Pepe è il custode di un’eredità, l’ultimo baluardo di un’epoca in cui difendere era un’arte e una missione
Nell’affascinante e turbolento mondo del calcio, poche storie sono tanto romanzesche quanto quella di Képler Laveran Lima Ferreira, meglio conosciuto come Pepe. Nato a Maceió, città del nord-est brasiliano, Pepe è un figlio del miscuglio etnico che caratterizza il Brasile, di quella miscegenazione che fonde in sé elementi europei, africani e indigeni. Questo caleidoscopio di radici ha forgiato un difensore feroce e determinato, capace di affrontare ogni sfida con un ardore che rasenta l’epico.
La storia di Pepe inizia tra le strade polverose di Maceió, dove il calcio non è solo uno sport, ma una via di fuga e un sogno collettivo. Sin da giovane, il suo talento grezzo e la sua determinazione lo distinguono tra i coetanei. A 18 anni, con il coraggio di chi è consapevole delle proprie capacità, lascia il Brasile e si imbarca verso l’ignoto, destinazione Portogallo. Un viaggio non solo fisico, ma esistenziale, in cui un giovane pieno di speranze e paure si trasforma in un guerriero dei campi da gioco europei. La sua storia è nota: approdato in Portogallo, Pepe ha pochi spiccioli in tasca e deve scegliere se chiamare la madre o mangiare qualcosa. La mamma è sempre la mamma. Si avvicina discretamente verso un dipendente di un fast food, spiegandogli la situazione. Quest’ultimo lo prega di attendere e gli offre la cena.
Arrivato in Portogallo, Pepe inizia la sua carriera nel Marítimo, un piccolo club dell’isola di Madeira, la celebre “Isola dei fiori”. Lontano dalle luci della ribalta, lavora sodo, affinando le sue abilità e adattandosi a un nuovo stile di vita e di gioco. La sua tenacia e il suo spirito indomito non passano inosservati, e ben presto viene notato dal Porto, una delle “tre grandi” calcio portoghese. Qui, sotto la guida di allenatori esperti, Pepe si trasforma da promettente talento a pilastro difensivo, capace di guidare la retroguardia con autorità e carisma.
Il passo successivo è il Real Madrid, dove Pepe si consacra come uno dei migliori difensori al mondo. La sua aggressività e la sua determinazione lo rendono un avversario temibile, un osso durissimo per qualsiasi attaccante. E la Liga di quell’epoca pullulava di fuoriclasse. Ma Pepe non è solo forza bruta; è anche intelligenza tattica, capacità di leggere il gioco e di anticipare le mosse degli avversari. In Spagna, il guerriero brasiliano diventa un simbolo di resilienza e professionalità.
Tuttavia, è con la maglia del Portogallo che Pepe trova la sua consacrazione definitiva. Naturalizzato portoghese, difende i colori della sua patria adottiva con la stessa passione che ha messo nel suo viaggio iniziale. Euro 2016 segna il suo apice: con prestazioni monumentali, guida il Portogallo alla vittoria, dimostrando che il suo cuore batte forte per i lusitani. Pepe ha 33 anni e viene liquidato come calciatore all’ultima danza, che avrebbe lasciato spazio definitivamente ai giovani. A distanza di otto anni, il centrale brasiliano è invece una colonna della nazionale di Roberto Martinez.
L’epica prestazione contro la Francia
La gara tra Francia e Portogallo ha avuto luogo in una di quelle sere in cui il calcio si trasforma in poesia. Pepe, veterano di mille battaglie, sembrava incarnare il poeta guerriero di un’epoca ormai lontana. Il tempo avrà forse appesantito le sue gambe, ma non ha intaccato la sua determinazione e la sua intelligenza calcistica. Mentre il pubblico tratteneva il fiato, Thuram, con la rapidità di un fulmine, si era lanciato sulla fascia destra, pronto a far esplodere la sua energia giovanile contro la difesa portoghese. A tenergli testa non è stato Ruben Dias, praticamente coetaneo dell’attaccante dell’Inter, ma l’arzillo 41enne con 20 anni di onorata carriera. Pepe, con la saggezza e l’ardore di chi ha vissuto ogni sorta di battaglia, si è messo in moto. Il suo corpo, segnato dagli anni e dalle fatiche, ha sembrato riacquistare la leggerezza di un tempo. Non era solo un inseguimento: era una sfida contro il tempo stesso, una caccia alla preda, la palla, tra il vecchio leone e il giovane e bramoso predatore.
Il pubblico ha osservato incredulo, come se stesse assistendo a un miracolo sportivo. Thuram, che contava sulla sua velocità per sbaragliare ogni difensore, ha iniziato a sentire il fiato sul collo, nonostante avesse guadagnato metri sul primo scatto. La presenza di Pepe è diventata tuttavia un’ombra incombente. Un monito che l’esperienza e il cuore potevano ancora prevalere sulla giovinezza e l’energia. E poi, l’apoteosi. Con un tackle pulito e perfetto, in recupero, Pepe ha strappato il pallone dai piedi di Thuram, concedendo un semplice angolo, come un maestro che ruba il pennello a un apprendista. La pura essenza del calcio difensivo, l’arte di chi ha trasformato il mestiere del difensore in una missione di vita. La sfortunata sconfitta ai rigori, che ha di fatto segnato la fine della sua avventura agli Europei, privandolo del sogno di rivincere la competizione, non intacca in nessun modo la sua prestazione leggendaria.
Pepe, con i suoi 41 anni, ha dimostrato che il calcio non è solo questione di età o di gambe fresche, ma di cuore, coraggio e intelligenza. Ha riscritto un capitolo della sua leggenda personale, un’epica che continuerà a ispirare generazioni di calciatori. L’ennesima rivincita di un calciatore troppo spesso bollato come “cattivo”, e definito esclusivamente tale, dai cronisti eccessivamente catoniani. In un calcio moderno che spesso sembra più attento alla spettacolarità che alla sostanza, è facile cadere nella tentazione di etichettare Pepe come un semplice epigono, un wannabe che cerca disperatamente di emulare i grandi marcatori del passato. Al contrario, Pepe incarna lo spirito intramontabile dei leggendari difensori di un tempo, rappresentando l’essenza stessa del modo di difendere efficace e funzionale della vecchia guardia.
La storia di Pepe è una narrazione di sfide superate e di sogni realizzati, un viaggio dall’anonimato di Maceió alla gloria europea. È la storia di un uomo che ha saputo fondere le sue radici parde con la cultura e la passione del calcio portoghese, diventando un esempio di determinazione e di successo. Chiunque lo osservi con occhio attento, scorge in lui l’eco dei giganti difensivi del passato, quelli che facevano della prestanza fisica e dell’intelligenza tattica le loro armi principali. Ma ridurre Pepe a una mera copia sbiadita sarebbe un errore grossolano. Il suo gioco non è un tentativo di imitazione, ma una rielaborazione moderna di un’arte antica. Pepe non è un difensore che si limita a seguire le istruzioni: lui dirige, orchestra, impone la sua volontà sul campo. È l’incarnazione di quel difensore che non si arrende mai, che non conosce la parola resa, che in ogni contrasto mette l’anima.
In ogni partita, in ogni sfida, Pepe porta con sé il ricordo delle sue origini, l’ardore del guerriero e la saggezza del veterano. È un simbolo vivente di come il calcio possa trasformare la vita, di come il sogno di un ragazzo possa diventare la realtà di un campione. Pepe, il guerriero luso-brasiliano, resterà per sempre una leggenda del calcio portoghese, un eroe romanzesco in un mondo che, a volte, ha ancora bisogno di storie straordinarie per credere nei miracoli. Pepe è il custode di un’eredità, l’ultimo baluardo di un’epoca in cui difendere era un’arte e una missione. In lui vive lo spirito della vecchia guardia, e ogni sua azione sul campo è un tributo a quei giganti che hanno tracciato la via. Pepe è l’essenza del difensore, il ponte tra il passato e il presente. Il centrale di Maceió merita di essere celebrato per quello che è: non un epigono, ma un autentico campione.
BIO: VINCENZO DI MASO:
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.