IL PRECAMPIONATO: GROVIGLI D’ESTATE – PRIMA PARTE

“C’è un momento per fare le cose e per entrare in una felicità possibile, tale momento dura qualche giorno, talvolta qualche settimana o persino qualche mese ma si verifica solo una volta, soltanto una, e se in seguito si vuole tornare sui propri passi è semplicemente impossibile, non c’è più posto per l’entusiasmo, la convinzione e la fiducia, rimangono una rassegnazione dolce, una pietà reciproca e rattristata, la sensazione inutile e giusta che qualcosa avrebbe potuto esserci, che ci si è semplicemente mostrati indegni del dono che ci era stato fatto.”
                                                                                           La carta e il territorio
MICHEL HOUELLEBECQ

TROVARE IL BANDOLO NELLA MATASSA DEL PRECAMPIONATO

Riporto le testuali parole rilasciate in un’intervista dell’attuale Mister del Napoli per uscire da una questione spinosa, per proporre tra le pause di un ricchissimo palinsesto olimpico i soliti pensieri sparsi sul tema della PREPARAZIONE PRECAMPIONATO.

Risponde Conte al giornalista che lo incalza: “Qua nessuno va a fare chissà quali cose. Io penso di aver lavorato veramente tanto da calciatore, e sto parlando di 20 anni fa. Non c’è proprio paragone col lavoro fisico rispetto a quello che facevamo noi in passato”.

Tutto vero. Ripenso a quando i giocatori di qualsiasi categoria facevano davvero fatica a trascinare le gambe in campo nelle prime partite di campionato come se quei punti lì non fossero stati ugualmente importanti al fine della classifica. Ricordo osannati preparatori che letteralmente massacravano giocatori rapidi e scattanti a suon di ripetute sui 1000 ed un numero infinito di saltelli con la fune in serie da 20, chilometri e chilometri di corsa in montagna a pranzo cena e colazione, deprivandoli dei loro talenti più evidenti e utili al gioco. Del pallone ovviamente nemmeno l’ombra.

Non dimentico le difficoltà quando, grazie alle tecnologie GPS e alla Match Analysis, alla luce delle nuove teorie della complessità ed ai progressi in campo neurologico insistevo con i giocatori delle squadre sull’idea che  ogni individuo ogni reparto, ogni team è sistema, elementi interdipendenti di un unico indivisibile arcobaleno.

Ricorrevo alla metafora del mal di denti per far comprendere che ogni azione effettuata su uno qualsiasi degli elementi in gioco influenzava inevitabilmente il tutto e proponevo lavori diversi rispetto a quelli indicati dal regime atletico allora regnante, lavori che ritenevo attinenti al MODELLO PRESTATIVO DEL GIOCO CALCIO, gesti che ripetuti si rivelavano utili anche in chiave preventiva. OGGI È TUTTO MOLTO DIVERSO. MA QUANTO DIVERSO?

Nonostante la fiducia accordatami dai Mister ed una  determinazione del tutto femminile emergente però dai “sacri” testi, percepivo una perplessità iniziale quando facevo filtrare attraverso le esercitazioni,  le intuizioni felici di Maturana e Varela, di Rizzolatti e del Parma Group, di Morin, Bateson, di Di Prampero, del gruppo Colli, Dewey e compagnia cantando. Non avevo esattamente la sensazione di essere compresa  quando, ragionando di OMEOSTASI e SUPERCOMPENSAZIONE  insistevo sull’importanza dell’AMBIENTE nell’ADATTAMENTO, processo lungo, per alcuni anche molto lungo e complesso.

Che quindi era folle pensare che SOMMINISTRARE VOLUMI ALTI E INTENSI SPECIALMENTE DOPO LA PAUSA ESTIVA POTESSE RISULTARE UTILE ED EFFICACE per un fisico, per un reparto, per una squadra che ogni settimana e per la durata di un intero campionato ( non solo in pochi selezionati meeting a stagione ) si trovava ad affrontare un IMPEGNO INTERMITTENTE poco o affatto condizionato dalle distanze percorse come si leggeva sulla Gazzetta di allora. Uno sforzo NON dipendente tanto dalla frequenza cardiaca e dalla velocità di soglia ma piuttosto dal COSTO ENERGETICO di una corsa fatta di ACCELERAZIONI, DECELERAZIONI e relative soglie, frenate, di fasce di POTENZA METABOLICA, liaison tra costo energetico e velocità, sintonia di spazio tempo. Vedevo commettere errori imperdonabili quando si facevano eseguire lavori di ELEVATA FORZA o FORZA MASSIMA nelle sedute in palestra, sforzi che per essere metabolizzati avrebbero richiesto un tempo infinito.

Chi non li proponeva OFFSEASON solo perché giudicava  prematuro “somministrare” tali esercitazioni su giocatori non ancora “adattati”, non aveva sufficientemente realizzato che questi lavori fanno perdere elasticità, componente essenziale per un calciatore. Allora l’efficacia significava questo : “tutto e subito”. A rischio dei calciatori stessi. Ed infatti, oggi, protesi all’anca e artroscopia sono purtroppo eventi inflazionati tra ex-calciatori. Per dire.

Alla scuola dei miei mentori in sintonia con i Mister preferivo proporre UN LAVORO CONNESSO CON IL CONTESTO DEL GIOCO GIOCATO e che sollecitasse sia il meccanismo anaerobico caratterizzato da fasi attive come salti, sprint, accelerazioni, decelerazioni, CDD, CDS, tiri, frenate, sia fasi aerobiche di recupero che avrebbero permesso ai calciatori, lavorando ad una potenza inferiore ai famosi 20 watt di demarcazione, di incidere sul costo energetico, abbassandolo. Insistevo sul fatto che quelle distanze NON DOVEVANO ESSERE PENSATE TANTO IN METRI MA IN CHIAVE DI RELAZIONI CHE SAREBBERO POTUTE ACCADERE, SCONTRI CHE SI POTEVANO EVITARE E ANTICIPARE  in una realtà aumentata, quella del campo di gioco, in cui LORO SI MUOVEVANO NON A CASO. Calciatori con un pensiero tattico ben preciso a prescindere da  quei numeri sulla maglia che incasellavano in un ruolo RIGIDO tra linee da sforacchiare e spazi da invadere. Rischiavo di tornarmene a casa oppure  durante la prima amichevole ascoltare le solite frasi sulle “gambe che non ci sono” esattamente come la cronista olimpica sta ora commentando in Nadal-Djokovic. Luglio 2024. Per dire.

OGGI DIREI E FAREI ALTRO, MI SPINGEREI OLTRE IL MODELLO PRESTATIVO. DIREI ULTERIORE.

Direi che è importante ma NON PIÙ SUFFICIENTE CONNETTERE PRINCIPI E ALLENAMENTO, DEFINIRE LE PRIORITÀ, chiarire il GAME MODEL ed i cardini dell’impianto tattico sia in chiave collettiva che individuale. Per carità, tutte cose sane, una BUONA CRONOLOGICA ISTRUZIONE del “prima questo poi quello”. Un ABC da scuola primaria. Ma il modello prestativo di riferimento ci obbliga per onestà a dire e fare altro. A OSSERVARE CHE NON CI SONO “PRIORITÀ A PRIORI” SU CUI ANDARE A COSTRUIRE che insegnare e imparare non ha mai a che fare con la LINEARITA’, che LE PRIORITA’, LE LINEE GUIDA  LE DETTA IL GIOCO CON LE SUE REGOLE.

NON UN GIOCO STANDARD MA IL GIOCO ATTIMO PER ATTIMO INCARNATO DA QUEI GIOCATORI LI’ CHE SARANNO FACILMENTE DIVERSI QUANDO ARRIVERANNO AL COSPETTO DI AVVERSARI REALI. OGGI NON CI DORMIREI PER SFORNARE INSIEME ALLO STAFF CONTESTI DI GIOCO PER RAGGIUNGERE “Quella forma che ognuno si sa dare contenendosi nel suo limite, il compimento di sé nello stile” come dice Nietzsche ma anche “Ancora una volta ho dimostrato che conta solo saper cogliere l’attimo” come affermato da Nicolò Martinenghi dopo l’oro olimpico.

Con un Ilya Prigogine strappato alla Chimica, direi che in quel faticosissimo spazio-tempo denominato SEDUTA DI ALLENAMENTO di luglio e agosto, con tutti i carichi incarnati e non separati è indispensabile incidere diversamente nel loop SQUILIBRIO-ADATTAMENTO-NUOVO EQUILIBRIO, facendo si che i calciatori in campo riescano ad acquisire sempre maggiore consapevolezza delle varie FUNZIONI DA INTERPRETARE nel gioco IN BASE ALLE PROPRIE QUALITÀ ma anche alle NECESSITA’ colte nell’attimo. Tanti parlano con la fierezza di Colombo davanti alle Indie di CARICO COGNITIVO. COME SE  POTESSE ESISTERE UN CARICO COGNITIVO SCISSO DAL RESTO, UN CARICO COGNITIVO e GLI ALTRI NO, COME SE I CARICHI SI POTESSERO ALLENARE A COMPARTIMENTI STAGNI, UNA SORTA DI SVINATURA CHE SEPARA IL MOSTO DALLE VINACCE!!! MA PER FAVORE.

Arriveremo mai a pensare il processo di allenamento in termini di AVVENIMENTO TRASFORMATIVO INSCINDIBILE, una sorta di FOTOSINTESI  felice o continueremo a parlare di FORZA RESISTENZA e VELOCITA’ come 40 anni fa? IL GIOCATORE è un UNICUUM, la squadra stessa lo è come lo è il CLUB di appartenenza e gli avvenimenti sportivi di questi tempi ce lo stanno dimostrando sdoganando termini come “ossessione necessaria” al posto di vittoria, di stress contenuto e di emozioni affatto nascoste tra le lacrime di vincitori, vinti e quarte arrivate.  Ma non c’è niente da fare, i nostri bias ci spingono ancora a credere che se si prendono 11 giocatori dall’estero a suon di milioni ritenendo il prodotto locale ancora acerbo e si mettono al cospetto del Mister più quotato la ricetta funziona e il ciambellone può essere sfornato con successo. Non è così.

INFINITE EVIDENZE CE LO DIMOSTRANO. Sono altri gli ingredienti che dovranno essere accuratamente scelti affinchè, mediante adeguata lievitazione, la squadra inizialmente cieca, potrà gradualmente vedere, imparare a contrastare, arrivare in esatto timing con la consapevolezza e la certezza di un CARICO ALLENANTE AZZECCATO. Anzi, un caleidoscopio di carichi gestiti attraverso RELAZIONI DINAMICHE EMERGENTI e MOVIMENTI COMPIUTI CON UN FINE BEN PRECISO grazie a quella coralità che solo l’embodied e un allenamento a regola d’arte sono in grado di creare.

Una FESTA DI APPARATI che godono di un’ottima salute e che in virtù di questo BENESSERE direi PSICOFISICO ma anche oltre, permetteranno il graduale affiorare di quelle giocate INASPETTATE ED EFFICACI che solo una situazione apparentemente caotica è in grado di far emergere. Caotica per chi osserva dal di fuori. Perché calciatori e squadra ne sono a vari gradi consapevoli. E no no, non si tratta di RISPOSTE dell’organismo a situazioni di gioco. CAPACITÀ DI REAZIONE per capirci, ma sempre di CAPACITÀ ANTICIPATORIE perché ben sappiamo che il giocatore quel bagaglio se lo porta dietro da un pezzo, ce l’ha dentro per le esperienze pregresse di una scuola calcio fatta bene. RICHIAMO QUI L’ATTENZIONE DEI RESPONSABILI DELLE SCUOLE CALCIO SUL PROPRIO RUOLO SENSIBILE DOVENDOSI OCCUPARE DEL “GIA’ FATTO” E CORRERE AI RIPARI PER IL “NON FATTO”. PECCATO NON VENIALE.

Sebbene la diffidenza in qualche modo veniva stemperandosi nel corso dell’anno, quando i giocatori  “sentivano le gambe piene”,  non si infortunavano, quando iniziavano a vedere tempi e spazi inesplorati, a percepire la lucidità nel prendere decisioni utili al gioco, la PARCELLIZZAZIONE DEGLI ELEMENTI SEMPRE INCOMBEVA e si faceva fatica a far entrare nella normalità  concetti come COGNIZIONE INCARNATA, SPAZI DI FASE attraversati da INVASORI, GUARDALINEAS E GUARDAREDES, ATTRATTORI, FISSATORI, REGOLATORI, COMPENSATORI, MARCATORI, INDUTTORI, GIOCATORI-FUNZIONE in SCANNER TATTICO DELLE CIRCOSTANZE come abbiamo avuto più volte modo di ascoltare dalle parole avvenieristiche e al contempo concrete di MISTER REALMENTE EMERGENTI, italiani e non. Perché anche i “guardaredes” attraversano gli spazi di fase, richiamando a volte sfinendo per 90’ e oltre i compagni all’attenzione della situazione.

A differenza di come veniva collocato il calcio nella categoria cioè dei GIOCHI DI INVASIONE, insistevo anche sul fatto che fosse pensato come un TARGET games visto che lo scopo, salvaguardando il bel gioco di chiara marca iberica, molto imitato ai tempi,  fosse comunque fare un goal più dell’avversario e portarsi a casa i punti in palio. Ogni tanto i giocatori se ne uscivano con frasi tipo” beh certo, è importante condizionare anche il cervello“, oppure “anche il cervello si allena “ come se il cervello con la sua prodigiosa rete di neuroni e sinapsi fosse qualcosa di avulso da corpo e mente, qualcosa di non incarnato, un milletrecentocinquanta grammi di non si sa bene cosa, avulso da intuizioni, percezioni, emozioni, lacrime e sangue.

Raccontare queste cose oggi sembra anacronistico. Per i colleghi che se ne occupano infatti, i cosiddetti PROF o PREPARATORI ATLETICI, programmare un PRECAMPIONATO ormai parrebbe questione assai semplice. Nessun segreto li divide più dai numeri del modello prestativo STANDARD. Nessuno ha più bisogno di un quadernino su cui annotare il numero di scatti di 5, 10 15 metri o il numero dei CDD. Nessun pericolo di andare fuori tema per migliorare il COSTO ENERGETICO SPECIFICO DEI GIOCATORI O LA POTENZA METABOLICA. UN PROTOCOLLO insomma.

Credo però che quanto prima anche questo modello estremamente esatto e puntuale DOVRÀ ESSERE RIPENSATO,  non solo perchè la velocità di gioco ed i ritmi partita futuri soppianteranno gli attuali in un percorso incrementale ma perchè sarà indispensabile connettere le FUNZIONI INTERPRETATIVE dei giocatori ad un lavoro il più adeguato possibile a sostegno di quest’ultime. Nell’interazione tra giocatore e ambiente, secondo le  AFFORDANCES che incessantemente si aprono e chiudono nel contesto di gioco, dovrà essere possibile prevedere degli ACCOPPIAMENTI STRUTTURALI UTILI al fine di sviluppare quell’auto-organizzazione tanto auspicata dal gioco. Insomma, essendo l’allenamento, come detto, un ciclo di adattamento-risposta ai carichi tutti, attraverso adeguati stimoli,  l’ALLENABILITÀ dovrà considerare INDISPENSABILE la FUSION di intensità, volume, densità e frequenza con ( vado a memoria)scaglionamento,  penetrazione, ampiezza, mobilità,  imprevedibilità, equilibrio concentrazione controllo e limitazione del rischio, azione ritardatrice e temporeggiamento.

Sono certa, certissima che nei laboratori dei grandi club queste cose si staranno già masticando da tempo, tenute in serbo però, mentre vengono dati in pasto ai più immagini o esercitazioni altre, insalate di RSA, ipertrofia, deadlift, yo-yo test, HIIT, modelli di gioco sottolineando che il benessere della squadra è l’unica cosa che conta.  MA PER FAVORE.

Chi in qualche modo ha avuto a che fare con scuola, insegnamento e motivazione intrinseca ben saprà che proprio dall’ INTRECCIO INCARNATO in situazioni reali di gioco, nei rondos ad esempio, negli spazi di fase, nelle “esercitazioni frattali” potrà emergere la CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE IN GRADO DI SAPER FARE O NON SAPER FARE.  E’ proprio il DOVER RISOLVERE COSE inizialmente poco comprensibili o faticose che inciderà nella formazione del giocatore, che gli permetterà lo step necessario, non certo tramite ripetute tutte uguali sebbene inerenti, somministrate non a caso MA NON NELL’ISTANTE

Da qui la volontà, la motivazione del giocatore singolo o della squadra di cercare LA TERZA STANZA, sentire la necessità di voler fare questo o quel lavoro per migliorare e far fruttare al massimo le proprie potenzialità.  Se pensiamo fitto fitto ad una partita, ad un lungo campionato, qual è il modo migliore per prepararsi quindi? E per prepararsi a cosa? E’ davvero equilibrato un blocco di lavoro così ingombrante come APERITIVO DI STAGIONE spiegato spesso in rapide programmazioni take-away?

CONTINUA…

Bio: Simonetta Venturi

Insegnante di Scienze Motorie.

Tecnico condi-coordinativo in diverse scuole calcio e prime squadre del proprio territorio ( Marche ).

Ha collaborato con il periodico AIAC L’Allenatore, con le riviste telematiche Alleniamo.com, ALLFOOTBALL.

Tematiche: Neuroscienze, Neurodidattica

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