EURO ’24 – LE NAZIONALI – BELGIO: “THE LAST DANCE” PER I DIAVOLI ROSSI

Delle ventiquattro Nazionali che prenderanno parte a Germania2024, otto sono tra le prime dieci dell’attuale ranking FIFA. Sono diverse le candidate a vincere la Coppa Henri Delaunay: dai padroni di casa della Germania che si apprestano a salutare Toni Kroos alla Francia di Mbappé; dalla Spagna delle nouvelle vague Yamal-Cubarsì-Pedri al sempre verde Portogallo di CR7, dall’Inghilterra di Bellingham all’Olanda dei “nostri” Koopmeiners, Reijnders, Dumfries e de Vrij. E mettiamoci anche l’Italia, campione uscente e che vuole fare bella figura sulla spinta delle prestazioni delle nostre squadre di club nelle ultime due stagioni (la vittoria dell’ultima Europa League dell’Atalanta su tutte).

Una delle squadre che parte sempre con i favori del pronostico, ma che è dietro nella griglia di partenza della kermesse continentale, è il Belgio.

I Diavoli rossi, numeri 3 del ranking FIFA dietro a Francia e Argentina, sono una delle Nazionali più forti della storia del calcio, tanto da essere stati, tra il 2015 ed il 2016 e dal 2018 al 2022, al primo posto dello stesso, diventando il Paese più piccolo ad avere una Nazionale nella first position e senza vincere mai nulla, se non disputare qualificazioni europee e mondiali senza sbavature ed essere sempre un esempio di lungimiranza e programmazione.

I risultati della Nazionale belga sono stati clamorosi in un crescendo rossiniano che ha portato i Diables rouges dal 73° posto nel 2009 fino al primo posto. Non a caso si è parlato di “generazione d’oro” visto che tra il 2014 ed il 2018 sono venuti alla ribalta giocatori dal talento indiscutibile e che hanno segnato un’epoca.

Giocatori…ingiocabili, che hanno avuto in Eden Hazard il simbolo della rinascita di un movimento che ha avuto da sempre poche soddisfazioni calcistiche. Ma la fortuna del Belgio è stata quella di aver avuto un “parco” giocatori davvero formidabile che ha portato la Nazionale dei diavoli rossi al suo miglior piazzamento ad un Mondiale, ovvero il terzo posto di Russia 2018, una manifestazione dove Hazard e compagni erano dati per favoriti e che invece si sono arresi al gol di Umtiti in semifinale contro la Francia salvo poi rifarsi nella finalina contro l’Inghilterra. E si capisce bene che il terzo posto, pur rispettabilissimo, non sia come vincere il Mondiale.

Fino all’arrivo della génération dorée, i risultati calcistici del Belgio erano limitati all’oro olimpico di Anversa 1920, alla figura di Jean Langenus (primo arbitro di una finale mondiale), al secondo e al terzo posto di Euro ‘72 ed Euro ‘80 e al quarto posto al mondiale di Mexico ’86. Quel quarto posto fu il coronamento di un periodo d’oro del calcio belga.

Grazie anche alla vittoria dell’Europeo Under 18 del 1977, sono arrivati i successi a livello di club con l’Anderlecht (due vittorie in Coppa delle Coppe e in Supercoppa Uefa nel 1976 e nel 1978, una Coppa Uefa nel 1983, nonché unica squadra a giocare tre finali consecutive di Coppa delle Coppe) e il Malines (altresì detto Mechelen) che nel 1988 vinse Coppa delle Coppe e Supercoppa europea.

Gli stessi bianco-malva persero anche una finale di Coppa Uefa nel 1984 con il Tottenham mentre il Club Bruges aveva perso la finale di Coppa dei Campioni nel 1978 contro il Liverpool. Per il resto, poco o nulla. Troppo netto il dislivello con le altre compagini europee, tanto che fino al 2022 nessun giocatore belga era riuscito a salire sul podio del Pallone d’oro e l’unica squadra ad aver avuto un suo giocatore sul podio del premio di France Football era stata sempre l’Anderlecht nel 1976 con l’olandese Rob Rensenbrink terzo.

Si è detto che Russia 2018 sia stata l’occasione persa di una generazione d’oro che ha affascinato tifosi (anche all’estero) e addetti ai lavori. Il Belgio ha continuato a coltivare i propri settori giovanili e anche oggi la Nazionale guidata dall’italo-tedesco Domenico Tedesco può contare su una ottima base per il futuro, ma Germania 2024 può essere considerata davvero “the last dance” di quella generazione.

Molti dicono che l’ultimo ballo sia stato il pessimo mondiale qatarino del 2022, con i Diavoli rossi usciti già nella fase a gironi ma verosimilmente sarà la competizione in terra tedesca l’ultima possibilità per i vari de Bruyne, Lukaku, Vertonghen, Ferreira Carrasco e Tielemans di alzare un trofeo internazionale.

Inserito nel girone E con Ucraina, Romania e Slovacchia, il Commissario tecnico della Nazionale belga è dal febbraio 2023 il sopracitato Domenico Tedesco, calabrese di nascita, che la guiderà fino al 2026, anno in cui si giocherà il Mondiale negli Stati Uniti, Canada e Messico. Ha 39 anni e in carriera ha portato il RB Lipsia il 21 maggio 2022 a vincere la Coppa di Germania, il primo trofeo vinto dal club sassone.

Lo chiamano “laptop trainer” perchè allena dando molta l’importanza sull’uso della tecnologia. Potrebbe essere una pazzia guidare, così giovane, una Nazionale così “pesante”, ma lui ha accettato la sfida cercando di portare la sua filosofia in una quadra che si lecca (forse) ancora oggi le ferite del mondiale qatarino.

I risultati sono dalla sua, visto che il Belgio, dopo la Francia, è stata la seconda squadra con media punti più alta di tutte le 23 qualificate, subendo quattro reti in otto partite e con una differenza reti di +18, ottenendo il pass europeo con 180 minuti di anticipo.

Per l’occasione Tedesco ha già iniziato da tempo a scremare alcuni giocatori, favorendo le convocazione di giocatori dal futuro roseo come Leandro Trossard, Jérémy Doku, Dodi Lukebakio, Lois Openda, Arthur Theate, Charles de Ketelaere, Aster Vranckx e Johan Bakayoko. Che questi giocatori sopracitati possano far meglio dei “vecchi” è difficile, ma la palla si sa è rotonda. Ed in Germania non ci sarà Thibaut Courtois, in rotta da tempo con Tedesco, ma tornerà, dopo due anni, Axel Witsel.

Si parlava di “The last dance” per il Belgio, ma quando è iniziato questo “ballo”?

Il “ballo” è iniziato con un’eliminazione: ottavi di finale ai mondiali di Giappone-Corea 2002 contro il Brasile e passaggio del turno dei verde-oro con molte polemiche. Fino al 2014, il Belgio è rimasto fuori dal panorama calcistico europeo e mondiale, saltando gli Europei portoghesi, svizzero-austriaci e polacco-ucraini ed i mondiali tedeschi e sudafricani. Il Belgio sprofondava nel ranking e la KBVB, la Federcalcio belga, decise di tirare una riga netta decidendo di rifondare daccapo il movimento calcistico nazionale.

Gli anni Duemila sono stati l’anno “zero” del calcio belga: partendo dalla cura dei vivai e portando il calcio nelle scuole, come avviene nei campus universitari americani. Il calcio belga è risorto grazie ad un uomo in particolare, l’allora direttore tecnico della Federcalcio Michel Sablon.

Tra il 2002 ed il 2012, il Belgio calcistico è stato rivoluzionato anche partendo dagli esempi di Olanda e Francia in termini di formazione del talento ed organizzazione.

In poco tempo è cambiato l’approccio verso questo sport, avvicinando i bambini in età pre-scolare al calcio e formarli sia come futuri calciatori che come uomini. Sono nate le “Top Sport School”, presenti in otto città, per visionare gli adolescenti selezionati in tutto il Paese. Lo scopo? Far diventare i giovani calciatori appetibili all’estero e fare grande cose in Nazionale. Lo zenith, il punto più alto, è stato raggiunto nel 2016 con l’apertura del centro tecnico nazionale a Tubize, vicino a Bruxelles, che ospita tutte le nazionali e lo staff tecnico della RFBA (la loro Coverciano, per intenderci).

I risultati tardarono un poco ad arrivare (e a risentirne ne è stato il campionato, oggi all’ottavo posto nel ranking Uefa) ma, alla fine, sono stati sotto gli occhi di tutti: nel 2015 il Belgio raggiunse per la prima volta la posizione numero 1 del ranking FIFA. Tutto poi è stato in discesa perché uscì una nidiata di ventenni-venticinquenni che si pensava non fossero calcisticamente belgi ma si pensava arrivassero da altre latitudini mondiali per la loro tecnica ed il loro essere davvero forti: Hazard, de Bruyne, Courtois, Romelu e Jordan Lukaku, Witsel, Mertens, Fellaini, Alderweireld, Verthongem, Kompany, Mertens, Batshuayi, Benteke e Meunier per fare qualche nome. La Nazionale belga è anche diventata uno dei più grandi esempi di melting pot.

La Nazionale belga uscì, come detto, dal panorama mondiale per rientrarci a gamba tesa il 15 agosto 2012: 4-2 all’Olanda e Diavoli rossi che rialzavano la testa dopo anni. In panchina, c’era l’uomo giusto-al momento giusto-al posto giusto: Marc Wilmots, ex giocatore del “Malines dei miracoli” ed in campo nell’ultimo Mondiale giocato prima della loro new version calcistica. Marc Wilmots, uno che per amore del calcio e della panchina della sua Nazione si era perfino dimesso da senatore.

Il Belgio della “generazione d’oro” ha anche scosso gli animi del calcio nazionale, fino ad allora all’ombra dei vicini olandesi che hanno messo diverse volte la loro bandiera al centro del mondo calcistico (l’Ajax e Olanda del Calcio totale, l’Europeo 1988 e i sette Palloni d’oro tra Crujiff, Gullit e Van Basten, ad esempio).

Per non parlare che erano considerati “olandesi” il grande Anderlecht ed il Bruges, finalista di Coppa dei Campioni, che aveva in panchina Ernst Happel, un austriaco che si era formato nella terra dei tulipani e che, alla guida del Feyenoord, nel 1970 vinse la prima Coppa dei Campioni per una squadra olandese.

La “generazione d’oro” ha portato il Belgio al centro del villaggio sportivo, di una Nazione nota fino ad allora per aver dato i natali a sportivi come Eddy Mercks, Kim Clijsters (tennista ex numero 1 al mondo e figlia di Leo, uno dei protagonisti del Malines 1988) ed essere patria dei fumettisti Peyo e Hergé, i “papà” dei Puffi e di Tin Tin. Il calcio poi ha unito una Nazione da sempre divisa e ora con un’identità che mai aveva avuto prima.

La Nazionale belga è risorta poi dalle sue ceneri e si qualificata per Brasile 2014 e per Euro 2016 con un gioco spumeggiante ed in campo giocatori dal talento immenso ma che in entrambe le manifestazioni sono usciti ai quarti per mano dell’Argentina (poi finalista) e del sorprendente Galles.

Si pensava che il colpaccio il Belgio potesse compierlo ai Mondiali di Russia 2018, forse il momento più alto della génération dorée: degli allora 23 convocati dal CT Roberto Martinez, uno solo giocava in Belgio (Dendonker nell’Anderlecht, di cui era il capitano). Per intenderci: dei ventidue convocati da Thys per Messico ’86, solo due giocavano all’estero.

Il Belgio vinse il proprio girone (9 punti su 9 come in Brasile quattro anni prima), batté il Giappone agli ottavi ed il Brasile nei quarti. Dopo 32 anni, i Diables rouges arrivarono in semifinale ed avrebbero affrontato i “cugini” francesi. Vinsero Lloris e compagni e fu un duro colpo per tutti e nelle successive manifestazioni il Belgio ottenne risultati molto negativi, tanto da non essere neanche mai arrivato a giocarsi la finale di UEFA Nations League, arrivando solo una volta nella final four e chiedendo al quarto posto nell’edizione 1920/1921.

Ma il momento più basso è stata l’eliminazione già nella fase a gironi di Qatar 2022: vittoria contro il Canada, sconfitta contro il sorprendente Marocco e scialbo 0-0 contro la Croazia. Vero è che poi le due avversarie del girone hanno chiuso al quarto e al terzo posto.

Qatar 2022 è stata la peggior fase a gironi del Belgio in una competizione internazionale dal 1998.

Cosa aspettarsi allora da questo Belgio? Innanzitutto i due fari saranno Romelu Lukaku e Kevin de Bruyne. L’attaccante quest’anno in forza alla Roma (ma di proprietà del Chelsea) è il giocatore che ha goduto di più del restyling del calcio belga: quell’attaccante grezzo che a 18 anni debuttava nel Chelsea oggi è un attaccante di caratura internazionale e tutti lo vorrebbero avere in squadra e mai come avversario. Tedesco conta molto su di lui, tanto da averlo premiato anche con la fascia di capitano e oggi è il capocannoniere di sempre dei Diavoli rossi. Alla Roma ha avuto una stagione nel complesso buona, ma ora è focalizzato sulla Nazionale e Germania2024 è la sua ultima possibilità per vincere un trofeo con la sua Nazionale.

Se l’attacco è nei piedi dell’attaccante di Anversa, l’estro è in quelli di Kevin de Bruyne, da nove stagioni punto inamovibile del Manchester City e, a oggi, primo belga a salire sul podio del Pallone d’oro (nel 2022, terzo dietro a Mané e Benzema).

De Bruyne si sta dimostrando il più forte giocatore belga dopo il ritiro di Hazard ed è un centrocampista a tutto tondo, capace di essere un assist man implacabile (170 serviti da quando veste la maglia dei citizens) e fulcro del gioco del City. Eletto due volte giocatore dell’anno della Premier ed una volta miglior giocatore della Bundesliga (quando militava nel Wolfsburg), da lui ci si aspetta tanto. Troppi infortuni lo hanno condizionato negli ultimi due anni (l’uscita anzitempo nella finale di Istanbul di Champions su tutte), ma ora ha l’occasione per dimostrarsi davvero all’altezza e trascinare questo Belgio a Berlino e fargli alzare al cielo la Coppa Henri Delaunay.

E chissà mai che questa volta, senza i favori del pronostico e senza essere più i primi al Mondo nel ranking, il Belgio possa davvero vincere un trofeo internazionale. Sarebbe davvero un peccato per una generazione che ha portato il piccolo Belgio a regalare emozioni e bel gioco al Mondo non vincere davvero nulla. Ma nel calcio, si sa, vince una sola squadra e solo quella va nell’albo d’oro. Lo sa bene il Belgio la cui unica vittoria internazionale risale alla medaglia d’oro di Anversa 1920, non proprio due anni fa.

Che parta la musica per la Nazionale belga, pronta per ballare nel suo ultimo ballo o il primo di tanti altri.

BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.

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