In concomitanza con la spedizione a Euro 2024, in zona Porta Nuova a Milano è comparso un maxi cartellone realizzato da Adidas, sponsor tecnico della Nazionale azzurra, per sostenere Luciano Spalletti e l’Italia nella massima competizione continentale. Tabellone di quasi 3000 metri quadrati, alto 50 metri, con una scritta emblematica, in tedesco, stampata al centro: “Starke Persönlichkeiten, starke ziele“.
Tradotto: “Uomini forti, destini forti“. Un adagio tanto caro al tecnico di Certaldo, il suo preferito, quello con la portata motivazionale più dirompente, growht mindset (concetto sottolineato da Carol Dweck, Psicologa dell’Università di Stanford) da condividere col gruppo. Mantra che ha guidato Spalletti nel corso della sua carriera, rievocando la lezione di Shakespeare impartita attraverso la voce immortale di Giulio Cesare. Perché “non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi”. Parole che non solo combattono il fatalismo, ma rimandano alla visione del libero arbitrio e del fare, individuale e collettivo, per definire il proprio cammino.
Retorica del destino, dell’homo faber di Appio Claudio Cieco (Homo faber fortunae suae: l’uomo è l’artefice della propria sorte) e l’oracolo latino di Sallustio (Faber est suae quisque fortunae: ciascuno è artefice della propria sorte): una raccolta di espressioni che Spalletti ha rispolverato per caricare l’ambiente e suonare la carica in vista dell’Europeo.
“Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, Non c’è altra strada”.
La strada indicata dal CT azzurro, nella Gara 2 del Gruppo B, non è stata percorsa col giusto vigore, toccata da un destino che, di conseguenza, ha abbracciato lo spirito debole dei giocatori, troppo timidi e dimessi di fronte a un avversario che, seppur superiore a livello teorico (il Kaiser Franz Beckenbauer diceva che “non è il più forte a vincere, ma chi vince è il più forte“), è sembrato tutt’altro che invulnerabile. In particolare nello switch fra una transizione e l’altra, all’atto contestuale del cambio di possesso, dove la Spagna non sempre ha reagito con prontezza, concedendo all’Italia qualche varco per ribaltare l’azione.
Furie rosse, disarmo azzurro
L’Italia crolla, scivola, sprofonda nelle sabbie mobili della Spagna. Affettata dalle Furie rosse, che rivendicano la superiorità del loro Jamon serrano sul San Daniele. Tra miti e falsi dei, l’unico Santo nella notte di Gelsenkirchen è il capitano Gigio Donnarumma, migliore in campo e autore di parate che tengono l’Italia in partita.
Approccio morbido e troppo dimesso dell’Italia, con un assetto tattico, l’1-4-3-3, schienato dalla frequenza atletica degli spagnoli, uniti da una visione di gioco, dal senso di posizione e dalle relazioni tra i singoli.
La formazione di De La Fuente apre subito il gas, riversando quasi tutti gli effettivi di movimento nella metà verde avversaria, coi due centrali difensivi a seguire il possesso palla a ridosso del cerchio di centrocampo. Squadra corta, reparti compatti, distribuzione laterale della sfera e sinergia delle corsie esterne, in un’asse verticale che coinvolge terzino, mezzala e sotto punta avanzata.
Gli iberici riconoscono subito la zona d’ombra azzurra e spingono a sinistra, nel raggio di competenza di Chiesa, Frattesi e Di Lorenzo. L’anello debole della catena italiana è proprio il capitano del Napoli, sverniciato regolarmente da Nico Williams e in difficoltà nella marcatura del gioiello dell’Athletic Bilbao (il cui numero di maglia, 17, la capigliatura e le movenze ricordano il primissimo Leao).
L’Italia annaspa, arretra il baricentro e si lascia schiacciare dagli avversari, più determinati nella testa e nelle gambe. Perché, come sottolineava il Profeta del Gol Johann Cruijff “Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano”.
Gli spagnoli costruiscono occasioni a ripetizione, smistano il gioco da destra a sinistra e viceversa, appoggiandosi al play d’ordine Rodri e alle incursioni dei due interni Pedri e Fabian Luiz.
Calcio vettoriale radicato nella scuola iberica del passato, idealmente riprodotto da De La Fuente in una Nazionale concepita come una squadra di club, non al livello dei team predecessori, ma alberata sull’esperienza dei veterani (Rodri, Carvajal, Morata) e l’imprevedibilità dei giovani talenti (Nico Williams, Lamine Yamale, Pedri).
Non c’è gara alla Veltins Arena, con l’Italia che fa un passo indietro rispetto all’esordio contro l’Albania e perde identità, coraggio, carattere. 1-0 per gli iberici, padroni del campo, e partita a senso unico, comandata dalle Furie rosse in lungo e in largo.
Nel face to face a distanza Rodri affoga Jorginho, sensibilmente in difficoltà e spaesato all’interno dello scacchiere azzurro. Barella e Calafiori provano a scuotere i compagni, mostrando lucidità nelle scelte e personalità nelle giocate per colpire gli spagnoli. Il centrocampista dell’Inter è il primo ad uscire in pressione sulla costruzione dal basso avversaria, il difensore del Bologna si accolla qualche rischio nella risalita per bucare le linee iberiche. Il resto della squadra, ad eccezione di un Donnarumma sugli scudi, va in under performance – da Chiesa e Scamacca a Pellegrini e Frattesi – e non riesce a trovare la giusta fisionomia, tanta confuzione e immobilismo frenetico.
Possesso azzerato, mentalità schiva, una valanga di errori e tocchi sbagliati, fraseggio fragile e interrotto a tre/quattro passaggi consecutivi, corsa affannosa e una proposta offensiva non pervenuta: l’Italia è apparsa troppo impacciata nel costruire e sviluppare la manovra, inginocchiata a livello tecnico e tattico dalla Roja.
Dolor y Gloria: tormento azzurro, estasi spagnola
Parafrasando il titolo di un film di Pedro Almodovar, Spagna-Italia è stata una partita da “Dolor y Gloria“: tormento per gli azzurri di Spalletti, estasi per le Furie rosse allenate da De la Fuente.
La Spagna sbaglia l’impossibile ma vince con merito, seppur con una differenza reti troppo bassa in rapporto al volume di occasioni generate. Morata & Co. non capitalizzano le proprie azioni ma beneficiano dell’autogol di Calafiori, sfortunato nella deviazione a pochi passi dalla porta.
Nel Gruppo B gli iberici blindano il primo posto con 6 punti in classifica e strappano il pass per la fase ad eliminazione diretta.
Per l’Italia, invece, è tempo di reset. Con la Croazia bisognerà invertire la rotta, correggendo atteggiamento e proposta di gioco, recuperando la condizione fisica e la coesione, abbracciando l’audacia e la voglia di incidere. Non tutti i mali vengono per nuocere e forse è un bene che la sconfitta sia arrivata in una gara del girone. D’ora in avanti niente più bonus, solo prestazioni convincenti e risultati positivi, in primis per qualificarsi agli ottavi e poi per avanzare nel draft. Step by step, con orgoglio e determinazione, per cercare di difendere il titolo di Campione d’Europa conquistato meravigliosamente l’11 luglio 2021 a Wembley.
BIO: Andrea Rurali
Brianzolo Doc, classe 1988. Da sempre appassionato di cinema, tv, calcio, sport e viaggi.
- Lavoro a Mediaset dal 2008 e attualmente mi occupo del palinsesto editoriale di Cine34.
- Sono autore del programma di approfondimento cinematografico “Vi racconto” con Enrico Vanzina e co-regista dei documentari “Noi siamo Cinema” e “Vanzina: una famiglia per il cinema”.
- Dal 2014 dirigo la rivista web CineAvatar.it (http://cineavatar.it/)
- Nell’autunno 2022 ho fondato la community Pagine Mondiali e nell’estate 2023 la piattaforma sportiva Monza Cuore Biancorosso.
- Da agosto 2023 collaboro con la testata giornalistica Monza-News, scrivendo le analisi delle partite dei biancorossi e partecipando alla trasmissione Binario Sport.
- Dal 2019 collaboro con la casa editrice Bietti, in particolare per la realizzazione di saggi sul cinema inseriti nelle monografie di William Lustig, Manetti Bros, Dario Argento e Mike Flanagan.
- Tra le mie pubblicazioni, il saggio “Il mio nome è western italiano” nel volume Quando cantavano le Colt. Enciclopedia cine-musicale del western all’italiana (F. Biella-M. Privitera, Casa Musicale Eco, 2017).
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