Siamo nel 1986. La Jugoslavia è ancora unita ma i primi segnali di quello che accadrà da lì ad un pugno di anni ci sono già tutti e sono inequivocabili.
In Kosovo si susseguono le manifestazioni per chiedere l’indipendenza.
In una di queste viene arrestato uno studente di ventuno anni.
Finisce in carcere.
Fuori, ad aspettarlo, c’è la sua fidanzata con la quale ha già fatto progetti per una vita insieme.
… vita insieme che dovrà aspettare quasi quattro anni, tanti saranno gli anni di prigionia del suo uomo.
Le cose nel frattempo stanno precipitando.
Quando il ragazzo, ormai diventato uomo, esce dal carcere la situazione è degenerata ma il suo nome è sul taccuino delle autorità.
Uno dei “rivoltosi” da tenere monitorato e vigilato.
Il Kosovo non è più il posto dove costruire una famiglia.
I due giovani sposi fuggono in Svizzera all’inizio del 1991, giusto in tempo per evitare l’inasprirsi di quel terribile conflitto.
Un anno e mezzo dopo, esattamente il 27 settembre del 1992 daranno alla luce il loro secondo figlio.
Si chiama Granit e di cognome fa Xhaka.
Oggi di mestiere fa il calciatore professionista nelle file del Bayer Leverkusen campione di Germania.
E’ il 27 ottobre del 2019.
L’Arsenal sta giocando in casa all’Emirates uno dei tanti derby londinesi.
Di fronte c’è il Crystal Palace di Roy Hogdson.
La partenza dei “Gunners” è eccellente. Dopo meno di dieci minuti gli uomini di Unai Emery sono in vantaggio per due reti a zero, merito del greco Sokratis e del brasiliano David Luiz.
Sembra tutto facile per Aubameyang e compagni.
Invece il Crystal Palace reagisce.
Prima accorcia le distanze con un calcio di rigore trasformato dal serbo Luka Milivojevic e poi, in avvio di ripresa, arriva il pareggio di Jordan Ayew, il centravanti ghanese del Palace.
Unai Emery tenta di riprendersi la partita.
Toglie Granit Xhaka, un centrocampista, per inserire un esterno d’attacco come il giovanissimo Bukayo Saka.
Granit Xhaka non ha ancora iniziato il suo cammino verso bordo campo che viene letteralmente travolto da una marea di fischi, urla e insulti.
C’è un gruppo particolarmente astioso posizionato proprio all’entrata del terreno di gioco.
E davanti a loro che Xhaka deve passare per tornare negli spogliatoi.
Gli gridano di tutto, con una rabbia e un livore visti raramente in quello stadio.
«Mentre uscivo li guardavo dritti in faccia. Non era solo il fatto che non gli piacevo e che non mi apprezzavano come calciatore. Nei loro occhi c’era odio puro.
Non esagero. Purtroppo so come riconoscere l’odio»
Xhaka si porta una mano all’orecchio.
Li sfida, risponde anche agli insulti.
Poi fa qualcos’altro.
Si toglie la fascia da capitano e la getta a terra con rabbia.
Si, perché Granit Xhaka è il capitano dell’Arsenal.
E’ la fine della corsa.
Non può più giocare per questa gente, per dei “tifosi” così.
Non dopo aver subito questo … e non dopo una reazione così.
Suo padre Ragip è stato in prigione.
Ha lottato per quello in cui credeva e gli è costato caro.
Durante tutta la carriera di Xhaka, nei tanti momenti difficili attraversati dal figlio, gli ha sempre dato un consiglio, uno solo: «Non mollare figliolo. Non bisogna mai scappare davanti alle difficoltà. E’ facile aprire una porta, andarsene e lasciarsi tutto alle spalle. Il difficile è rimanere, lavorare ancora più duramente per arrivare ai tuoi obiettivi. Questo è difficile.»
Suo padre quel giorno è allo stadio.
Ha visto e sentito tutto.
Quando arrivano a casa affronta Granit.
«Questo è troppo. E’ ora di andarsene da qui figliolo.»
Il giorno dopo Granit Xhaka avrebbe dovuto discutere il rinnovo di contratto con l’Arsenal.
Era arrivato tre anni prima dal Borussia Monchengladbach per la bella cifra di 30 milioni di sterline.
Ora invece è fuori rosa e ovviamente gli è stata tolta la fascia di capitano.
E’ arrivato il momento di cercare una nuova squadra.
Granit ha trovato la squadra. Le valigie sono pronte e all’apertura del mercato a gennaio il nazionale svizzero è pronto per una nuova avventura.
Pare ci sia già l’accordo tra l’Arsenal e il nuovo club.
Poi però accade qualcosa.
E’ il 20 dicembre del 2019.
L’Arsenal Football Club ha un nuovo allenatore.
Si chiama Mikel Arteta, è basco e ha giocato per i Gunners oltre centocinquanta partite chiudendo proprio all’Emirates la sua carriera di calciatore solo tre anni prima.
Una delle prime cose che Arteta chiede alla dirigenza è di parlare con Xhaka.
Gli chiede di aspettare a mettere quella firma sul nuovo contratto.
«Facciamo due chiacchiere Granit. Se poi quello che ti dirò non ti piacerà lascia almeno che io possa augurarti buona fortuna.»
Quello che Arteta dirà in quel colloquio piacerà parecchio a Granit Xhaka.
A tal punto che arrivato a casa annuncerà che «Possiamo disfare la valigie. Si resta a Londra»
Il resto è storia recente.
Granit Xhaka è un pilastro fondamentale di quell’Arsenal che Arteta ha piano piano costruito e modellato e che in questa stagione sta finalmente tornando ai vertici del calcio inglese.
Granit Xhaka è il leader riconosciuto della squadra. In campo non si nasconde mai. Lotta, corre, conquista palloni su palloni e li distribuisce con criterio e precisione. E fa pure qualche gol!
Troppi cartellini? E’ il suo modo di giocare da sempre.
«E’ la mia natura. Se cambiassi non sarei più io. E se Mikel è contento beh … lo sono anch’io!»
Infine le parole del “Mister”, Mikel Arteta.
«Abbiamo dei giovani di grande talento, con qualità, tecnica e stile. Saka, Martinelli, Ødegaard, Jesus, Viera, Smith Rowe … meravigliosi calciatori che sanno usare stupendamente il fioretto.
Ma in mezzo a tanti “fioretti” ci vuole anche una spada.
La nostra “spada” si chiama Granti Xhaka».
Poi arriva il momento dell’addio dai Gunners londinesi. Qualcuno pensa che ormai il meglio Granit lo abbia dato. Anche se ha solo 31 anni, anche se è il leader di questo Arsenal … anche se i giovani guardano a lui come figura di riferimento.
Ma c’è un altro basco, grande amico di Mikel Arteta fin da ragazzo, che sa quello che Xhaka può dare ad una squadra.
Si chiama Xabi Alonso e di centrocampisti con cuore e cervello se ne intende. Lo mette al centro del progetto del suo Bayer Leverkusen. Non ha problemi a far sborsare al club 25 milioni di euro.
I risultati sono quelli che conosciamo tutti. Il Bayer Leverkusen conquista il titolo della Bundesliga, giocando un calcio sublime.
Granit Xhaka con la maglia del Leverkusen – (foto Sky sport)
E in cabina di regia c’è lui, il ragazzo nato in Svizzera da genitori fuggiti in tempo da un Kosovo dove crescere dei figli stava diventando troppo pericoloso.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Nelle giovanili del Basilea, almeno fino al 14mo anno di età, nessuno credeva realmente in Granit. Era il fratello Taulant ad attirare tutte le attenzioni con la sua tecnica e la sua personalità.
«E’ troppo magro e piccolino. Non potrà mai essere un calciatore di buon livello»
Questo è quanto si sente dire Granit per buona parte della sua infanzia.
A quindici arriva la rottura del crociato.
Otto mesi fuori. Quando torna è un disastro assoluto.
«Avevo paura negli scontri, avevo paura degli avversari, avevo paura di farmi male ancora. Avevo iniziato un corso di computer per prepararmi alla vita “vera” quella fuori da un campo di calcio» è il ricordo di Granit di quel periodo.
Poi arriva la svolta durante un match con gli allievi del Basilea. C’è una palla esattamente a metà con un avversario. Quelle che un centrocampista deve conquistare il più spesso possibile e che spesso fanno la differenza.
«Nella mia testa è scattato qualcosa. Del tipo “o la va’ o la spacca” però non posso continuare con questa paura».
Granit vincerà quel tackle, il ginocchio terrà.
Meno di due anni dopo giocherà nella nazionale Under-17 svizzera che vincerà i mondiali di categoria.
La prima grande svolta nella carriera di Granit Xhaka arriva nel 2009.
Si giocano i Mondiali Under-17 in Nigeria.
La Svizzera, sorprendendo tutti i pronostici, vincerà quella edizione battendo in finale proprio i padroni di casa della Nigeria per una rete a zero.
Davanti a 60 mila spettatori a sostenere la squadra di casa la grinta e la compostezza di Xhaka colpisce tutti gli osservatori presenti.
Nel maggio del 2012 arriva il passaggio dal “suo” Basilea (club nel quale milita da quando aveva dieci anni) al Borussia Monchengladbach.
L’inizio non è facile e ci sono anche lunghi periodi in panchina che il focoso Granit fa fatica ad accettare a tal punto da arrivare a cercare una nuova destinazione.
Granit “tiene botta” e nella stagione 2014-2015 arriva finalmente la consacrazione. Non solo gioca tutte le partite in campionato ma a fine stagione viene inserito nella “top 11” della Bundesliga.
I problemi disciplinari però non accennano a diminuire.
Il 20 dicembre di quel 2015 riceve il suo quarto cartellino rosso in meno di cento partite con il Club. Deciderà di auto-multarsi offrendo circa 20 mila euro in beneficienza.
Nel 2018 Granit Xhaka viene convocato dall’allenatore della Svizzera Vladimir Petković per i Mondiali che si giocheranno in Russia.
Anche qui il buon Granit non riuscirà a restare fuori dai guai.
Durante il match con la Serbia infatti dopo essere stato lui stesso a pareggiare con un gran tiro da fuori area il gol di Aleksandar Mitrović proprio allo scadere arriva il gol della vittoria del compagno di squadra Xherdan Shaqiri. I due, entrambi di origine Kossovara, decidono di festeggiare il gol con il “gesto dell’aquila” per ricordare l’aquila a due teste presente nella bandiera dell’Albania.
… se la caveranno con una multa di 10 mila franchi svizzeri a testa …
Infine il commento su quanto accaduto quel giorno contro il Crystal Palace, in linea perfetta con l’uomo Granit Xhaka.
«Ho sbagliato quel giorno? Certo che ho sbagliato. Ho fatto una cosa che non dovevo fare. Ma non chiedetemi cosa farei se dovessi ricapitare esattamente lo stesso … perché onestamente non ne ho proprio idea!»
La Svizzera. “Stiamo diventando una realtà con cui tutti hanno già iniziato a fare i conti. Molti di noi vengono da posti diversi, da situazioni quasi sempre difficili … ma quando siamo insieme in Nazionale siamo uniti come pochi. Siamo riconoscenti a questo Paese e faremo di tutto per dimostrarlo. Ad iniziare dai prossimi campionati europei”.
BIO: Remo Gandolfi e’ nato e vive a Parma. Ha gia’ 9 libri all’attivo. Dopo “Matti miti e meteore del calcio dell’est” che aveva fatto seguito al precedente libro di gran successo intitolato “Matti, miti e meteore del futbol sudamericano”, Remo, in collaborazione con Cristiano Prati, figlio dell’indimenticato campione, ha scritto, pubblicato da Urbone Publishing: “PIERINO PRATI – Ero Pierino la Peste” .
Ha una rubrica fissa sul popolare Calciomercato.com (“Maledetti calciatori”) e con gli amici di sempre gestisce un blog www.ilnostrocalcio.it . Quanto all’amato pallone, e’ profondamente convinto che la “bellezza” e “il percorso” contino infinitamente di piu’ del risultato finale.
Una risposta
Questo e’ quello che regala il calcio. Non solo calciatori ma uomini soptratutto con la U maiusola. Grazie Remo come al solito . Quello che hai raccontato e’ poesia