Si dice che gli inglesi abbiano inventato le regole e che i sudamericani abbiano inventato la passione per il calcio (o meglio, per il fútbol). Sappiamo bene la passione che i sudamericani mettono nel gioco più bello del Mondo e ciò che colpisce sono le loro cronache: il “golazo” dei brasiliani oppure le parole che Víctor Hugo Morales dice nei dieci secondi più famosi della storia del calcio, ovvero dal momento in cui Héctor Enrique dà palla a Maradona ed il “pibe de oro” arriva in porta scartando cinque avversari (ed il portiere) quel 22 giugno 1986, segnando contro l’Inghilterra il “gol del secolo”. Morales si mise a piangere nel descrivere il gol più bello della storia del calcio. Un momento iconico.
L’Italia è un Paese che ama il calcio. Non in maniera sudamericana, ma da noi il calcio è lo sport più seguito, amato, discusso e raccontato. Si dice che gli italiani siano un popolo di santi, poeti, navigatori e…commissari tecnici, perché tutti almeno una volta nella vita (tanti invece quasi tutti i giorni) dicono la propria su questo sport.
Ci emozioniamo, come tutti, nel guardare le partite in tv (chi in chiaro, chi con le pay tv) e rimaniamo incantati nel sentire parlare giornalisti come Morales che parlava di Maradona come di un “aquilone cosmico”, ringraziando Dio “per queste lacrime e per il fútbol”.
Sono scalfite nelle nostre menti le telecronache di Nando Martellini, Bruno Pizzul, Marco Civoli o della coppia Caressa-Bergomi per le emozioni che hanno trasmesso nel raccontare partite che sono entrate nel nostro cuore, grazie alla loro verve, al loro modo di parlare e descrivere un’azione o un gol. Questi sono stati “raggiunti” da un ex giocatore che, in pochi anni, ha sconvolto il paradigma del telecronista, in particolare quello della “seconda voce”, la più tecnica, quella che racconta l’aspetto tattico ma senza togliere spazio alla “prima”, quella che racconta l’azione in sé.
Eppure da qualche tempo c’è una seconda voce che sta togliendo spazio alla prima voce. Non perché sia maleducato o che non rispetti il collega, ma perché con le sue telecronache sta diventando quasi un caso di studio. Lui è Daniele “Lele” Adani e, da quell’Inter-Tottenham del 18 settembre 2018, è entrato nelle nostre case (e nelle nostre vite…calcistiche) raccontando l’emozione del gol di Vecino al minuto 92 che ha chiuso la rimonta dell’Inter nella partita del primo turno di Champions contro gli Spurs. Il giocatore uruguaiano, sugli sviluppi di un corner, ha segnato di testa battendo il portiere avversario grazie ad una “torre” di de Vrij. L’allora prima voce di Sky, Riccardo Trevisani, è impazzito nel raccontare questo gol (“l’ha ripresa Vecino […] è l’uomo della Champions”), ma il “carico da 90” lo ha messo Adani al termine del racconto del collega (“la garra charrua, l’ultima parola agli uruguagi, sempre loro […] hanno un cuore differente […] l’artiglio che graffia”). Con quelle parole, Adani è entrato nell’immaginario collettivo come il tifoso che è in ognuno di noi e con la sua passione rende il telespettatore un tifoso presente sugli spalti e che, nel vedere quell’azione o quel gol, si emoziona arrivando quasi alla lacrime.
Da allora sono passati tanti anni e Adani di strada (televisiva) ne ha fatta e fino a Qatar 2022 tutti avevamo la percezione che lui, capello e barba ben curati, fosse una sorta di sudamericano arrivato in Rai per raccontare le partite. Ed infatti il Mondiale qatarino è stato lo spartiacque nella carriera di Adani come “seconda voce”. Il motivo? L’enfasi, la troppa enfasi nel raccontare le partite dell’Argentina e del suo idolo, Lionel Messi. Il Mondiale “d’inverno” è stato per l’Argentina ciò che è stato Messico ’86 e Messi ciò che è stato Maradona in quella manifestazione. Tutti sanno che “Lele” Adani è un appassionato (per non dire fanatico) del calcio argentino e di Maradona e nel raccontare le partite della Albiceleste ha regalato perle e chicche che sono ancora oggi viste e riviste (anzi, risentite) tantissime volte su YouTube. Soprattutto nel parlare di Messi, il vero protagonista di quel Mondiale per i sette gol segnati, gli assist serviti ed una prestazione che lo ha portato allo stesso livello del “pibe de oro”.
A tanti ascoltatori le telecronache ed i commenti di Adani non sono piaciuti, forse perché pensavano che non avrebbe mai raccontato le partite della Nazionale in quella kermesse in quella maniera. Ma l’Italia in Qatar non ci è andata e quindi Adani ha raccontato ai telespettatori le gesta dei vari di Maria, Paredes, de Paul, Dybala e Lautaro Martinez.
A molti non è dispiaciuto che Adani non abbia potuto raccontare la parte tecnica di Argentina-Francia, la finale mondiale, ma a tanti invece sarebbe piaciuto raccontasse quella partita, la partita che ha consacrato Leo Messi a nuovo “dio del calcio”. Per Adani non fu nessuna bocciatura perché si era deciso ancora prima che iniziasse il Mondiale che non avrebbe raccontato la finale, lasciando la palla al “titolare” Antonio di Gennaro, da anni “seconda voce” delle partite della Nazionale su Rai 1.
Anche l’ultimo Europeo tedesco è stato raccontato da Adani, come seconda voce, insieme a Stefano Bizzotto, uno dei migliori telecronisti non solo calcistici ma sportivi italiani. E anche in questo caso Adani ha dato il meglio di sé (in senso positivo) facendo vivere ai tifosi un’emozione unica raccontando le giocate, gli assist e i bei gol di questa manifestazione. Un successo personale importante per lui, visto che da settembre Adani diventerà ufficialmente la seconda voce delle partite della Nazionale accanto ad Alberto Rimedio. Ed il debutto sarà il match di UEFA Nations League tra Francia e Italia del prossimo 6 settembre al “Parco dei Principi”.
Germania 2024 è stato l’Europeo di Daniele Adani con le sue perle, il suo tono di voce nel raccontare gol e giocatore, la sua competenza. Ma a tanti non è piaciuto come si è “atteggiato”, come del resto non era piaciuto a tanti come ha “raccontato” Qatar 2022 ma, come dice il vecchio adagio, “bene o male, basta che se ne parli”. E se di Daniele Adani se ne parla significa che ha fatto colpo. Insomma, un personaggio divisivo.
Ma chi è Daniele Adani? 50 anni lo scorso 10 luglio, Adani è stato un difensore centrale che, partito dalla “sua” San Martino in Rio, in Provincia di Reggio Emilia, è arrivato a giocare in Serie B e Serie A con le maglie di Modena, Brescia, Fiorentina, Inter, Ascoli ed Empoli, vestendo la maglia della Nazionale italiana per cinque volte, vincendo anche una Coppa Italia con la Viola e segnando un gol alla Juventus in una semifinale di Coppa Italia mostrando a tutti, sotto la maglia dell’Inter, una t-shirt con la scritta “Francesco torna…”, dedicata ad un tifoso interista scomparso da qualche giorno di cui si implorava il ritorno a casa (cosa che avvenne poco tempo dopo, forse anche grazie al gesto dell’allora numero 15 nerazzurro).
Nel 2011, a 37 anni, dopo aver fatto un salto indietro di sette categorie tra la Serie A dell’Empoli e la Seconda categoria della Sammartinese (allenata allora dal suo amico di infanzia con cui giocava per strada) si è ritirato e ha intrapreso la carriera di telecronista, dopo l’esperienza di vice di Silvio Baldini nel Vicenza.
E dire che Daniele Adani aveva iniziato per caso a fare le telecronache, affiancando tra il 2010 ed il 2012, Stefano Borghi (un altro telecronista che quando parla ti porta dentro un qualsiasi stadio argentino) a SportItalia per poi passare a Sky come opinionista e commentatore tecnico (nel 2014 ha detto “no” a Roberto Mancini che lo voleva come suo vice- all’Inter in quanto era già in parola con Sky). Poi nel 2021 passa in Rai, diventando prima opinionista a “Novantesimo minuto”, poi alla “Domenica Sportiva” e nei pre e post partita della Nazionale. Come telecronista crea un sodalizio con Stefano Bizzotto, iniziando a commentare nel novembre 2021 Italia-Irlanda del Nord valevole per le qualificazioni mondiali a Qatar 2022 e poi a commentare due finali di UEFA Nations League (il 10 ottobre 2021 Francia-Spagna, il 18 giugno 2023 Croazia-Spagna).
Se si ascolta bene la telecronaca di Adani si notano due aspetti: la sua competenza ed i suoi tratti sudamericani. Sulla competenza nulla da eccepire, visto che ha all’attivo 350 partite totali (e quindici gol) tra Serie A e Serie B, essere stato convocato ed aver giocato in azzurro con compagni di squadra con un tasso tecnico difensivo enorme ed essere stato oggetto di forti aste al Fantacalcio per averlo nella propria rosa.
Perché “sudamericano”? Perché “Lele” Adani è un amante viscerale del calcio argentino e ha iniziato a seguirlo grazie all’amicizia con Matías Almeyda, suo ex compagno nell’Inter e nel Brescia. Almeyda era un tifoso del River Plate e ha iniziato e chiuso la carriera con i Millonarios, ha sempre parlato di questo calcio ad Adani e quando lo ha invitato a casa in Argentina, Adani si è trovato nel paese dei balocchi: ha capito che lì il calcio (il fútbol) è un’altra cosa rispetto all’Italia e all’Europa e da allora si è visto tantissime partite dei Millonarios, ma anche partite del Clausura, dell’Apertura, della Copa Libertadores e di tutto il calcio sudamericano. E questo sua “scoperta” l’ha portata nelle sue telecronache, raccontando alle persone a casa come se fosse un telecronista argentino, mettendoci passione, verve e ritmo. Una cosa poco diffusa in Italia, ma che ha tanti estimatori. Secondo lui il calcio che si gioca alla foce del Rio de la Plata (tra Uruguay e Argentina) è bollente, è passione, sono i potreros ed il giocare in strada, una cosa che non c’è alle nostre latitudine.
Peccato che la sua verve, soprattutto durante il già citato Mondiale qatarino, abbia spinto tanti italiani a mal sopportarlo, reo di raccontare le partite in un modo “inusuale” per i canoni della Rai e della tv generalista. Ma non sono mancati (e non mancano ora) quelli che stravedono per lui e che grazie a lui vedono telecronache e commenti diversi rispetto al passato.
Ovviamente non mancano gli haters, che lo accusano, tra le tante cose, di essere troppo filo-Messi (durante il Mondiale), di dire cose incomprensibili e troppo tecniche durante le partite, di urlare e di essere troppo un personaggio. Nel primo caso nulla da eccepire un’altra volta: Adani ha sempre ammesso di essere un fan dell’attaccante argentino mettendoci troppa foga ed ogni volta che l’Albiceleste giocava e la “pulce” toccava palla sembrava in estasi. Nel secondo e terzo caso, anche qui nulla da eccepire ancora: Adani è un cultore del calcio sudamericano e del calcio spettacolare ed ogni volta che racconta un’azione o un gol sembra indemoniato ma solo perché racconta ciò che lui vede e sente. Tanti telespettatori (ma anche suoi colleghi) non apprezzano e spesso quando sentono Adani cambiano canale (Marino Bartoletti docet). Eppure Adani è così: ci mette il cuore, si prepara, studia giorni prima la partita da commentare, si applica, ci crede sostenendo che il calcio è della gente e la gente deve essere condotta a capire la giocata e la posizione.
“Fare calcio”, il suo mantra, un’espressione venuta fuori durante Euro 2024 e nasce da un vecchio video di Maradona dove diceva ai compagni, muovendo velocemente le mani per spiegare di muovere la palla velocemente con scambi nello stretto e a ritmi elevati. E con i video fatti in un distributore di benzina in Germania o dentro la sua camera di albergo terminando i suoi discorsi con “e facciamo calcio” si è attirato contro tanti haters. Haters che lo accusano di essere troppo un personaggio, che la Rai non è la “Bobo Tv”, di essere diventato la caricatura di sé stesso, nonché di non essere all’altezza perché ritenuto “scarso” e che quindi non può fare il “fenomeno. Adani, di risposta, risponde “15 novembre 2000”, quando, in Italia-Inghilterra, è subentrato a Nesta in Nazionale giocando i ventitre minuti finali della partita accanto ad un mostro sacro del calcio come capitan Maldini. Oltre al fatto che secondo lui non è che per parlare di calcio e a commentare bisogna aver vinto trofei o avere un grande palmares: in base a questo concetto dice che allora solo 900 persone possono parlare di calcio (ovvero quanti calciatori italiani hanno giocato in Nazionale), quando invece non è così.
Adani non piace a molti forse perché troppo competente, forse perché alza il livello della discussione, forse perché è un “giochista” e non un “risultatista” (ecco anche spiegata la lite con Allegri a Sky), forse perché non ha peli sulla lingua e dice ciò che pensa, motivandolo sempre.
Adani lo si conquista con il bel gioco, con la tattica e la sua figura in Rai 1 è apprezzata perché è l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto, perché crea attenzioni, perché fa parlare di sé, perché dice cose condivisibili. Urla, si dimena, sembra in trance quando commenta una grande giocata, usa anche termini sudamericani come “surda”, “chilena”, “carajo”, “madre de dios” o la parola che lo ha reso mainstream, quella “garra charrua” che è l’artiglio, la rabbia uruguaiana di farcela con la grinta, la forza e la passione, il ribaltamento di fronte. Perché è cresciuto con il mito di Muhammad Ali, “the greatest”, quello che diceva che nella vita bisogna volare come una farfalla e pungere come un’ape, il più grande pugile di sempre, ma anche uno degli sportivi più famosi della storia.
Adani non fa il personaggio, perché non lo è: è un perfezionista, un maniaco, approfondisce sempre, non vuole sembrare impreparato, è uno che per studiare la prossima partita ed i giocatori che scenderanno in campo fa anche gli straordinari, guarda partite su partite, guarda le azioni e i movimenti di tutti i giocatori. È ossessionato (in senso positivo) dal calcio. Conosce, è competente, è credibile, eleva il racconto. E’ adrenalinico, ma umile e determinato. Per lui il calcio è apertura di mente, curiosità, storie, analisi, passione. Parlerebbe ore e ore e giorni e giorni consecutivamente di calcio. E’ contro chi dice che solo chi ha giocato può parlare di calcio: per lui non basta c’è sempre da impegnarsi, leggere, informarsi e studiare. I telespettatori vogliono emozioni e lui cerca di dare loro ciò che loro vogliono: vivere la partita quasi fossero con lui accanto in tribuna stampa.
Daniele Adani è uno che ce l’ha fatta partendo dalla strada di casa giocando con l’amico di sempre fino ad arrivare in Serie A ed in Nazionale e tornare a San Martino in Rio in Seconda categoria proprio perché l’allenava quell’amico con cui ha iniziato a scoprire il calcio. Deve tutto al calcio, a nessuno altro, Daniele Adani.
Il calcio è amore, non superficialità e per questo quando chiude la telecronache dice “viva el fútbol”.
Non toglieteci Daniele Adani da San Martino in Rio. Un “locos por el fútbol”, uno che trasmette positività, allegria e passione anche solo quando indossa le cuffie e saluta il compagno di telecronaca e gli ascoltatori a casa.
BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.
3 risposte
Grande articolo hai raccontato Lele Adani alla perfezione.
Immenso Simone Balocco e complimenti al mitico Filippo Galli
Adani? Sono costretto a chiudere la TV ogni volta che lo sento, bullo saccente inconsistente, ma che cavolo ci fa in Rai?
Ciao Riccardo, certo oggi è entrato troppo nel personaggio, peccato perchè la sua competenza ne viene offuscata.