COMUNARDO NICCOLAI: MOLTO PIÙ CHE UN AUTOGOL

Bel goal”.

Con questa espressione di (sincera) ammirazione, scandita tra una boccata di sigaretta e l’altra, Manlio Scopigno commenta uno dei gesti tecnici più belli del campionato, posto in essere da uno dei suoi ragazzi il 15 marzo 1970 al Comunale di Torino.

Si sta giocando Juventus-Cagliari e il mister dei sardi, seduto in panchina, è consapevole di come la trasferta in terra sabauda rappresenti uno degli ultimi ostacoli sulla strada che di lì a poco porterà al meritatissimo tricolore.

Il problema, e non da poco, è che quel meraviglioso colpo di testa su cross dello juventino Furino è finito in fondo alla porta cagliaritana.

A scaraventarlo nella (propria) rete con eleganza e precisione è stato uno dei pupilli del mister: Comunardo Niccolai, difensore centrale di professione ed “(auto)goleador” secondo l’immaginario collettivo.

Sono molti gli esempi di sportivi, ricordati per gesti isolati rispetto al loro contesto, divenuti oggetto di luoghi comuni.

Da Arturio Merzario, pilota di formula uno negli anni 70 che, a fronte di 85 gran premi corsi, viene menzionato solo per avere estratto Lauda dalla fiamme il 1 agosto 1976 al Nurburgring, a Felice Gimondi, meraviglioso ciclista definito “eterno secondo” in spregio a 140 vittorie tra cui campionato del mondo, Parigi-Robuaix, Tour, Giro e Vuelta.

Da Marco Nappi, attaccante di Genoa, Fiorentina, Udienese e Spal tra le tante, che, nonostante quasi 500 gare da professionista ed un discreto numero di reti, viene ricordato per il numero della foca durante Fiorentina-Werder Brema (semifinale di Coppa Uefa 1989-90) a Mimmo Di Carlo il quale, al cospetto di una più che discreta carriera da calciatore e una comunque onerevole da allenatore, viene solitamente citato come colui che ricevette un calcio nel sedere da un collega durante una gara del massimo campionato.

Comunardo Niccolai, che ci ha lasciato all’età di 77 anni, appartiene a questa categoria.

Indebitamente definito Re dell’autorete, è stato un grande protagonista del Cagliari scudettato nonché un uomo di calcio a 360 gradi anche nel post carriera.

Nell’immaginario collettivo creatosi a seguito di leggendarie cronache degli anni 70, la parola Niccolai equivale ad autogoal anche se la propria porta il nostro l’ha gonfiata in sei occasioni, due in meno di Riccardo Ferri e Franco Baresi che detengono il primato di questa particolare graduatoria con 8 autoreti a testa.

Ciò che ha reso leggendarie le autoreti di Niccolai non è stato il numero ma la “qualità” delle suddette, quasi sempre caratterizzate da interventi puliti ed elaganti, oltre all’importanza delle partite in cui le metteva a segno.

Di reti, in realtà, ne ha realizzate anche nella porta giusta.

Quattro per l’esattezza tra cui una, tuttora ricordata dagli esteti del calcio, contro la Fiorentina che schierava Enrico Albertosi, portiere che l’anno succesivo si sarebbe accasato al Cagliari per farsi “uccellare”, oltre che dagli avversari,  dal proprio stopper.

Come anticipato, Comunardo Niccolai è stato molto di più delle autoreti per cui viene ricordato.

Originario della provincia di Livorno e cresciuto calcisticamente a Montecatini, ha dedicato la maggior parte della sua carriera al Cagliari con cui ha vinto lo scudetto nel 1970.

Era una grande squadra quella allenata da Scopigno.

Talmente grande da vedere sei elementi convocati per il mondiale messicano del 1970.

Tra questi anche Niccolai che, val la pena di ricordarlo ai troppi che se ne dimenticano, nella gara d’esordio contro la Svezia è titolare a fianco di Cera e davanti ad Albertosi in un terzetto cagliaritano rodato, ben amalgamato e sicuro.

La sorte vuole che lo stopper scudettato si infortuni al 37′ lasciando il posto a Roberto Rosato che, da lì in poi, gli subentrerà in pianta stabile ed eleverà il suo rendimento sino a prendersi il proscenio con una serie di interventi volanti nella sfida con i tedeschi.

Conclusa l’avventura messicana, la carriera di Niccolai prosegue per molti anni ancora al Cagliari

Assaporerà il gusto di giocare in Coppa Campioni e starà vicino all’amico di sempre, Gigi Riva, durante gli inforunti che negli anni 70 ne limiteranno lo strapotere atletico.

Con la nazionale, invece, non vi sarà seguito.

La generazione degli stopper dall’imponente fisicità è oramai sul punto di emergere e  con la crescita di Bellugi e Morini non ci sarà più posto in azzurro per lui.

Saranno dodici le stagioni con la maglia cagliaritana, inframezzate dall’esperienza negli Stati Uniti a Chicago, presso cui si trasferisce nell’estate del 1967 con tutti i suoi compagni di squadra.

Quando chiedevano se non gli pesasse la fama di Re dell’autorete rispondeva con il sorriso: “ lo scudetto lo vincono in tanti, autorete come le mie la san fare in pochi”.

Appesi gli scarpini al chiodo, intraprende una lunga carriera da tecnico federale con un biennio alla guida della nazionale femminile.

Il suo approccio, competente e sempre in aggiornamento, non passa inosservato durante gli anni in FIGC.

L’episodio più anomalo, e per certi versi più simpatico, nella carriera di Niccolai non si riferisce tuttavia ad un’autorete ma a qualcosa, se possibile, di ancor più surreale.

Durante gli ultimi minuti di un Catanzaro-Cagliari con gli ospiti in vantaggio 2-1 in un catino che ribolle di tifo catanzarese, dopo un presunto contatto in area, l’intero stadio chiede a gran voce il rigore in un sussegursi di imprecazioni, urla e fischi.

Comunardo scambia uno di questi fischi per quello arbitrale e, nella convinzione che l’arbitro abbia fischiato un rigore a suo dire inesistente, scaraventa (stavolta volutamente) la palla verso la propria porta.

Il malcapitato Bruniera, mediano di professione, si improvvisa portiere per evitare il 2-2 con il direttore di gara che altro non può fare se non (stavolta si) decretare il tiro dagli undici metri.

Dal dischetto il giallorsso Spelta sigla il 2-2.

Nessuno è in grado di sapere cos’abbia detto Scopigno.

Probabile abbia ripreso Niccolai per non aver angolato abbastanza il tiro…

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

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