Annichilita, oltre ogni più ragionevole previsione tramortita da una Spagna presentatasi allo scontro con gli azzurri con i favori del pronostico ma rivelatasi superiore più di quanto fosse doveroso supporre alla vigilia (in virtù della buona prestazione sciorinata dall’Italia contro l’Albania, in special modo sul piano dell’espressione collettiva, e altresì dal fatto che la compagine iberica, per quanto individualmente di spessore, appariva appartenente all’alveo di ciò che può essere in gergo definito “alla portata”), l’Italia affronta la Croazia non potendo più agguantare il primato nel girone e avendo due risultati a disposizione per custodire la seconda piazza, indispensabile per evitare un accoppiamento maggiormente difficoltoso agli ottavi di finale.
Gli strascichi derivanti dalla disastrosa prestazione contro Nico Williams e compagni sono stati chiaramente molteplici e forieri di valutazioni e supposizioni plurime relativamente al valore assoluto della nostra nazionale e alla costruzione dell’undici che scenderà in campo quest’oggi in quel di Lipsia: asfaltato dal succitato esterno del Bilbao, eletto migliore in campo, Di Lorenzo (a onor del vero mai “ammirato” sui livelli di assoluta insufficienza sciorinati al cospetto delle “furie rosse”) conserverà verosimilmente una maglia da titolare a causa delle condizioni non ottimali di Di Marco con dirottamento sulla corsia mancina del polivalente Darmian, inizialmente candidato alla titolarità sulla corsia opposta, maggiormente d’appartenenza; in realtà, al di là delle uniche due sempre più probabili modifiche da circoscrivere ad una mutazione di elementi del medesimo ruolo, Fagioli per Jorginho e Retegui per Scamacca (più volte in questa sede identificato come centravanti dalle indubbie potenzialità ma epidermicamente lontano dall’essere annoverato fra le prelibatezze del ruolo, specie in ambito internazionale), la formazione da supporre potrebbe risultare particolarmente camaleontica nell’interpretazione del sistema da attuare e delle singole collocazioni nelle diverse zone del terreno di gioco.
Chiesa potrebbe essere ricondotto all’ormai più congeniale versante sinistro, esaltandone la capacità di puntare l’uomo convergendo sul piede preferito per far sì che la visuale della porta possa favorirne lo scoccare di conclusioni pericolose; Cambiaso, ancorchè in ballottaggio con Di Lorenzo per rivestirne panni e compiti, potrebbe in questo caso essere avanzato quale ala in un sistema che in fase di non possesso virerebbe su 1-4-4-2 con i due centrali di centrocampo ad agire alle spalle di Barella, libero di spaziare in appoggio a Retegui.
Detto che sui mediani la scelta è da compiere (Cristante e Fagioli favoriti su Jorginho), a fare le spese delle diverse supposizioni saranno sicuramente Pellegrini e Frattesi, poco convincenti nelle prime uscite, lontani da un’attiva partecipazione alla manovra ( per quanto riguarda la mezzala nerazzurra non una novità, visto e considerato che la principale peculiarità è da circoscrivere all’innata capacità di leggere quegli spazi volti a determinarne inserimenti spesso vincenti) e altresì poco decisivi, considerando le fette di campo loro consegnate, in fase di rifinitura , assistenza, lettura e adeguata occupazione degli spazi sia all’interno che all’esterno del perimetro delimitante l’area di rigore, ove maggiormente erano chiamati a risultare pungenti.
Potrebbe risultare preliminarmente eccessivamente prudente, da parte di Spalletti, ideare una formazione primariamente fondata su una maggiore accortezza quanto a copertura difensiva del terreno di gioco ( ribadendo, va da sè, che le opzioni potrebbero risultare varie nell’interpretazione ed i dubbi relativi ai deversi ballottaggi concludersi con sorprese da svelare in prossimità dell’annuncio degli schieramenti), considerando che il punto debole della Croazia è rappresentato dallo scarno reparto offensivo, costituito da elementi il cui valore assoluto è iperbolicamente distante dai predecessori succedutisi in maglia biancorossa e ancor prima nel corso della gloriosa storia calcistica della Jugoslavia; il fulcro della nazionale balcanica è da ricondurre al centrocampo, costituito dagli altisonanti nomi di Modric, Brozovic e Kovacic, a onor del vero largamente al di sotto dei propri standard nel corso delle prime due uscite continentali (tant’è che potrebbe toccare a Susic ravvivare l’assopita triade).
Lo scemare dell’autorevolezza interpretativa dei mediani di Dalic potrebbe favorire ulteriormente una gestione dei tempi di gioco più accurata da parte dei nostri, volta ad una corretta occupazione degli spazi, ad un possesso più elevato, alla creazione di linee di passaggio indispensabili per suggellare quei movimenti senza palla doverosamente da premiare all’interno delle idee di gioco che da sempre accompagnano la lodevole filosofia del tecnico azzurro.
Un baricentro più alto, una costruzione sicura a partire dalla prima fase di possesso, una conduzione brillante ed una maggiore lucidità nella decisiva e determinante fase di rifinitura potrebbero consentire agli azzurri non solo di arginare o di annullare totalmente i pericoli potenzialmente derivanti dalle più evidenti caratteristiche intrinseche dei croati ma di imporre una struttura filosofica e concettuale all’incontro tale da non mettere in discussione una qualificazione che non può e non deve essere compromessa (benchè ci sarebbero possibilità di passaggio del turno anche in caso di debacle qualora si trovasse spazio fra le quattro migliori terze classificate dei sei gironi, eventualità che, nel caso, non potrebbe di certo ricoprirci di onori).
L’aspettativa principale, alla stregua di quanto accaduto nella gara d’esordio contro l’Albania, è in ogni caso tornare a dimostrare di saper esprimere un calcio all’avanguardia, intenso, concettualmente di rilievo, peculiarmente offensivo e brillante: una componente indispensabile per accorciare il divario nei confronti di quelle selezioni oggettivamente superiori per portata individuale, con una maggiore abitudine, negli uomini, a competere nei più importanti palcoscenici globali.
Ciò che, in sostanza, sarebbe dovuto accadere contro la straripante Spagna, e che invece ha sottolineato, prima ancora dell’impossibilità di esercitare alla pari l’applicazione della preparazione alla partita, una scarsa serenità da ricondurre a pecche di personalità anche negli uomini maggiormente più rappresentativi.
Poggiare le proprie certezze sull’identità collettiva aiuterebbe l’Italia ad affrontare con minor inconscio timore gli incontri successivi al cospetto delle candidate al titolo: per questo è indispensabile rendersi protagonisti contro la Croazia di una prestazione significativa e dominante che possa convincere gli azzurri di essere in possesso di un’espressione tale da innalzare il livello assoluto, sopperire alla mancanza di fuoriclasse e concedersi la possibilità di scrivere pagine significative all’interno della romanzata narrazione della più importante manifestazione continentale.
Anche perchè la storia è lì ad insegnare che quando l’Italia è chiamata a rivestirsi improvvisamente di gloria sportiva, nei momenti apparentemente più distanti dall’essere identificati come leggendari, sovente accade di assistere a qualcosa di inimmaginabile: Camerun, Perù e Polonia parevano nell’ottantadue non essere prodromi della straripante cavalcata contro Argentina, Brasile e Germania, così come Eire, Norvegia e Messico sembravano non designare la possibilità di perdere un titolo mondiale solo dopo i calci di rigore. Con l’apoteosi del 2006, nel periodo più buio del nostro movimento. Credici, Italia!
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.