INTERVISTA AD ARRIGO SACCHI: CONFESSIONI DI UN VISIONARIO

Le squadre che in gioventù hanno ispirato la sua filosofia di gioco

Si devo dire che ce ne sono state di squadre: il Brasile, l’Olanda e… il mio “essere”. Cosa vuol dire il mio “essere”? Se ad esempio vado in bicicletta mi piace farlo per bene cercando di fare delle cose semplici, ma in Italia le cose semplici non vengono fatte. Il calcio è stato inventato dagli inglesi che l’hanno pensato come uno sport di squadra offensivo e che ha perso le sue caratteristiche originarie in Italia, dove è diventato uno sport individuale e difensivo.

L’arrivo al Milan

Era una squadra che l’anno prima arrivò quinta ma con me iniziarono a giocare un calcio diverso, osteggiato dai vecchi giornalisti che avevano sempre visto un calcio basato sulla difesa e contropiede. I giornali scrissero che ero un signor nessuno. Ebbi la fortuna di trovare un grande club, con un grandissimo presidente, ma era un club che purtroppo da nove anni non vinceva nulla in Italia e vent’anni in Europa e nel mondo. Ci impegnammo al massimo e già dalla partenza, Berlusconi mi aiutò moltissimo perché c’erano dei giocatori che non erano dei professionisti così esemplari. C’era qualche egoista e qualche individualista. Bravi giocatori ma che avevano questi limiti. Noi mandammo via tutti questi giocatori oltre a tutti quelli privi di capacità intellettive. Però valutavamo anche una cosa che non si valuta mai ancora adesso in Italia: noi non guardavamo tanto i piedi, tanto su quello ero sicuro di “accomodarli”, guardavamo la persona.

Quando io arrivai lì l’unico giocatore che costò tanto fu Gullit. L’anno dopo venne preso Rijkaard per 5 miliardi. Io mi ero portato tre giocatori dalla serie B come Mussi, Bianchi e Bortolazzi dal Parma e presi Costacurta che veniva dalla serie C. Volevo un gruppo di persone affiatate che conoscessero l’etica del lavoro, l’etica di squadra, che giocassero con la squadra, per la squadra, a tutto campo e a tutto tempo. Non solo con i difensori che fanno i difensori, gli attaccanti che fanno gli attaccanti e i portieri che fanno i portieri; no, bisognava essere un gruppo molto comunicativo, quindi un gruppo che si muovesse avanti e indietro assieme. Attaccavano tutti e difendevano tutti.

Marco Van Basten e Ruud Gullit

Una volta dissi a Berlusconi: “Se avessimo dovuto costruire una baracca, non avremmo dovuto fare le fondamenta. Ma qui dobbiamo costruire un grattacielo e vanno messe prima le fondamenta”.

La rincorsa al Napoli di Maradona per lo scudetto

Io ricordo una cosa: mi invitarono nel periodo del carnevale a Venezia ad allenare per una partita di beneficenza al coperto e nell’altra squadra allenata da Helenio Herrera, c’erano due o tre giocatori del Napoli. Uno di questi era Maradona, l’altro Carnevale. Finita la partita andammo tutti a cena e venne a salutarmi Maradona; parlammo un po’ e percepii che non c’era un rapporto buono con l’allenatore e lo staff e ricordo che parlai con lui fino alle 4 del mattino. Quella notte praticamente non dormii perché tornai direttamente a casa mia per poi andare all’allenamento delle 11. Quando arrivai a Milanello parlai ai giocatori e dissi: “Ragazzi, il campionato non è perso. Adesso noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo”. E così fu. Furono molto bravi, e devo dire che Berlusconi mi aiutò molto perché non eravamo partiti benissimo.

La fiducia del Presidente dopo un inizio difficile

Berlusconi mi chiese se avessi bisogno e io gli risposi di sì. Venne un sabato ma non nello spogliatoio come faceva di solito; assieme al nostro direttore generale Ramaccioni ci fecero salire nel suo studio e con un intervento fantastico di 27 secondi chiarì a tutti la sua posizione: “Buongiorno io ho totale fiducia in Arrigo, chi di voi lo seguirà rimarrà, chi non lo seguirà se ne andrà. Buon lavoro a tutti”. Non c’era forse bisogno di quella durezza però devo dire che contribuì a non perdere tempo. E non eravamo una squadra qualsiasi, eravamo il Milan!  Dopo il pubblico ci seguì in modo magnifico, ci credette e vinse per una volta la squadra che meritava di più.

Arrigo Sacchi con il Presidente dell’A.C. Milan, Silvio Berlusconi

La drammatica sfida di Belgrado e la nebbia che salvò il Milan nella prima gara di ritorno

Ma non lo so, se saremmo stati eliminati questo non lo so. Sicuramente avremmo dato tutto quello che potevamo dare. Venne giù questo nebbione, che non si vedeva assolutamente nulla! E quando io rientrai nel nostro spogliatoio vidi che c’era Virdis vestito! Gli dissi: “E tu cosa fai qui vestito?” e lui mi rispose: “Mi hanno espulso!” Ma nessuno l’aveva visto…

Considerato che quel Milan purtroppo non poteva avere Gullit in buone condizioni e Galliani andò a prendere il suo massaggiatore personale per recuperarlo. Alla fine lui giocò nella ripetizione solamente perché Virdis e Ancelotti erano squalificati. Ricordo che a Belgrado giocarono anche due ragazzini (Cappellini e Mannari N.d.A.).

Questo era comunque un gruppo di persone serie, affidabili. Non c’erano individualismi, non c’erano egoismi, non c’era avidità ed erano dei professionisti di alto livello dove tutti tiravano in quella direzione. La nostra direzione era poi più complessa, perché in un Paese dove vigeva la regola del “basta solo vincere” noi ribattevamo con “una vittoria senza merito non è una vittoria”. Il Milan giocava bene, tanto che tutti dicevano che non sembrava neppure una squadra italiana! Un gruppo quello formato da grandi persone prima di tutto che poi divennero anche grandi giocatori.

Gli impegni di coppa che svuotavano di energie la squadra

Allora le rose non erano come adesso, erano al massimo di 20/21 giocatori e quindi il consumo era enorme, più che altro mentale: gli impegni di coppa ti ammazzavano.  Poi subentrava il rilassamento pensando di avere già vinto la partita successiva e c’era il crollo. Loro comunque erano persone mature e abbiamo vinto quello che nessuno pensava che potessimo vincere e nel modo che nessuno immaginava. Il primo anno vincemmo un campionato senza Van Basten che giocò pochissime partite e vincemmo la seconda Coppa dei Campioni con Gullit che giocò solo la finale, più per far paura agli avversari ma non era ancora in buone condizioni.

Sulla filosofia di gioco e la mentalità da trasmettere alla squadra

Ruud Gullit una volta mi chiese: ”se negli ultimi dieci minuti non abbiamo ancora segnato perché non buttiamo la palla in area? Io, Virdis, Van Basten, Rijkaard, Maldini siamo alti, bravi di testa”. Io gli ho risposto difendendo uno stile: “se abbiamo la sfortuna di fare un gol, poi non saranno più dieci minuti”. Un altro giocatore mi disse: “Mister lavoriamo tanto non mi diverto, faccio fatica…” E io: “Guarda che tu ti dovresti divertire per la proprietà transitiva: per come riesci a trasmettere ai tifosi emozioni e impegno. Quando tu avrai dato loro il massimo dell’impegno e delle emozioni, ti saranno grati e riconoscenti tutta la vita.” Sono arrivato al Milan che c’erano 30.000 abbonati, l’anno dopo la richiesta era stata di 75000 abbonati e ne potevano accogliere solo 65000 perché c’era il problema dello stadio che stavano ristrutturando per i Mondiali, però la richiesta era di 75000! Lei pensi a una qualsiasi attività che passa da 30 a 75 mila in un anno!

La partita che ha meglio incarnato la sua filosofia di gioco espressa in campo dalla squadra

Ce ne son state tante, però il momento cruciale fu quando venne il Napoli a San Siro nel 1988. Quello fu il momento cruciale. Noi partimmo come sempre a una velocità pazzesca, e io dissi prima della partita ai giocatori: “Ricordate che se il pallone l’abbiamo noi, non l’avrà Maradona, se poi ce l’ha qualche giocatore del Napoli andiamo subito in pressing, così i passaggi non saranno così articolati, precisi, e gli metteremo soggezione e se anche dovesse arrivare il pallone a Maradona, essendo così compatti da Baresi a Gullit lo limiteremmo. Noi partimmo sbagliammo un’uscita e ci fecero gol subito…io mi voltai verso la panchina e dissi “No così non và abbiamo giocato solo noi!”.

3 GENNAIO 1988 – Il Milan batte il Napoli 4-1 a San Siro

E dopo però gliene demmo quattro…La gente sembrava impazzita! Perché vincevamo con merito! Van Basten non c’era ma dopo quella partita che aveva visto allo stadio mi disse: “Non credevo che in così poco tempo avessimo raggiunto dei livelli così alti”. Quando andammo a giocare a Madrid ci spiarono degli osservatori del Real che nella loro relazione alla squadra dissero: “guardate che questi non sono italiani…questi vanno a velocità folli cercando di avere sempre il dominio del gioco!” Mi ricordo in quella partita con il Real Madrid in casa loro in semifinale ci fu annullato un gol che era buonissimo; partimmo dalla nostra metà campo, sulla rimessa laterale del nostro terzino Tassotti, che diede la palla a Van Basten che era arretrato rispetto a Baresi, che era avanzato di venti metri. Lui la giocò su Baresi il quale di prima la passò in diagonale a Donadoni (bravissimo giocatore) che la mandò dentro a sinistra dove arrivò Gullit che la mise in porta. Quindi nessuno di questi era al proprio posto ma erano comunque nel posto giusto e anche lì ci dimostrammo di essere superiori, perché nessuno attaccò l’arbitro; solo Van Basten andò a chiedere il motivo per cui ci annullarono un gol che era regolarissimo.

Le frizioni con il presidente Berlusconi per il terzo straniero da ingaggiare

Io dopo il primo anno rischiai di andarmene e dissi a Berlusconi che volevo restare fermo un anno, perché Borghi che era venuto due mesi ad allenarsi con noi era il contrario di tutto quanto io stavo dicendo ai giocatori. E dissi a Berlusconi: “Guardi lei è il presidente, lei lo ha pagato, lei lo può far venire al Milan. Io però vado via e le prometto che sto fermo un anno, ma non ci rimango perché lui è l’esatto contrario di tutto quello che ho insegnato fino ad ora ai giocatori. Lui si convinse, fu bravissimo anche in questo e andammo a prendere Rijkaard.

Lui è stato il più grande presidente… pensi che dal 1989 al 1999 le squadre italiane hanno vinto 16 coppe internazionali, ma siamo stati noi per primi che le abbiamo trainate.

Milan-Parma: la partita del suo addio sulla panchina del Milan degli “Immortali”

Hanno cantato tutta la partita “Noi tifosi del Milan abbiamo un sogno nel cuore Arrigo allenatore” Ma tutti pensavano che io andassi via per Van Basten ma non era così! Andai via perché quando firmai con il Milan dissi che avrei fatto un anno e poi avrei smesso. Non ce la facevo più avevo bisogno di staccare. Quando andai via dissi ai giocatori: “Adesso siete tutti dei professori, vincerete ancora ma non giocherete più così”.

26 MAGGIO 1991 – MILAN-PARMA – L’ultima partita di Arrigo Sacchi sulla panchina del Milan

Io non sono mai stato esonerato dove sono andato, al Milan devo molto come in tutte le società dove ho allenato.

I ricordi dei Mondiali di USA 94 e i motivi dell’esclusione di Rossi

Mi ricordo che nella finale del mondiale Brasile-Italia in conferenza stampa il direttore di un quotidiano come prima domanda mi chiese: “e se dovesse perdere questa finale poi cosa si dovrebbe dire?” Ma che domanda può mai essere questa?  Un altro scriveva che non potevamo competere con l’Inghilterra, la Francia, la Germania, il Brasile perché loro mangiavano già la carne quando noi mangiavamo ancora polenta…Al Mondiale abbiamo dato tutto quello che potevamo dare, abbiamo vinto tre volte giocando con uno/due giocatori in meno. Quando battemmo la Nigeria, Baggio era all’ala sinistra e Mussi all’ala destra. Perché Mussi aveva i crampi, Roberto Baggio male al ginocchio e Zola era stato espulso. Il gol del pareggio infatti partì da un’azione di Mussi che la diede a Baggio che la mise dentro. E quando una squadra dà tutto quello che può dare, è già vincente! Non c’è da parte mia neanche un rammarico.

Arrigo Sacchi CT dell’Italia ai Mondiali USA ’94

Sebastiano Rossi era un giocatore che conoscevo dalle giovanili del Cesena, quando lui aveva ancora 16 anni. Un giorno venne nello spogliatoio e mi disse che voleva smettere di giocare a calcio perché si era innamorato. Io gli risposi: “Guarda che si possono fare tutte e due le cose” e lui ci ripensò e diventammo campioni d’Italia con la squadra Primavera battendo l’Inter, la Juventus e tutte le più forti. Era un ragazzo che pagammo un milione mezzo/due milioni, una cifra ridicola e dissi al presidente di non tenerlo per più di tre anni perché dopo avrebbe “rotto” con tutti. Io guardavo sempre le persone e nonostante gli voglia bene ancora adesso, in quel caso non ero sicuro della persona. La cosa pericolosa era che avrebbe potuto incrinare gli equilibri del gruppo e quindi non lo convocai.

Le ultime panchine a Parma

Alla fine sono tornato a Parma nel 2001, avevo forse il contratto più elevato di tutta la mia carriera. La squadra arrivava da cinque sconfitte; pareggiammo con l’Inter a Milano, in casa con il Lecce e andammo a Verona. Giocammo bene perché era una bella squadra, in generale le vittorie delle partite mi compensavano delle tensioni, delle notti insonni dell’abnegazione che ci mettevo. Ma dopo aver vinto non sentii assolutamente nulla e capii di essere arrivato. Allora telefonai a mia moglie e le dissi che sarei tornato a casa per non allenare più. La sera chiamai il presidente e mi scusai perché mi avevano trattato benissimo, mi volevano bene e quando mi disse: “Non ho mai visto uno con uno stipendio così alto andare via” gli risposi: “Guardi non mi interessa essere il più ricco del cimitero”.

Le celebrazioni di una squadra leggendaria

Al Festival dello Sport a Trento qualche anno fa la squadra del 1989 è stata celebrata all’Auditorium con inizio alle 11,30. Mi dissero che già quattro ore prima c’era la fila delle persone che aspettavano di entrare per prendere posto in teatro. Allora lì abbiamo capito tutti quanti quanto avevamo fatto 30 anni prima.

Al Festival dello sport di Trento, nel 2019, venne celebrato il Milan allenato da Arrigo Sacchi

Poco tempo fa invece dei tecnici avevano mostrato alle nazionali giovanili un Milan-Barcellona di Supercoppa europea ‘89: io nemmeno mi ricordavo che il Barcellona non fosse riuscito a fare un tiro in porta! E ci mancavano in quella partita dei titolari come Baresi, Ancelotti, Gullit, ma la musica non cambiava…

Quella squadra che dopo è stata anche allenata da altri perché era ancora giovane, aveva vinto tantissimo e come avevano vinto! Oggi l’UEFA, France football, World Soccer hanno eletto il Milan del 1989 come la più grande squadra della storia! France Football l’ha eletta più grande squadra del dopoguerra! World Soccer l’ha classificata quarta in assoluto, ma le prime tre sono nazionali! Più di così credo non sia facile. Io pensavo che non avessimo memoria, invece se alla memoria gli dai delle emozioni… E questo perché ricordate: al primo posto c’è il club, con la sua storia le sue conoscenze, il suo stile e il suo impegno. “Siamo il Milan!” dicevo loro, prima viene la squadra, poi vengono i singoli.

La cultura di un Paese che si rispecchia nel calcio.

Il calcio non è altro che la storia e la cultura del Paese: la nostra storia e la nostra cultura evidentemente non vanno oltre il singolo. La nostra cultura non c’è! Il calcio subisce molto la storia e la cultura del proprio Paese e questa storia e cultura da parte nostra è stata disgregata nei secoli. Noi italiani purtroppo non siamo bravissimi, non siamo onestissimi, siamo furbetti, e quando si è furbi si è già nella disonestà perché è un Paese che non vuole prendere delle strade pulite.

Il calcio di oggi

Oggi in Italia a livello calcistico c’è un leggero movimento: 4/5/6 allenatori sono strateghi, ma gli altri son tutti tattici. Mi creda: io sono stato in televisione, scrivo sui giornali e non sempre si fa l’interesse del calcio, si mira più ad altri interessi e questo non ci aiuta a giocare come si dovrebbe giocare. Si deve imparare questo: quando una persona dà tutto quello che può dare è già un vincitore. Queste cose riportale perché non sono conosciute. Il Milan di oggi è alla ricerca di essere più squadra ed è sulla strada giusta. Si parte sempre dal club: se il club non è di alto livello allora sicuramente finirà con i bilanci in rosso. Come le squadre oggi che sono prime in classifica…ma falliscono poi! È come barare! Se incominciassimo a vivere e a comportarci come si dovrebbe molto probabilmente avremmo meno bilanci in rosso.

Intervista rilasciata il 6 febbraio 2024 e raccolta telefonicamente da Max Ruzzante

BIO: Massimiliano Ruzzante è nato a Milano il 24/05/1976, Scrittore freelance, proofreader, recensore e curatore di saggi e antologie di narrativa fantastica. Grande appassionato di sport e tifoso rossonero da 40 anni, sta attualmente scrivendo un saggio sul suo primo amore: il Milan.

4 Responses

  1. Di quel Milan ormai noi appassionati sappiamo non tutto ma quasi. Ci sono giustamente storie di spogliatoio che rimangono tuttora a Milanello… ma sentire parlare Arrigo come anche tutti gli altri protagonisti di quel periodo è sempre illuminante, incantevole… e se si è intelligenti si raccolgono sempre insegnamenti di vita a tutti i livelli. Questo perché? La motivazione è nelle stesse parole di Arrigo: prima di essere campioni con i piedi, sono grandi persone! E dalle grandi persone c’è sempre imparare.

  2. Non c’è una sola parola che non mi trovi d’accordo con il Maestro
    Quel Milan resta scolpito nella memoria di chi come me ha avuto la fortuna di assistere al suo cammino
    Dopo non sono più riuscito a provare le stesse emozioni

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