LA PENNA DI UN SOGNATORE: PERCHE’ LEGGERE “IL MIO CALCIO ERETICO”

Non è la prima volta che scrivo la recensione di un libro, ma è la prima volta che lo faccio direttamente su un blog che appartiene all’autore del libro stesso: potrei essere tacciato dunque di conflitto d’interessi, potrei abbandonarmi a lodi sperticate perché sul blog dell’autore stesso (per di più milanista che ha vinto a destra e a manca con quella maglia che io tifo sin da bambino), che vuoi scrivere? E infatti è proprio ciò che farò, ma non fraintendete: de “Il mio calcio eretico” di Filippo Galli non si può proprio parlarne male, a mio parere. Per un semplice motivo: in un oceano ormai sconfinato di pubblicazioni sportive, poche validissime, alcune interessanti, moltissime ripetitive o partite dalla penna di chi si crede Hemingway e non lo è, quella dell’ex difensore rossonero non è una autobiografia in senso stretto ma qualcosa di più.

Scordatevi un mero racconto della vita e della carriera di un atleta, se non ovviamente nelle giuste dosi. Coppe e scudetti, certo, la nebbia come filo conduttore (appena sfoglierete quelle pagine, capirete), gli infortuni, i giorni difficili e quelli memorabili, ma tutto questo andirivieni di bellezze e bruttezze viene mischiato con il tema che regge l’intero libro, ovvero un tributo all’amore e alla dedizione che Filippo ha avuto e ha ancora per i giovani calciatori.

Un trionfo di qua e uno di là sono infatti sapientemente alternati da una sorta di decalogo di come trasformare le speranze di una fila di ragazzini, in sogni veri e propri, da vedere e toccare. Il lavoro di responsabile dei settori giovanili di Galli non fa capolino dopo Milan-Steaua o Milan-Barcellona, ma è addirittura l’asse portante del volume, la dimostrazione di come mettere a frutto una esperienza comunicandola al pubblico in un momento storico in cui sulle cronache contano di più i fuori onda da sbattere sui social, il calciatore che esce dal campo mandando a quel paese l’allenatore o la nuova fidanzata dal difensore belloccio di turno.

“Il mio calcio eretico”, come dice il titolo, prende tutta la non lungimiranza italiana, la filosofia del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa in cui “tutto cambi perché nulla debba cambiare”. Con dovizia di particolari ma anche tanta auto critica (come nel caso della vicenda Mastour raccontata nel libro), Filippo fotografa certamente il suo percorso sui campi sin dagli esordi ma soprattutto si sofferma sul perenne terreno brullo del calcio giovanile, in cui per emergere paiono contare più procuratori e genitori che una valutazione oggettiva oltre alla cultura del lavoro e del sacrificio, in un sistema in cui la carenza di strutture sportive e i troppi stranieri di certo non aiutano.

Nel buttare giù un libro ci vuole tempismo: raccontare una vicenda che funzioni come un vestito adagiato sul contesto attuale. Il vestito de “Il mio calcio eretico” è un prodotto su misura per i tempi moderni, in cui la Nazionale Italiana Under-17 vince un Europeo di categoria ma nessuno dei giovani membri della spedizione azzurra giocano con continuità in un club di serie A e meno che meno sono esposti alla vetrina nazionale. Questo libro, di un milanista vero e soprattutto di un sognatore come tutti dovremmo essere, vi aiuteranno a capire perché.

BIO: Stefano Ravaglia è giornalista sportivo, scrittore e conduttore. Lavora per Icaro Tv, per Ravenna24Ore, per il Comitato romagnolo della federazione di pallavolo e si è occupato anche di Formula Uno. “Milanologo” come ama definirsi, segue da anni i rossoneri in Italia e in Europa ed è un grande appassionato di calcio inglese. Pubblica i suoi contenuti rossoneri sul network “Tradizione Rossonera”, che trovate su Facebook, Tik Tok, Instagram e Youtube.

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