IL PARADOSSO DEI CT: SPALLETTI E CALZONA

Luciano Spalletti e Francesco Calzona sono entrambi usciti agli ottavi di finale di Euro 2020, ma il loro percorso è stato totalmente diverso, così come il giudizio tracciabile. Hanno avuto un ruolo preponderante le circostanze contingenti. Il contingentismo è una filosofia risalente a due secoli fa che negava il carattere di assoluta necessità delle leggi naturali, affermando conseguentemente la contingenza delle varie forme di realtà.

Ne consegue che gli eventi, nello specifico quelli calcistici si muovono seguendo traiettorie imprevedibili, non definite, bensì libere. Si dice che il calcio non sia una scienza esatta, nel senso che non sottostà a fenomeni meccanicistici. Possiamo definirlo un continuum di causa ed effetto, basato su contingenze derivanti da eventi a loro volta frutto di cause ed effetti.

Nel caso de quo, Spalletti a Napoli ha dominato un campionato portando uno scudetto che mancava dalla notte dei tempi, mentre Calzona ha ottenuto una media punti da ultimi posti. Al contrario, in Nazionale Spalletti è uscito malamente agli ottavi contro una nazionale inferiore come valori mentre Calzona è arrivato a pochi secondi dall’eliminare la favoritissima Inghilterra. I ditirambi di cui è stato fatto oggetto Spalletti lo scorso anno sono stati seguiti da lanci di pomodori (per adesso allegorici) a seguito di questa goffa eliminazione contro la Svizzera. I miei occhi disincantati prefiguravano un’uscita non appena saputo dell’abbinamento contro la nazionale elvetica.

La situazione paradossale verificatasi è in parte frutto delle diverse abilità dei due CT. Spalletti è il classico allenatore da campo. Calzona è un assistente tattico nonché un uomo particolarmente abile a indossare i panni del CT. La giacca indossata da Spalletti, con quell’improbabile scritta “Italia” sul retro, sembra metaforica del fatto che il ruolo da CT non gli calza (ancora) a pennello. Il tecnico calabrese si è invece calato immediatamente nella parte, portando la Slovacchia agli Europei in un girone non semplicissimo, battendo poi il Belgio nel suo raggruppamento a Euro 2024 e sfiorando l’impresa contro la nazionale dei Tre Leoni.

Ad ogni modo, ciò non si può ridurre alle semplici attitudini dei due allenatori. D’altronde è impossibile valutare un tecnico per valori assoluti. Decisamente più facile parametrare le qualità di un determinato calciatore. Allenatori e CT sono soggetti in larga misura a contesti e contingenze. Non che gli stessi calciatori non lo siano, ma il rapporto sarà di 5:1. Proprio per questi motivi è impossibile definire in che percentuale conta un allenatore. Se intervistassimo dieci tecnici ed ex calciatori riceveremmo svariate risposte diverse. Tecnica e tattica diventano crudeli astrazioni. Subentra inoltre l’aspetto legato alla preparazione fisica. Quando quest’ultima viene “toppata”, come nel caso degli Azzurri, si accumula fatica in mal irrorati muscoli e, stante un’applicazione non ottimale del gruppo, per usare un eufemismo, la squadra si disperde e scioglie come neve al sole.

Troppo spesso viene fatta passare l’idea secondo cui un portiere debba principalmente parare, un attaccante debba principalmente saper segnare e un allenatore debba saper principalmente far giocare bene la squadra. Iperbolizzando, si può invece affermare che ciascuna di queste tre figure debba avere mille e una abilità. A seconda del contesto, un’abilità, più spiccata, può emergere in positivo e un’altra, più deficitaria, può emergere in negativo. Per quanto riguarda gli allenatori, bisognerebbe parlare di adattabilità. Un maestro in tal senso è Carlo Ancelotti, eppure nella sua carriera va evidenziato il neo dell’avventura partenopea. Fino a che punto un tecnico è disposto a scendere a compromessi? Ancelotti sarà più flessibile della media ma anche lui ha fissato una soglia. Tecnici come Guardiola sono decisamente più rigidi. I trionfi e i fallimenti del tecnico del City risiedono nella sua rigidezza, croce (in piccola parte) e delizia (perlopiù).

Si parva licet componere magnis, sono ravvisabili diverse similitudini con l’avventura di Arrigo Sacchi in Nazionale. Pur ritenendo il tecnico di Fusignano un personaggio che ha segnato un’epoca, l’atteggiamento da piaggiatore non appartiene al sottoscritto. A USA ’94, visto il girone passato al cardiopalma, l’allora CT ammise errori ergogenici e legati alla sua voglia quasi ossessiva di rivoltare come un calzino la mentalità della nazionale. Sacchi si propose l’ambizioso obiettivo di superare il calcio all’italiana, puntando su pressing, ritmo e possesso palla. Potendo contare su una rosa di altra galassia rispetto a quella dell’Italia attuale, a un certo punto l’Arrigo nazionale prese atto che il lavoro del CT era diverso da quello da allenatore da club. L’etnos italiano era troppo marcato per poter essere stravolto. Contravvenendo ai suoi principi, l’ex tecnico del Milan cambiò registro e ne beneficiò tutta la nazionale a USA ’94. La campagna di Euro ’96, con Sacchi tornato a sperimentare e a puntare a gestire la nazionale in maniera simile a un club, ha invece segnato il de profundis della sua pur leggendaria e rivoluzionaria carriera.

Luciano Spalletti è un tecnico flessibile dal punto di vista tattico mentre è più intransigente a livello di gestione del gruppo. Quando è stato seguito ha fatto benone. Quando è venuto meno qualche elemento del gruppo è invece andato incontro a situazioni meno fortunate. Con la nazionale italiana non si è (ancora) creata quell’alchimia. In un contesto diverso da quello italico un tecnico o CT neo-insediato ha il tempo necessario per sperimentare, per i primi fallimenti, per provare e trovare il giusto assetto. Questa mentalità non appartiene invece al Belpaese. Le critiche da muovere al CT azzurro sono sacrosante, anche circa un’ars oratoria esteticamente inappuntabile ma stucchevole e criptica, nonché fuori contesto. Non essendoci fenomeni in giro né tra gli allenatori “disoccupati” né tra i calciatori lasciati a casa, il buon senso direbbe di continuare con il mister di Certaldo. Un processo di crescita può prevedere anche di azzerare tutto, fare tabula rasa, ricostruire dalle fondamenta, ma con lo stesso architetto.

Contingenze positive quelle di cui ha beneficiato invece Francesco Calzona. L’ex assistente di Sarri e dello stesso Spalletti ha edificato egli stesso la propria comfort zone. La Slovacchia sta attraversando un momento storico in ambito calcistico diametralmente opposto rispetto a quello italiano. La nazione dell’ex Cecoslovacchia è probabilmente nel suo apogeo. Uno dei compiti principali del CT è quello di fare leva sullo zoccolo duro, sui capisaldi, su coloro che si ergono rispetto alla media. I calciatori di livello internazionale sono Hancko, Skriniar e Lobotka, tutti e tre grandi protagonisti nelle gare di questa competizione. Il collettivo viene edificato su questi leader, all’insegna dell’uno per tutti e tutti per uno. Calzona è stato un ottimo cuoco che ha sfruttato gli ingredienti migliori e valorizzando anche quelli di contorno. Aveva a disposizione tuttavia un ottimo forno, utensili nuovi e assistenti affiatati. Al contrario, la qualità degli ingredienti a disposizione di Spalletti era anche migliore ma sono mancati forno di qualità, affiatamento con l’aiuto chef e altri collaboratori (pensiamo al preparatore atletico) nonché pulizia e ordine nella cucina.

Metafora applicabile alle diverse situazioni vissute in campionato. Il Napoli di Spalletti ha reso al meglio proprio perché le contingenze hanno fatto sì che le virtù del tecnico toscano venissero valorizzate. Calzona è arrivato invece in un contesto proibitivo a Napoli. In concomitanza con ogni sconquasso, la sua squadra dissolveva la poca adrenalina rimasta. Quello slancio virile della stagione precedente era oramai un ricordo sbiadito. Le contingenze favorevoli dell’anno passato erano diventate nefaste l’anno successivo. La casualità degli eventi è relativamente ridotta. Si deve parlare, piuttosto, di causalità. Il calcio è frutto del famoso rapporto di cause ed effetti, che non segue tuttavia una traiettoria lineare. E tocca a noi, nello specifico a tecnici e federazione, modificare il corso degli eventi nella porzione di nostra competenza. Occorre sovvertire gli status quo e rifuggire da questo atteggiamento gattopardiano dei nostri vertici imboccando invece la strada della proattività.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

2 Responses

  1. Articolo interessantissimo, dal contenuto più che condivisibile. Analisi tecnica di alto profilo, argomentata in maniera colta ma estremamente chiara.
    Complimenti all’autore: raro esempio di giornalismo di qualità.

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