EURO ’24 – PLAYERS – KEVIN DE BRUYNE: LET HIM TALK

«È sempre una questione di prospettiva, di punto di vista e di intelligenza. Il calcio è uno sport che devi giocare con la testa. Disfruta, y piensa.» si legge in Pep Guardiola. Storia, aneddoti, metodologia, evoluzione tattica, di Carlo Pizzigoni, Micaela Acevedo e con Filippo Lorenzon.

E se è vero che non tutte le storie finiscono bene, è altrettanto verificabile che anche l’inizio di qualche narrazione può essere tortuoso, tanto da lasciarci presagire che sarà poco più di un fuoco fatuo da un paio di articoli di giornale o tre.

Così è stato per Kevin De Bruyne che il 28 giugno compie 33 anni, con una Champions in più e ancora il viso di un ragazzino, un tempo chiuso, introverso, con pochissimi amici degni di essere definiti tali; un ragazzo, dice lui, che esprimeva sé stesso soprattutto attraverso il calcio. Arriva nelle giovanili del Genk che è poco più che un bambino, a quattordici anni, nel 2005. Dopo un periodo che trascorre in una specie di ostello, viene affidato a una famiglia ospitante e le cose sembrano procedere per il meglio: è bravo in campo, è diligente a scuola, ha un temperamento tranquillo, non crea problemi né in casa né fuori. Ma per l’anno seguente sua madre gli comunica in lacrime che la famiglia di Genk non desidera più occuparsi di lui: “non ti vogliono perché credono che tu sia troppo silenzioso, non riescono a comunicare con te… è per quello che sei.”

È per quello che sei. Da mollare tutto e tornarsene a tirare quattro calci nei campetti dietro casa, ma Kevin non molla e anzi trova in quella difficoltà relazionale, se così vogliamo definirla, uno sprone per migliorare. Nella partita successiva all’annuncio, da parte di sua madre, che l’altra famiglia lo aveva messo alla porta, racconta di aver segnato cinque gol e di aver pensato, a ogni pallone che insaccava: “è per quello che sono”.

Questa determinazione lo ha accompagnato sempre. Colui che è considerato uno dei più forti centrocampisti in attività – al suo livello, direi, solo Modric e Toni Kroos – non ha avuto infatti una carriera lineare. Anzi, a un certo punto, se avesse compiuto la scelta sbagliata, la meno coraggiosa, forse, avrebbe rischiato di fare la fine di tanti talenti bruciati o bruciacchiati anzitempo, quelli che fino a un certo punto, guardandoli giocare, ti inducono a glossare “è bravo, si farà” e, dopo qualche anno, “De Bruyne, chi?”.

Oggi invece, alla domanda “De Bruyne, chi?”, giusto per fare un esempio recente, rispondiamo: il De Bruyne che ha abbattuto (e lasciamo perdere le questioni personali, a quanto pare risolte da tempo), dal limite dell’area, la saracinesca di Thibaut Courtois, nell’andata di semifinale di Champions League 2023, contro il Real Madrid. L’azione è perfetta: Rodri anticipa Rodrygo, passa a Jack Grealish che è marcato stretto. L’ala sinistra di Birmingham deve quindi inforcare, in senso scacchistico, perché è da solo contro due. Ce la fa e li buca: palla corta per Gündoğan. Quest’ultimo si gira appena perché “sa” dell’inserimento di De Bruyne: tiro potente e preciso, imprendibile. È gol.

Kevin De Bruyne è anche il giocatore che nella partita di Euro 2024, contro la Romania, dopo un esordio assai opaco (non per demeriti a lui ascrivibili) della sua nazionale, danza sul confine del fuorigioco e mette in rete su rinvio diretto di Casteels. Il gol vale il due a zero e una rinnovata speranza.

Il talento belga esordisce da professionista nel suo Paese natale e trascorre quattro anni, dal 2008 al 2012, proprio nella prima squadra del Genk, dimostrando intelligenza tattica non comune ed elevato valore come assist-man. De Bruyne è uno che vede l’azione prima che si compia, prima che, addirittura, venga concepita. Basti pensare, nella stagione 2023-’24, al match del Manchester City, giocato in casa contro il Burnley, del neo-allenatore del Bayern Monaco e bandiera, proprio del ManCity, Vincent Kompany. Sicuramente si tratta di uno schema provato, ma la pulizia geometrica del lancio per Álvarez resta encomiabile. Per chi volesse capire meglio la dinamica, eccola qui, isolata dal resto dell’azione: https://www.youtube.com/watch?v=YiSIk9axWOY

Kevin non è affatto male, fin da giovanissimo, neppure come finalizzatore: dieci gol in Bundesliga, nel Werder Brema, dove giocherà un solo anno. Nel campionato 2013-’14 viene acquistato dal Chelsea di José Mourinho: la Premier League che è diventata, con le iniezioni, prima russe, poi arabe, il campionato più ricco e competitivo d’Europa. Lo avrebbe voluto Jürgen Klopp, che mai ha nascosto la profonda ammirazione per il giocatore – “When Kevin de Bruyne is warming up and the whole country is starting to shake”, chiosò, quando il belga si approssimava a rientrare, dopo il grave infortunio e l’operazione a un tendine del ginocchio – al Borussia Dortmund: se la trattativa fosse andata in porto, avremmo raccontato senz’altro una storia diversa, non meno costellata di successi, magari, ma diversa.

Fatto sta che le cose a Londra non vanno come De Bruyne avrebbe sperato e la scintilla con lo Special One non ne vuole sapere di scoccare. “Non ce l’ho con lui”, dirà il centrocampista, anni più tardi,  “semplicemente non ha funzionato”. Insomma, Kevin gioca poco, pochissimo, e in quel poco che gioca non riesce a far risaltare le enormi qualità che possiede.

Il giocatore racconta di essere stato convocato nell’ufficio del mister, con il quale rivela di aver parlato solo un paio di volte: “un assist, zero gol, dieci palloni recuperati”. Kevin obietta di aver giocato una manciata di minuti, come in effetti è stato, ma Mourinho lo gela: “se Mata viene ceduto, diventerai la quinta scelta anziché la sesta”.

Kevin prende la decisione più difficile perché ha ventiquattro anni e gioca in un club più che prestigioso: chiede di poter andare via. Il sogno della Premier che diventa, in men che non si dica, il peggiore degli incubi. Torna in Germania, al Wolfsburg, e il suo piede – destro, ma è abile anche col sinistro – comincia a parlare di nuovo. Nel 2015, per la cifra di 80 milioni di euro, con ingaggio da 14 milioni a stagione – una follia, secondo gli analisti che commentavano in quei giorni –  lo acquista il Manchester City del cileno, Manuel Pellegrini, in pratica succeduto a Roberto Mancini, dopo il brevissimo interregno del traghettatore, Mark Hughes. E poi arriva Pep che capisce che tutti, in qualche modo, possono essere sacrificabili, sostituibili, rimpiazzabili, persino Agüero, persino Gündoğan: tutti tranne lui. Thierry Henry, che ha collaborato con la nazionale belga, prima di assumere l’incarico nell’Under 21 francese, ha chiesto a Guardiola se riuscisse a capire Kevin De Bruyne fino in fondo, ma il catalano ha fatto intendere che non era possibile e forse nemmeno del tutto auspicabile, insomma, che si tratta di un ragazzo oltremodo intelligente e sensibile, da “maneggiare” con cura.

Una vicenda singolare che li riguarda e riguarda, per combinazione, lo stesso Henry: durante la partita di ritorno della semifinale 2023 di Champions contro il Real Madrid, la camera è nei pressi della panchina di Guardiola che grida verso De Bruyne “pass the ball”. Il centrocampista, impegnato in un’azione vicino alla fascia laterale, risponde, senza mezzi termini, “shut up, shut up”. In seguito viene sostituito e i due si abbracciano a lungo. Sembra di percepire il sussurro di un “I’m sorry”, ma l’allenatore in conferenza stampa spegnerà il chiacchiericcio e preciserà che non è la prima volta che viene zittito dal suo campione e che è un bene che tiri fuori quello che sente, ché, quando lo fa, di solito dopo gioca meglio, con maggiore grinta. Che il rapporto tra i due sia articolato, profondo, lo suggeriscono la prossemica come pure le scelte comunicative. Pochi mesi fa, in una complicata partita ad Anflield, contro il Liverpool – è sempre complicato ad Anfield! – Pep decide di sostituire De Bruyne che bofonchia qualcosa di incomprensibile: forse è contrariato o chissà. Chi conosce un pochino l’allenatore catalano, probabilmente sarà rimasto stupito dalla scena che ne è seguita. Guardiola lascia la sua posizione abituale e si siede in panchina per pochi istanti, accanto al talento belga: gli espone le ragioni che lo hanno fatto optare per il cambio. Cenni d’intesa fra i due e un “I know” ripetuto da Kevin un paio di volte: la conferma che il caso è rientrato.

Alla fine del match contro il Real, Kevin De Bruyne si avvicina a Thierry Henry, oggi anche commentatore televisivo. Sembra provato e in effetti l’ex campione francese, senza scendere in particolari, rivela di un problema familiare occorso al centrocampista proprio nelle ore o al più nei giorni di quella sfida così importante. Magari questo chiarisce lo “shut up” e ancor di più il lungo abbraccio; magari spiega anche una partita giocata fino all’ultimo respiro, con un’intensità al limite del concepibile, nonostante un infortunio già in atto, lo stesso che lo ha poi fermato per gran parte della stagione del four in a row. Perché Kevin ha un sogno: vincere la coppa che gli è sfuggita di mano, proprio a vantaggio del Chelsea, due anni prima.

De Bruyne, nel 2021, negozia il rinnovo nel ManCity senza agente, usando come leva (e che leva!) le statistiche relative alle proprie prestazioni, elaborate da una società di big data: i numeri implacabili, che lo resero la quinta o sesta scelta di Mourinho, adesso sono la sua forza. O almeno uno dei suoi punti di forza: il suggello di ceralacca sopra la complessità dell’umano.

In nazionale, la sua maglia è la numero 7. Nel City indossa invece la 17. Gli hanno chiesto se ci fosse una ragione speciale – per Phil Foden, la 47 ha un significato affettivo profondo – e lui ha semplicemente risposto che, quando è arrivato a Manchester, erano disponibili soltanto le maglie numero 9 e numero 17. Non essendo un centravanti, tradizionale possessore delle 9, ha scelto la 17… i numeri, lo abbiamo detto, sono dalla sua parte, a dispetto delle sciocche superstizioni.

Ma oltre i numeri, c’è la gloria. Nel 2023, la coppa dalle grandi orecchie finalmente è sua, è loro: “seven years of fighting and now we have it, Kev”, gli bisbiglia a giochi fatti Pep Guardiola, commosso. “Now we can celebrate”, gli risponde il centrocampista, dopo aver esordito con un “thank you”, strozzato dall’emozione.

E se gli ottavi di finale, contro la Francia di Mbappé, agguantati non senza penare un bel po’, non dovessero portare al risultato sperato, di certo questo piccolo incidente di percorso non getterà alcuna ombra sulla grandezza di Kevin De Bruyne; il capitano timido che non canta l’inno, il leader fragile (l’aggettivo è tutt’altro che dispregiativo) che si prende, senza fiatare, i fischi dei suoi tifosi, nonostante, del Belgio di Domenico Tedesco, sia il perno, il cuore pulsante, il cervello motore.

Guardandolo giocare, è facile innamorarsi, ma è complicato stabilire il perché (che poi, se un perché ci fosse e fosse univoco, si tratterebbe proprio d’amore?): non è quella sorta di afflato eterno che sembra animare CR7 né la potenza agonistica da dio olimpico di Erling Haaland. No, per Kevin De Bruyne viene piuttosto da dire qualcosa che vale anche per el principito francese, Antoine Griezmann: “no es fácil de explicar, pero es algo muy, muy grande”.

Ti festeggiamo tutti, king Kevin, con l’auspicio di poter “ascoltare” il tuo talento ancora a lungo.

p.s.: De Bruyne rivela che tra i suoi film preferiti figura “Le ali della libertà”, di Frank Darabont. Per la curiosità più particolare però bisogna riferirsi al suo compagno di squadra e metronomo della nazionale portoghese, Bernardo Silva, il cui bulldog francese si chiama… John Stones!

BIO: ILARIA MAINARDI:

Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita. 

Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema. 

Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.

Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!

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