NON È UN PAESE PER MILANISTI

Ammettiamolo. Questa Nazionale non ci è stata simpatica dall’inizio. E – anche se sappiamo di toccare una materia incandescente – oggi non siamo disperati per l’eliminazione contro la Svizzera, un’eliminazione che se fosse arrivata contro la Croazia sarebbe stata del tutto fisiologica.

Si dice che davanti alla Nazionale bisogna dimenticare le appartenenze di club. Si dicono tante cose: se qualcuno ci riesce, bravo lui. Per me (e non credo di essere da solo) alcune emozioni accumulate nel corso del Campionato, dei Campionati, degli anni, non sono così facili da cancellare. Non sempre, almeno. In questo caso ci sono alcuni elementi oggettivi che ci hanno portato (quando dico “ci” intendo “a noi milanisti”) a prendere un po’ le distanze da questa selezione.

Il Milan, lo sappiamo, non ha molto da offrire alla Nazionale, almeno per il momento. Nella sua conferenza stampa Ibra ha citato Matteo Gabbia: vogliamo bene a Matteo come a un figlio, ne conosciamo l’applicazione e i clamorosi miglioramenti recenti, ma sappiamo benissimo che non avrebbe fatto la differenza. Fa rabbia, soprattutto pensando a quanti giocatori convocati sono usciti dal nostro settore giovanile: Donnarumma, poi Bellanova, Cristante e Darmian, ad esempio, ma anche il “convocabile” Locatelli.

Oggi il Milan è questo: ha in casa tantissimo talento a livello giovanile (non solo Camarda, non solo l’Under 17, vedrete), ma può offrire ben poco alla Nazionale maggiore. Razionalmente, quindi, non possiamo prendercela con nessuno (un po’ con Donnarumma, che se ne è andato veramente male, a differenza degli altri, ma è una questione chiusa, della quale non abbiamo più tanta voglia di parlare). Emotivamente, però, c’è qualcosa che non torna.

Innanzitutto questa sovrarappresentazione numerica e mediatica del “blocco Inter”, un’espressione ormai condannata a suscitare sarcasmo: abbiamo tutti in mente i titoli della Gazzetta dello sport (“InterNazionale”), la quale Gazzetta è anche “partner ufficiale” dell’Inter (ma non dovrebbe almeno fingere di essere imparziale?); ma anche alcune corrispondenze, alcuni post social di qualche giornalista che deve essersi fatto prendere la mano dallo “spirito di servizio”. Il Barella che “è un incrocio fra Modric e Kroos”, o “fra Pirlo e Gattuso” quando va male.

Il Frattesi strapagato (ma in mille comodissime rate) sempre in prima fila quando c’è da provocare, non altrettanto in campo. Il Dimarco cui il paragone con Theo Hernandez sembra addirittura andare stretto (ma anche il campo gli va stretto, visto come è comicamente uscito dal campo palla al piede). Ma non solo. Il Gianni Infantino (nientemeno che il presidente della FIFA, quello che dovrebbe essere l’uomo più imparziale del mondo) spesso in tribuna a tifare Inter. E ancora di più. Il Marotta, appena promosso presidente dell’Inter, forse in virtù dell’ottima gestione finanziaria, che frequenta il ritiro degli azzurri come fosse casa sua, va e viene senza fornire spiegazioni e poi si dilegua sabato sera. Non è un po’ troppo?

In ogni forma di organizzazione – dalla Confindustria alla NATO passando per il circolo del burraco – esistono la competizione, la politica, la diplomazia. Esiste il potere. Lo sappiamo. Ma quando il potere è così esibito, c’è qualcosa che non funziona. Non si tratta di avere costruito la Nazionale su un blocco di interisti: l’Inter è reduce dallo scudetto, potrebbe benissimo avere dei giocatori italiani di qualità. È il fuoco incrociato di media e istituzioni che dovrebbero essere neutrali (o, come il caso di Marotta, non essendo neutrali non dovrebbero invadere il terreno comune, sacro, della Nazionale) a configurare una specie di occupazione del calcio italiano da parte di una fazione sola. Con che risultato, poi? Non pesa tanto un’eliminazione agli ottavi contro un’avversaria solida non irresistibile (il “blocco Bologna”, potremmo dire per ridere un po’), ma quattro partite complessivamente disastrose, in due delle quali (Spagna e Svizzera) non abbiamo passato la metà campo e in un’altra delle quali (Croazia) ci è voluto un miracolo alla fine dell’ottavo minuto di recupero.

Non staremo qui a parlare di Luciano Spalletti: il tempo, o altri commentatori più tecnici, diranno se ha fatto quel che poteva o se ha aggiunto confusione (la difesa a tre, a quattro, a cinque, i “braccetti”, i mancini, e così via) a un materiale tecnico già molto mediocre. Di certo non ha aggiunto niente in termine di empatia, non è stato un buon comunicatore, non è andato al di là di un po’ di retorica senza mai indovinare un atteggiamento umano, caldo, naturale. Ha finito per prendersela a morte con un giornalista svizzero che ha fatto il paragone – piuttosto innocuo e casomai banale, ma non certo offensivo – fra la Ferrari e la Panda.

Non può stupire, allora, che questa Nazionale così sfacciatamente marchiata non possa essere di tutti. Che, meglio, non abbia voluto essere di tutti. Se fai una pernacchia mentre passi in macchina (come nella celebre scena de “I vitelloni” in cui Alberto Sordi grida “Lavoratoriii!”), devi sapere che quando la macchina si fermerà, i lavoratori – in questo caso i “Casciavit”, che siamo noi – non verranno a ringraziarti.

P.s.: i più arrabbiati, sui social, sono gli juventini, che hanno prodotto un milione di card con i risultati del “blocco Juve” contrapposti a quelli del “blocco Inter”, risalendo addirittura a Calciopoli, al 2006, alla distruzione sistematica di una società ad opera del potere (anche allora nerazzurro). Sarà: ma ricordo sommessamente che Marotta è una loro invenzione.

BIO: Luca Villani è nato a Milano il 31 gennaio 1965. Giornalista professionista, oggi si occupa di comunicazione aziendale e insegna all’Università del Piemonte Orientale. Tifoso milanista da sempre, ha sviluppato negli anni una inspiegabile passione per il calcio giovanile e in particolare per la Primavera rossonera. Una volta Kakà lo ha citato in un suo post su Instagram e da quel momento non è più lo stesso.

4 Responses

  1. Buongiorno Luca, il potere di Marotta e diventato pericolosamente sfacciato. In aggiunta: il servilismo dell Gazzetta dello sport, il capo procuratore Viola che presentando il modello 45 ( te pareva ) annulla di fatto tutto. Sappiamo della massoneria nerazzurra in ogni luogo a Milano. Come fermare tutto questo? Credo che i giornalisti dovrebbero cominciare a porre domande scomode ai soggetti in questione, così da stuzzicare l’opinione pubblica. Certo una goccia nel mare. Altrimenti non saprei.
    Saluti
    Massimiliano Cesarino

  2. Buongiorno Luca
    Se pensi il potere che hanno a Milano, a partire dal sindaco, che non vede l’ora di regalargli San Siro, temo che le nostre rimostranze le faranno passare per lamenti di rosiconi
    Forza Milan ❤️🖤

  3. Ottimo pezzo, colgo l’occasione per ringraziare sia l’autore che il Maestro Filippo Galli per l’eccellente servizio editoriale reso con questo sito

  4. Complimenti. “Poche” parole ma giuste, chiare, piene di significato. Tutto condivisibile.
    Faccio una domanda che non vuole essere provocatoria ma solo per aprire un dibattito e/o eventualmente regalarci un altro ottimo articolo: negli anni d’oro di Silvio com’erano le cose?
    Sono nato nello stesso anno in cui è nato il Milan di Silvio ma, probabilmente per mancanze mie anche legate all’età, non ho mai saputo/voluto valutare quel Milan in modo obiettivo. Saluti

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