sono proprio Gasperini e Spalletti) e Retegui, acerbo profilo del Genoa dove alla fine la stella è stata Gudmunsson…), poi Raspadori che a Napoli ha visto più panchine che campo. Quindi El Shaarawy e Zaccagni, esterni offensivi ma non esattamente punte.
Infine, last but non least, Federico Chiesa: resta per me il più forte giocatore italiano quando è in forma, purtroppo però da Euro 2021 è stato prima assente, poi convalescente, infine irrequieto per un rapporto complicato con Allegri per questione di ruolo e di mansioni. In sostanza, quel Chiesa esplosivo, irrefrenabile e decisivo non lo abbiamo più visto.
Ecco perché il top player in partenza sarà Luciano Spalletti: dovrà dare alla squadra una robustezza e una solidità tali da nascondere la polvere sotto al tappeto. Dovrà trovare l’assetto, il modulo più adatto. Lasciamo perdere le amichevoli con la Turchia a Bologna e la Bosnia ad Empoli, in cui sono state fatte prove e si è giocato con carichi pesanti nelle gambe, più incertezze che punti fermi.
Non disdegno che qualcuno possa esplodere disputando un Europeo di eccellenza: penso a Di Marco, tanto per cominciare. Ma anche a Pellegrini e perché no, a Fagioli che ha tutto per diventare un centrocampista di livello e valore assoluti.
Ci vorranno alchimia, forza di volontà e – come sempre – un pizzico di fortuna. La mia prima squadra del cuore fu la Nazionale. Da boomer bambino mi innamorai del calcio alle elementari, in quegli anni in tv se ne vedeva pochissimo di pallone e quindi mi nutrivo a pane e “Gazzetta”: il mio stadio era l’oratorio, di San Siro i miei genitori non volevano sentir parlare fin quando non ebbi 10 anni e mi ci portò un cugino adulto.
Così il primo grande evento cui potei assistere furono i Mondiali del 1970 in Messico: era inizio estate, gli orari delle partite erano perfetti per stare insieme con la famiglia e seguirle tutte, dalla prima all’ultima, fino alle leggendarie Italia-Germania 4-3 e la finale Italia-Brasile… Ho nel cuore la Nazionale, tiferò e soffrirò come sempre, con molte speranze e grandissima fiducia.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.