EURO ’24: L’OMBRA DELLE TROPPE PARTITE SUI GIGANTI DEL CALCIO

Gli infortuni al legamento crociato del ginocchio sono aumentati del 6% negli ultimi vent’anni. Un calcio sempre più forsennato, dove i ritmi di gioco si fanno frenetici e l’intensità degli scontri è all’ordine del giorno, sembra essere la causa di questi problemi. Tuttavia, non possiamo ignorare l’influenza di un calendario estenuante, che impone ai giocatori un numero eccessivo di partite, logorando il fisico e la mente degli atleti

In una calda estate europea, tra campi di battaglia verdi e arene brulicanti di tifosi, Euro 2024 ha esaltato e consacrato talenti in erba (vedasi l’enfant prodige Lamine Yamal). Tuttavia, una nube densa di fatica e affanni ha oscurato le prestazioni di diversi eroi calcistici del nostro tempo, primo fra tutti Kylian Mbappé, la stella francese che ha faticato a brillare come ci aveva abituato.

I tempi sono cambiati, il calcio stesso si è evoluto. Un tempo i gladiatori del pallone calcavano i campi per un numero limitato di incontri, spesso con intervalli di recupero che permettevano loro di ricaricare le energie. La Serie A, un tempo ombelico del mondo, si disputava in 30 partite. La squadra che usciva presto dalle coppe europee, considerato che non c’erano i gironi, disputava al massimo 40 partite in stagione, Coppa Italia compresa. Oggi, invece, siamo di fronte a una realtà dove la quantità di partite stagionali è cresciuta esponenzialmente, e con essa la pressione su corpi e menti già stressati. Mbappé, simbolo di questa generazione di calciatori, ha mostrato i segni di un’usura preoccupante, date le 62 partite ufficiali disputate in stagione. Usura chiaramente legata alla stagione e non all’intera carriera. D’altronde l’asso del Real Madrid è appena un classe ’98, nonostante sia in auge da quasi dieci stagioni.

Troppe partite e preparazione inficiata

Non è un mistero che il calendario calcistico moderno sia spietato. Tra campionati nazionali, coppe europee, competizioni internazionali e amichevoli, i giocatori di alto livello sono chiamati a giocare quasi ogni tre giorni. Questo ritmo incessante, partite e viaggi, non lascia spazio al recupero, logorando lentamente le riserve fisiche e mentali dei calciatori. Diversi top player hanno superato le 60 partite disputate in stagione.

La preparazione, per quanto sofisticata e supportata da scienze avanzate, non può fare miracoli. La medicina sportiva odierna è senza dubbio superiore rispetto al passato, ma i muscoli, i tendini e le articolazioni dei calciatori non sono fatti per sostenere un carico di lavoro così elevato per periodi prolungati. Non va dimenticato che la condizione psico-fisica di un atleta, nello specifico di un calciatore, è legata ad aspetti tecnico-tattici, emotivi, relazionali e quant’altro. Il riposo in determinate partite oppure le mancate partenze per tournée o alcune amichevoli rappresenterebbero un toccasana. Purtroppo the show must go on.

Il moderno universo sportivo, con la sua frenesia sfrenata e i calendari congestionati, si rivela avversario del corpo umano. Si compete sempre di più, in ogni disciplina, specie in quelle che si percepiscono come imprese, aderendo al modello capitalista della crescita senza fine. Per incrementare i profitti, occorre aumentare il numero delle competizioni, rendendo lo spettacolo sempre più imponente. Più potenza, più rapidità, estremizzazione. Il calcio si ritrova a lottare nel mercato mediatico, a imitare l’eccitazione fulminea dei migliori videogame, le trame avvincenti delle serie TV del momento. E i corpi degli atleti, implacabilmente, si sgretolano.

Tattiche diverse e ruoli meno statici

L’evoluzione tattica ha reso il calcio moderno un gioco di alta intensità. Le squadre non solo corrono di più, ma lo fanno in maniera più intelligente e con varianti tattiche complesse che richiedono una costante attenzione e versatilità. Mbappé, per esempio, non è più solo un attaccante che aspetta la palla per scattare verso la porta. È parte di un sistema fluido che richiede pressing, recupero palla, e transizioni rapide tra difesa e attacco. Si parla giustappunto di transizioni difensive e offensive. Ogni calciatore, anche la stella più brillante, è parte di un tutto.

Nel passato, i giocatori avevano generalmente ruoli più definiti e meno dinamici. Un centravanti restava spesso vicino alla porta avversaria, un difensore centrale raramente si allontanava dalla propria area. Questa staticità relativa, se confrontata con il calcio moderno, permetteva un dispendio energetico inferiore e una gestione delle forze più oculata. C’erano naturalmente fulgidi esempi di eccezioni. Il calcio totale olandese, di cui Reynolds è stato l’antesignano, è andato in controtendenza. Reynolds è stato il maestro di Rinus Michels, che ha segnato un’epoca in Olanda. Qualche lustro dopo è salita alla ribalta un’altra maestosa squadra che ha fatto dell’innovazione il suo cavallo di battaglia. Parliamo di quel Milan di Sacchi che dominava partite e competizioni grazie a un dinamismo decisamente raro per l’epoca.

La comparazione con il passato

Se è vero che le condizioni fisiche dei giocatori di un tempo erano diverse, è altrettanto vero che la preparazione atletica e la medicina non erano ai livelli odierni. Gli eroi di ieri giocavano su terreni più duri, con scarpe meno comode, e affrontavano infortuni che oggi sarebbero gestiti con tecniche avanzate di recupero. Tuttavia, la minore quantità di partite permetteva un equilibrio che oggi sembra perduto.

I mostri sacri degli anni ’80, figure leggendarie come Maradona, Gullit, Van Basten o Platini, calcavano i campi con una frequenza meno incalzante. La loro arte calcistica non poteva brillare costantemente durante l’intera stagione. Anche i fuoriclasse conoscevano momenti di pausa, e sarebbe un errore grossolano ridurre il discorso a mere semplificazioni. Già allora, si dedicava una cura maniacale alla preparazione fisica, all’alimentazione e all’allenamento. Tuttavia, la scienza medica che sosteneva gli staff dei club era meno avanzata rispetto ad oggi. I corpi dei calciatori subivano un’usura maggiore in caso di infortunio, e le tecniche di recupero non avevano l’efficacia delle attuali. Eppure, poiché venivano sottoposti a un carico di lavoro inferiore, i fuoriclasse giungevano spesso in splendida forma ai mondiali o alle competizioni continentali. Un calciatore non poteva dare il meglio se reduce da un infortunio, ma quei ritmi meno serrati consentivano loro di mantenere la grandezza intatta per gli appuntamenti più importanti.

Mbappé e i grandi di oggi

Mbappé, come molti altri big, è vittima di un sistema che chiede sempre di più senza dare il tempo di recuperare. La sua prestazione abulica a Euro 2024 è emblematica di un problema più ampio: l’usura dei talenti sotto il peso di calendari disumani. È un campanello d’allarme che invita a riflettere su come preservare questi straordinari atleti, permettendo loro di esprimere al meglio le proprie capacità senza essere schiacciati dal ritmo infernale delle competizioni.

La spremitura dei corpi degli atleti è normalizzata, sacrificata sull’altare della crescita economica. Come pubblico, ci adeguiamo rassegnati, accettando passivamente uno stato di cose che sembra irreversibile. La crescita economica prevale sulla competizione sportiva, sullo spettacolo e sulla salute degli atleti.

La grandezza del calcio moderno risiede anche nella sua complessità e nella bellezza di un gioco che si evolve. Tuttavia, questa evoluzione non deve dimenticare l’umanità dei suoi protagonisti. Come i grandi di ieri, anche i campioni di oggi meritano di essere ricordati per la loro arte, non per essere stati consumati dalla macchina del calcio di oggigiorno.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

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