EURO’24 – PRE GARA – OTTAVI DI FINALE: FRANCIA – BELGIO

Complicatasi la vita a causa dell’inaspettato pari ottenuto contro la Polonia, già eliminata, nella terza e conclusiva gara di un girone eliminatorio oltremodo al di sotto delle aspettative (una vittoria e due pari il bilancio complessivo, con due sole marcature all’attivo peraltro frutto di un’autorete e di un calcio di rigore), la Francia di Deschamps, vice campione del mondo in carica e favorita assoluta alla vigilia per la conquista del titolo continentale, non solo ha complicato il proprio cammino consegnando alle proprie sorti il Belgio nell’odierno ottavo di finale ma, soprattutto, è stata costretta a traslocare, rispetto ad una preliminarmente facile supposizione, in quell’emisfero di tabellone in cui sono concentrate le principali candidate alla vittoria finale.

Un percorso sin qui deludente, costellato di difficoltà nell’espressione di un gioco riconoscibile ( probabilmente l’aspetto più sorprendente, visto che la quasi totalità dei calciatori che compongono la rosa alloggia in nazionale da diverso tempo, con chiari ed evidenti vantaggi in termini di conoscenza collettiva, al di là dell’indiscutibile qualità individuale), nell’incapacità di far valere il proprio straordinario peso specifico, nella mancata imposizione di quella personalità e di quella mentalità che avrebbero dovuto accompagnare e contraddistinguere da subito la selezione transalpina.

L’infortunio di Mbappè ( in ogni caso prontamente rientrato e ovviamente a disposizione contro De Bruyne e compagni ) ha minato maggiormente le certezze di un gruppo che ha avuto in Kantè, rispolverato dopo il trasferimento in Arabia Saudita, l’elemento migliore: Tchouameni, Camavinga, Fofana ed il giovanissimo talento del Paris-Saint-Germain Zaire-Emery non hanno potuto far altro che ammirare le gesta del connazionale, acquisendo un ruolo di subordinazione al suo cospetto.

Il solo Rabiot, ormai un senatore fra i “galletti”, gode della titolarità indiscussa nel reparto di centrocampo, con Griezmann, pedina fondamentale all’interno dello scacchiere tattico, a cucire il gioco sulla trequarti fungendo ora da centrocampista aggiunto, ora da attaccante, inserendosi intelligentemente negli spazi vorticosamente creati dal continuo movimento delle punte che, per caratteristiche, tendono a svariare perentoriamente sul fronte offensivo costringendo gli avversari ad avere difficoltà nell’individuazione territoriale del dirimpettaio da controllare.

Seppur le prestazioni individuali non hanno rivestito le diverse stelle della Francia di quella regalità presunta che dovrebbe rappresentare la discriminante decisiva in un torneo temporalmente limitato e che storicamente si fonda maggiormente sulla qualità individuale ( ancorchè, il calcio moderno insegna, e la Svizzera ne è un chiaro esempio, all’interno di un’organizzazione di gioco con conseguente formulazione di un’identità precisa che oramai anche in ambito di squadre nazionali assurge ad elemento decisivo e indiscutibilmente imprescindibile), la selezione dell’antica Gallia è da considerarsi naturalmente ancora sul podio delle favorite per alzare al cielo di Berlino il più importante trofeo continentale per squadre nazionali: a partire dalla fase ad eliminazione diretta tensione agonistica ed importanza della posta in palio tendono a far emergere esperienza collettiva e spessore individuale, in special modo all’interno di quelle squadre i cui elementi sono abitualmente chiamati nel corso della propria carriera ad affrontare sfide di livello assoluto.

Brillante o fioca, imponente o parzialmente deludente, la Francia non può non essere considerata la formazione migliore: è per questo che il Belgio, tra l’altro reduce da una qualificazione sofferta in un girone non particolarmente arduo (all’interno del quale ha raccolto gli stessi punti di tutte le altre avversarie, battendo la sola Romania, perdendo miseramente contro la Slovacchia e pareggiando al cospetto dell’ eliminata Ucraina), appare come la vittima sacrificale.

La generazione d’oro, che nulla è riuscita a collocare nella vuota bacheca federale, è ormai, per usare un eufemismo, un lontano ricordo, con il solo De Bruyne a recitare un ruolo da protagonista assoluto (giocatore totale per intelligenza, copertura territoriale, creazione di gioco, possesso e leadership): Lukaku continua a ridimensionare la propria incisività, seppur coadiuvato da esterni come Doku, Trossard e Lukebakio che sovente saltano l’uomo determinando situazioni di pericolo da tramutare in chiarissime occasioni da rete per il dimesso centravanti di proprietà del Chelsea, il centrocampo ha nel solo Tielemans un elemento di livello potenzialmente internazionale, la difesa poggia ancora sul vetusto Vertonghen.

Troppo poco per impensierire seriamente i vari Kounde, Upamecano, Saliba e Theo Hernandez, troppo poco per far fronte alle scorribande di Mbappè, Dembelè e Thuram.

Vero è che la Francia deve in ogni caso innalzare il livello della propria espressione collettiva per non incorrere in spiacevoli sorprese e per cementare la possibilità di fare la voce grossa nei turni successivi.

Vero è che Mbappè deve gridare all’Europa la propria forza vincendo la competizione per poter impensierire i futuri compagni di squadra Vinicius e Bellingham nella corsa al pallone d’oro: in un torneo in cui la qualità individuale scarseggia ad emergere, in cui ammirare giocate di rilievo, genialità istantanee, tocchi d’alta scuola e squisite soluzioni balistiche diventa sempre più raro, è indispensabile che i giocatori attualmente migliori ( distanti notevolmente dal divino livello assoluto dei decenni precedenti) rendano maggiormente godibili incontri sinora decisamente distanti dagli standard che competizioni del genere dovrebbero offrire. Francia e Belgio possono in alcuni elementi donare all’Europa quell’estro da ammirare per non suggerire che l’unico rifugio alla pochezza individuale contemporanea sia da bilanciare con la nostalgica immersione in filmati d’epoca.

BIO: ANDREA FIOREcon DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.

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