EURO ’24 – APPUNTI SPARSI  DI FINE EUROPEO

Alla vigilia dell’atto conclusivo di un campionato europeo che non risulterà, almeno per noi italiani, tra quelli da tramandare ai posteri, è giunto il momento di rispondere ad alcuni quesiti che ci eravamo posti all’inizio della manifestazione nell’articolo di presentazione della XVII edizione degli Europei di calcio.

Dal punto di vista strategico non è stato l’europeo della riconquista alta della palla  come accade nelle partite tra squadre di club più propositive. Poche sono state le nazionali che si sono adoperate per avere il dominio, o quanto meno il controllo, del gioco.

Probabilmente penalizzati dall’eccessivo numero di gare stagionali a cui i calciatori vengono sottoposti, e dal poco tempo a disposizione per plasmare collettivi dal gioco fluido e propositivo, i commissari tecnici hanno privilegiato la gestione degli eventi rispetto ad una proposta di calcio collettiva ed organizzata in fase offensiva, demandando alle qualità dei calciatori più dotati la ricerca della giocata determinante.

Il problema, più volte analizzato in questo blog, è che pure i calciatori talentuosi necessitano di un contesto che li supporti e li faccia emergere. Senza considerare che anche ai migliori può capitare di incorrere in un periodo di scarsa forma o in una giornata no. L’idea di passare la palla al più bravo, per quanto affascinante ed inflazionata nei dibattiti, non è spendibile nel football a qualsiasi stato, livello e grado lo si analizzi.

Il calcio non è così semplice come qualcuno  si ostina a  dipingerlo.

La Francia, partita con i favori del pronostico, pare essersi arenata su questo scoglio.

Il pragmatismo del suo tecnico, in quest’ultima occasione, non ha pagato. Non è bastata l’enorme quantità di giocatori di talento dalla metà campo in avanti, in alcuni casi vittime di uno stato di forma non ottimale, in altri della mancanza di uno spartito organizzato entro cui muoversi. Il risultato dei transalpini, arrivati comunque tra le prime quattro, non basta a compensare un cammino che sino alla semifinale non ha portato nemmeno una rete su azione.

Il paradosso, se vogliamo, sta nel fatto che, complice l’età avanzata che ha tolto Giroud dall’undici di riferimento, Deschamps ha schierato un numero di giocatori “talentuosi” addirittura superiore rispetto al recente passato, perdendo tuttavia quei riferimenti di gioco e di movimenti offensivi (Griezmann che si stacca, Hernandez che sale e Mbappe che parte)  improvvisamente “ingolfatisi” sulla trequarti avversaria.

La Spagna si è invece distinta sotto l’aspetto organizzativo a dimostrazione che il talento (e con esso la spiccata individualità) emerge con maggior successo in seno ad un contesto di gioco e ad un collettivo che lo esalta in tutte le le sue forme.

Quando leggiamo ed ascoltiamo l’esaltazione della tecnica degli spagnoli, lasciati  “liberi di giocare”,  è doveroso ricordare come la giocata di classe, per essere posta in essere, necessiti di un collettivo. State pur certi che il  CT spagnolo di sicuro non intima ai suoi di lasciar perdere l’organizzazione e il contesto di squadra.

Non è forse vero che ci troviamo spesso ad elogiare la scuola Ajax o la scuola Barca? Ebbene, nel percorso all’interno di quelle “cantere”, i giovani calciatori vengono indirizzati ad opzionare di volta in volta la scelta migliore in seno al contesto che li accoglie e li aiuta ed evolvere.

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Dopo aver sottolineato come la maggior parte delle compagini (Olanda su tutte) sia stata costretta a rinunciare ad elementi importanti, è doveroso rimarcare come poche stelle abbiano brillato di luce propria.

La curiosità iniziale di capire come il VAR sarebbe stato utilizzato è stata soddisfatta  da un uso meno italiano e più internazionale.

A prescindere dall’episodio del rigore reclamato dai padroni di casa contro la Spagna, con la UEFA che ha assolto l’arbitro tra le perplessità degli appassionati, sottendendo come l’episodio sia stato rivisto in corso di gara, non si è percepita quella ricerca dell’irregolarità e/o del cavillo che tende ad inquinare le gare del nostro campionato.

La correzione è intervenuta solo in occasione di situazioni evidenti, tra tutte il goal inizialmente annullato all’Olanda contro l’Austria.

Anche il controverso penalty concesso all’Inghilterra in semifinale è stato accordato secondo un protocollo, non condiviso del tutto da chi scrive, che ne prevede la concessione.

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Dopo qualche scaramuccia nelle prime giornate, l’ordine pubblico non ha dato grossi grattacapi ad eccezione del pregara della semfinale Olanda-Inghilterra con le strutture tedesche che si sono confermate all’altezza di un simile evento.

Forse non più sugli elevatissimi standard di efficienza teutonica tradizionalmente narrati ma comunque all’avanguardia quanto a stadi e servizi.

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Lo svolgimento delle gare e del torneo ha confermato le perplessità evdienziate in sede di presentazione. Ventiquattro squadre si sono rivelate un numero eccessivo per garantire un livello di competitività credibile. Alcuni gruppi eliminatori si sono distinti per contenuti tecnici di basso profilo con incontri tecnicamente modesti.

Tornando alle nostre previsioni inziali, avevamo visto giusto nel non conferire troppo credito a Croazia e Serbia.

La prima, abituata ad exploit in occasione dei campionati del mondo, ha confermato lo storico negativo in occasione del campionato europeo, palesando i limiti di un gruppo a fine ciclo che ha praticato un football facile da leggere per gli avversari.

La seconda, mai competitiva nei grandi tornei dopo la divisione dell’ex Jugoslavia, continua a scontare problematiche nella guida tecnica e a risultare tutto fuorchè una squadra. Male Vlahovic, isolato e scoraggiato, al suo primo evento da titolare. Meglio di lui ha fatto Jovic, dimostratosi ancora una volta letale nonostante lo scarso numero di palloni e minuti giocati.

L’Austria, che avevamo inserito tra le squadre più interessanti, ha confortato le nostre previsioni in seno ad un gruppo molto complicato in cui ha ben figurato al cospetto delle due semifinaliste Olanda e Francia. E’ tuttavia mancata negli ottavi di finale, sconfitta non senza rimpianti da una Turchia alla sua portata al termine di una gara in cui i ragazzi di Rangnick sono sembrati smarrire la lucidità che li aveva in precedenza contraddistinti. Probabile che la disabitudine alle gare da dentro o fuori li abbia penalizzati con due reti subite da calcio da fermo in cui non mancano le responsabilità dei difendenti.

Chi deve riflettere è senza dubbio la compagine portoghese. L’ostinazione nello schierare i veterani rischia di bruciare una generazione di giocatori non più replicabile. Nessuno osa discutere le doti di Pepe e, ci mancherebbe, di Cristiano Ronaldo ma la loro presenza in campo, oltre a relegare in panchina elementi di assoluto valore, condiziona i movimenti di squadra e il comportamento dei compagni, che paiono ostaggi del carisma e delle carriere dei “vecchi”, finendo per condizionare la loro prestazione e limitare le giocate in ossequio alla devozione ed al rispetto nei confronti di chi, anche involontariamente, fa pesare il suo passato.

In sede di presentazione avevamo definito Inghilterra ed Olanda le due sfortunate per eccellenza in considerazione dell’infinita serie di eliminazioni, all’esito di mondiali ed europei negli ultimi trent’anni, ai calci di rigori o in circostanze in cui la malasorte l’aveva fatta da padrone.

L’Olanda prosegue su questo trend stante la rete subita in semifinale al 91′. Va detto, tuttavia, che gli uomini di Koeman per quanto fatto vedere sul terreno verde, non avrebbero meritato la finale. Troppo attendista la squadra dei Paesi Bassi, capace di brillare solo contro la modesta Romania e, a tratti, contro la Polonia.

La vittoria in rimonta con la Turchia è parsa più una questione di nervi, emotività e forza ed analizzando il percorso rimangono alcuni vuoti come la partita con l’Austria e parte della gara con i turchi. Il risultato finale è comunque buono, ancorchè favorito da un calendario amico, senza tralasciare la circostanza secondo cui gli orange si sono trovati ad affrontare la manifestazione con l’intero centrocampo indisponibile (Koopemeiners, De Roon, De Jong).

Ci sia consentito, osservando la mirabile qualità dei difensori, mantenere qualche riserva sul calcio proposto da Koeman, poco olandese e poco avvezzo all’uscita palla, alla difesa alta ed al gioco di possesso caro ai suoi predecessori.

In fase offensiva, si sono intraviste a tratti le qualità di Gapko e del talentino Simons. Il tempo ci dirà se saranno in grado di esplodere definitivamente. Nel frattempo, quando necessita, si va da Wheghorst, usato sicuro più volte determinante.

Ai leoni di Sua Maestà, una volta tanto, la fortuna pare aver arriso.


Dall’uscire agli ottavi al termine di una pessima partita contro la Slovacchia a ritrovarsi finalisti è un attimo. I conti con la sorte cominciano a tornare se pensiamo che, alla rete al 95′ che ha salvato la truppa contro gli slovacchi, han fatto seguito il pareggio in extremis con vittoria ai rigori contro gli svizzeri e la vittoria nel recupero contro l’Olanda.

Southgate, più volte criticato per immobilismo, ha estratto i colpi a sorpresa in semifinale azzeccando i cambi tra cui la sostituzione di Kane, mentre nei quarti aveva azzardato una modifica al sistema (per compensare l’assenza di un terzino sinistro) che ha portato Saka ad agire a tutta fascia nella zona di sinistra. Sembrano in crescita gli inglesi, autori di una porzione di gara finalmente convincente in semifinale e con l’autostima in perentorio aumento.

Detto di Svizzera e Danimarca che, come sempre han passato il turno con la prima che ha ottenuto lo scalpo dei campioni d’Europa uscenti ed ha portato ai rigori l’Inghilterra, e della Turchia di Montella che ha confermato i progressi intravisti in preparazione favorita dall’essere capitata in un gruppo iniziale non proibitivo, rimane sospeso il giudizio sulla Germania.

Valutando il risultato conseguito verrebbe da pensare ad una delusione per i padroni di casa. Un’analisi meno superficiale, tuttavia, ci porta oltre il risultato con la compagine tedesca che, pur tra qualche equivoco e alcune incongruenze, ha mostrato sprazzi di buon calcio ed ha ceduto al cospetto della Spagna al termine di una gara dai mille risvolti.

Kroos, intelligente in campo e fuori, non continuerà ad occupare un posto in nome dall’illustre passato ed anche per l’immenso Neuer, il sempre affidabile Thomas Muller e l’istrionico Gundogan pare arrivato il tempo dell’addio alla nazionale. Se, a differenza del Portogallo, troveranno il coraggio di liberarsi dei momumenti, i tedeschi potranno divertirsi da qui al mondiale 2026.

Fatti i complimenti a Montella, gli altri tecnici italiani hanno avuto percorsi differenti. L’Ungheria di di Rossi è sembrata paga della presenza alla fase finale e non è mai parsa in partita. Non ha brillato la stella Szoboszlai in seno ad un contesto che non è stato in grado di compensare l’inferiorità tecnica con le qualità morali, emotive e collettive.

Al Belgio di Tedesco veniva chiesto di migliorare la qualità del gioco: impresa non riuscita anche a causa del precario stato di forma di alcuni protagonisti. La buona prestazione contro la Francia, vincitrice solo su autorete, ha avuto come effetto quello di aumentare i rimpianti per i punti lasciati nel girone. La Slovacchia di Calzona è passata dal sogno all’incubo, ma l’avventura europea è stata certamente positiva.

Se i giocatori offensivi hanno faticato a lasciare il segno, sono i portieri ad essersi presi gli onori della cronaca. Ai noti Oblak, Donnarumma e Maignan si sono aggiunti il georgiano Mamardashvili e il turco Gunok.

Il triste cammino degli azzurri ad Euro 2024 ci introduce ad un tema che pare rimanere ancorato a principi e codici non modificabili nel contesto mediatico italiano.

Ci riferiamo alla comunicazione che, all’indomani dell’eliminazione della nostra nazionale, ha investito aspetti di campo e non.

Il tutto travolgendo chiunque, dai calciatori al tecnico sino al presidente federale e chiunque rivestisse un ruolo nel club Italia. Anche le istituzioni, nella persona del ministro dello Sport non hanno perso un secondo nel bacchettare i protagonisti in negativo.

E’ pensiero di chi scrive che il risultato sportivo non sia dipendente (o quanto meno non lo sia del tutto) dall’operato federale. A conferma di ciò dev’essere segnalato come tre anni orsono l’Italia abbia trionfato a Wembley con lo stesso presidente a cui ora si vorrebbe imputare la debacle.

L’esempio dei tennisti italiani, da qualche tempo protagonisti ai massimi livelli  è dirimente considerato come l’attuale Presidente della Federazione sia lo stesso da oltre un ventennio durante il quale abbiamo attraversato il periodo più nero della storia, finendo prima in serie B della Coppa Davis e poi addirittura in serie C.

Sull’idea della tecnica, che secondo alcuni non verrebbe allenata ci siamo più volte esposti in questo blog ed in premessa quando abbiamo dedotto in merito alla nazionale spagnola.

Quanto alle qualità dei nostri calciatori ricordiamoci che alcuni di loro furono tra i migliori in occasione dell’europeo di tre anni fa e poi, dovessero vincere sempre i più dotati individualmente, la Francia avrebbe vinto le ultime edizioni….

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

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