Tra i tanti argomenti che riguardano il calcio d’estate, campagna acquisti, rinnovo dei contratti, ecc.., uno che appassiona molto riguarda la cosiddetta preparazione precampionato, che nell’immaginario collettivo, viene vista come la panacea di tutti i mali.
Intorno a questo periodo preparatorio sono stati montati dei veri e propri miti che, nonostante le evidenze scientifiche, continuano a resistere.
Ne tratto solo alcuni:
ALTURA
Al di là dei vari adattamenti fisiologici che si verificano a livello organico , è scientificamente dimostrato che essi, anche quelli positivi, pochi, dopo 3 settimane dal ritorno al livello del mare i benefici ottenuti scompaiono quasi del tutto ( su questo tema esiste una ricca ricerca scientifica).
Ferrantelli e Sprovieri, due autorità nel campo della fisiologia dell’allenamento, furono incaricati nel lontano 1980 dalla Federazione italiana di pallacanestro di condurre uno studio sui benefici del lavoro in altura per le squadre di club, che all’epoca si stava diffondendo molto, visto che nel campo dell’atletica leggera era prassi comune ( gare circoscritte a un periodo breve di durata). Dopo alcuni anni di studio, arrivarono a queste conclusioni, che rappresentano tutt’ora un punto di riferimento scientifico:
1) l’altitudine per produrre efficacia dal punto di vista cardio- respiratoria doveva essere compresa tra i 1200/1600m ( analisi prima di partire, dopo una settimana, dopo due e via procedendo. Alla quinta settimana i valori mutavano).
Ritorno al livello del mare: analisi prima settimana identici al periodo precedente, seconda settimana riduzione del 50%, terza settimana, ritorno ai valori iniziali.
E che pertanto, se la scelta di andare in altura era determinata dalla convinzione di ottenere benefici per tutta la stagione, questa era destituita da qualsiasi fondamento scientifico.
Studi più recenti che si sono potuti avvalere di strumenti di indagine sempre più sofisticati, addirittura hanno dimostrato che gli atleti che ottengono i maggiori benefici sono i velocisti in virtù delle modificazioni a carico delle fibre bianche.
Tutto questo ha dato origine a un nuovo metodo di allenamento, l’RSH (allenamento ipossico con ripetute sprint), che si suppone si diffonderà rapidamente nei principali sport di squadra professionistici.
Grégoire Millet, direttore dell’Istituto di Scienze dello Sport dell’Università di Losanna, ritiene che si tratti di un metodo che migliora la capacità di ripetere degli scatti, e che non è un allenamento che punta a migliorare la resistenza di per se.
La sua ricerca, basata sullo sviluppo della fibre veloci in quota, ha dimostrato che, attraverso un meccanismo di vasodilatazione, in altura le fibre veloci agiscono come quelle lente e si affaticano meno».
Grazie a questa metodologia si verificherebbero degli adattamenti più specifici, che andrebbero quindi a migliorare i parametri che maggiormente vengono coinvolti negli sport di tipo intermittente.
Saranno necessari però altri studi per avere ulteriori conferme.
Ma, come vedete si tratta di una cosa diversa da ciò che si fa comunemente durante i ritiri precampionato.
Secondo alcuni studi recenti potrebbe esserci un modo più semplice ed economico rispetto a trasferirsi per periodi in alta montagna per ottenere i medesimi benefici: basta trattenere il respiro mentre si effettuano una serie di brevi sprint.
Alla luce di tutto questo, è ormai consuetudine allenarsi presso la struttura sportiva di proprietà della società.
Se il problema dell’allenarsi nel periodo estivo, era rappresentato dal caldo che non ti faceva riposare, lo stesso è stato risolto dotando le camere di moderni e adeguati sistemi di aerazione che nulla hanno a che vedere con la tradizionale “aria condizionata “.
ACCUMULAZIONE DEL CARICO
Tra quelli più forti, tra i tanti luoghi comuni che perseguitano il giornalismo italiano e gli appassionati di calcio, c’è l’idea che un giocatore debba faticare, sudare come un matto, sostenere ripetute su ripetute, e scalare gradoni per migliorare il proprio rendimento. La fatica come elemento saliente, fondamentale per ottenere i successi durante la stagione. E’ in parte la teoria dei carichi, come se i giocatori di calcio dovessero sostenere in estate un peso per poi rilasciarlo durante l’anno.
Basta che un allenatore parli di preparazione dura, intensa, fisica per ottenere elogi sui giornali. “Questo sì che li farà correre, con lui non si scherza”.
Che utilità può avere un lavoro basato principalmente su una corsa di 800 metri e ripetute sui 1500 metri? Il calcio è fatto di continui scatti, cambi di direzioni, accelerazioni e frenate, salti: insomma, nulla, che possa essere allenato con corse continue. Sin dalla preparazione lo scopo di un allenatore dovrebbe essere quello di lavorare sui propri principi di gioco, sulla mentalità e sull’organizzazione tattica che si vuole che la propria squadra adotti. Ci vogliono idee e convinzioni forti per ottenere la fiducia del gruppo che si ha a disposizione. Perché a far correre i giocatori sono tutti capaci, è la via più semplice, ci pensa il preparatore atletico che in 45’ si può divertire, mentre la bravura di un allenatore e del proprio staff sta nel saper far crescere globalmente (tatticamente, tecnicamente, fisicamente e mentalmente) la squadra con allenamenti intensi sia durante la preparazione che in stagione.
A forza di caricare però si verificano ancora oggi due controindicazioni. Nella migliore delle ipotesi l’atleta non migliora. Si arriva ad un assestamento della performance in cui il corpo si abitua e la curva di miglioramento si ferma nonostante l’individuo in questione provi ad allenarsi. E qui si collega un altro discorso, quello più pertinente dal punto di vista scientifico che riguarda il principio della “supercompensazione”.
Lavoriamo tanto in precampionato per riempire il serbatoio. Ammesso che si possa riempire a dismisura questo serbatoio, lo sapete che per ottenere una efficacia, questo serbatoio va continuamente svuotato?
E allora, poniamo il caso che si sia riempito di 1000 litri di energia, quanto lavoro devo fare per svuotarlo completamente?
È questo è un altro dei falsi miti, forse il più deleterio, perché implicitamente afferma il principio della “carica del serbatoio “. Intanto, è dimostrato che operare in questo modo, realizzi un rendimento altalenante. Invece, il principio della continuità “ orizzontale “, con varie e opportune modulazioni, consente di avere un rendimento costante per tutta la durata della stagione. E ne parlo con cognizione di causa.
RICHIAMI
Connesso a questi primi due, arriviamo al cosiddetto richiamo di preparazione che solitamente si svolge nella sosta invernale, che “riproduce” in scala ridotta il lavoro estivo.
E qui la questione diviene ancora più problematica.
È noto a tutti che dopo avere fatto diversi giorni o addirittura settimane del metodo a sedute consecutive, bisogna poi far passare un congruo numero di giorni di scarico successivi affinché l’organismo possa far scattare l’iper-supercompensazione. Ma capiamo subito che se la ripresa è dopo due settimane è difficile gestire questo tipo di allenamento. In realtà il problema non è riferito solo alle doppie sedute o ai circuiti con bassi carichi, ma proprio a come vengono programmate queste logoranti sessioni e, soprattutto, per quanto tempo devono essere eseguite per essere veramente efficaci.
CONCLUSIONI
Che la preparazione estiva, per lo meno come la intendono la maggior parte degli allenatori, vada rivista lo testimonia anche Paco Seriul-lo, lo storico preparatore atletico del Barcellona dei tempi di Rijkaard e Guardiola:
“Reputo il precampionato un concetto totalmente sbagliato. Molto grave. Penso che sia impossibile, in un mese, riempire il serbatoio di un giocatore per un’intera stagione. Impossibile. I preparatori, invece, continuano a puntare sull’importanza del precampionato dal punto di vista fisico.
Fare allenamenti doppi e tripli per due settimane non è utile ai giocatori. La conseguenza è un affaticamento che pagheranno per le prime partite di campionato. Per me è necessario prepararsi esclusivamente per la prima partita del campionato.
Poi per la seconda … e così via.
Non è possibile effettuare una preparazione precampionato di due settimane senza toccare il pallone.
Fa male e non è utile.
Pertanto, la preparazione fisica va fatta utilizzando il pallone da calcio.
Parlare esclusivamente di preparazione fisica è un concetto sbagliato. Se può essere d’aiuto posso portare l’esperienza pluriennale personale che ha visto le squadre così allenate vincere campionati e coppe grazie ad un rendimento costante durante la stagione e, a dirla tutta, con più punti raccolti nel girone di ritorno.
8 risposte
Mi ritrovo in ogni concetto espresso, gli allenatori sono ex calciatori che hanno usato queste metodologie di carichi a riempire il “serbatoio” e le ritengono fruttuose, chiaramente dopo un periodo di carico esagerato al diminuire del volume di lavoro è normale che avranno la sensazione di “volare” molti mi raccontavano così, questa sensazione, il rischio però è di infortunarsi ma soprattutto di non aver modo di lavorare sui concetti base di tattica individuale e di squadra
per non parlare dei lavori in palestra dove i giocatori stessi ti dicono che hanno bisogna di sentire la gamba “piena” e quindi hanno bisogno di fare la pressa con 200 kg!!!
l’essere umano è legato alle proprie abitudini, specie se ha ottenuto risultati
E’ difficile operare un cambio di mentalità, anche se supportato da evidenze scientifiche negli allenatori e nei giocatori, purtroppo il tutto è amplificato dai social che esaltano gli allenatori che fanno vomitare in campo o che si sdraiano a terra distrutti
grazie per la qualità dei suoi articoli Mister
un saluto
Ciao Luca, si, è difficile operare un cambio di mentalità e quindi di processi di lavoro. Restiamo ancorati agli stereotipi del “sacrificio”, della “sofferenza”, oggi della “resilienza” e, spesso, sono i giocatori stessi a richiedere alcune attività perchè è quella la loro abitudine. Quando Ancelotti allenava il Napoli, assistemmo ad un allenamento svolto solo con la palla ed in situazione in cui erano stati raggiunti tutti i parametri condizionali richiesti, ebbene, alla fine della seduta tre o quattro giocatori chiesero di fare dei brevi vai e torna nella sabbia per sentire, come dicevi tu, le gambe piene.
Se non partiamo dal basso provando a portare un certo tipo di pensiero metodologico continueremo a restare indietro perchè molto tempo che potrebbe essere impiegato per apprendere il gioco continuerà ad essere impiegato per sviluppare capacità condizionali inutili.
Grazie per il tuo commento e buon proseguimento di estate.
E mister Ancelotti (o il preparatore, o chi per lui) ha concesso queste ripetute oppure le ha negate?
Grazie
Ciao Luca, non sono certo, penso le abbia concesse ma il punto non è questo. Credo che abbia a disposizione giocatori con determinate abitudini e soprattutto un preparatore atletico il cui background porti a quel tipo di lavoro. Vado per ipotesi, si intende. Tu dovrai fare una valutazione che è solo tua.
Ho sempre creduto che la preparazione migliore fosse con il pallone. In un calcio dove oramai si giocano 70 partite/anno, in media ogni 3 giorni, il mese estivo deve essere utilizzato per “risvegliare” il fisico e portare al livello target i giocatori replicando movimenti che si fanno in partita: scatti, dribbling, difesa del pallone, uno contro uno. Durante l’anno poi non puoi far altro che preparare la partita successiva in 2 giorni di allenamento
Buongiorno, caro Ivan, nel lontano 2010 all’esame di metodologia dell’allenamento, corso UEFAPRO, per dimostrare la validità anche ” scientifica ” di questo approccio portai il seguente lavoro: due gruppi di ragazzi appartenenti alla medesima squadra, quindi con vissuti agonistici simili, uno si allenava con il docente ( ripetute) e l’altro con me. Simulanno un allenamento del martedì, dove solitamente nella programmazione tradizionale si persegue il miglioramento della potenza aerobica. Ebbene, quale fu il risultato finale? Che il gruppo impegnato con la metodologia del gioco non solo aveva raggiunto senza problema l’obiettivo della seduta, ma che addirittura era riuscito a lavorare per più tempo sulle cosiddette “soglie”. Tutto il lavoro fu parametrato con gli strumenti del laboratorio scientifico. Lo feci senza problemi perché avevo numerosi riscontri personali, così come ho precisato alla fine dell’articolo. È solo una questione di scelte: fraziono o lavoro nella complessità del gioco? Per me non ci sono dubbi a proposito: tutte le attività devono essere fedeli alla realtà del gioco.
Buongiorno Mister, sono completamente d’accordo sul fatto di poter ottenere i risultati attraverso l’allenamento con l’allenatore; la mia domanda è a cosa può servire il preparatore (o il docente o professore) negli allenamenti e durante l’anno?
Grazie.
Caro Luca, non posso rispondere per gli altri. Se è uno staff tradizionale immagino che l’allenatore affidi a ciascuno di questi una parte del lavoro, avendo a mente l’idea della scomposizione. In uno staff che si riconosce nell’approccio sistemico e nella metodologia del gioco, come nel mio caso, queste figure professionali vengono coinvolte in tutto il processo dell’allenamento nel suo complesso a partire dalla individuazione di proposte specifiche e del loro monitoraggio. Tieni conto che in alcuni momenti della seduta si può verificare che l’organico a disposizione venga suddiviso in diversi gruppi ( senza mai sottrarre alcun elemento alla esercitazione), e quindi può toccare a loro anche l’incombenza della gestione del lavoro ( da qui la necessità di costruire staff con una visione condivisa). In talune circostanze e per colmare eventuali carenze, incaricavo loro la predisposizione di lavori integrativi da svolgersi dopo lo sviluppo della seduta interattiva di allenamento, che resta la parte fondativa di tutto il processo.