LA DOMANDA DI MASSIMO ODDO SU JULIO VELASCO

Julio Velasco è ormai italiano naturalizzato. E’ un genio, maestro di vita prima che di sport: requisiti empirici conquistati grazie a risultati concreti, ottenuti attraverso una filosofia visionaria e spesso distante dal percepito del nostro mondo. Le sue parole prima e dopo la vittoria dell’oro olimpico con la Nazionale femminile di volley, hanno suscitato reazioni e consensi plebiscitari: ha parlato di cultura del lavoro, della necessità di uscire dall’ossessione della vittoria, di altri valori intrinsechi dell’attività agonistica a livelli professionali.

Discorsi già fatti, davanti ai microfoni o a platee di studenti nel variegato cammino della sua carriera. Velasco vi si è sempre attenuto, unendo la pratica alla teoria con coerenza, determinazione, costanza. La sua credibilità e fuori da qualsiasi discussione, da qualsiasi tweet, da qualsiasi post. O almeno dovrebbe essere così.

Massimo Oddo è uomo acuto e intelligente. Ex grande giocatore tra le altre di Milan, Lazio, Bayern e della Nazionale, oggi allenatore, ha pubblicato un video non provocatorio, ma di riflessione sul suo profilo Instagram: “Come sarebbero stati accolti i discorsi di Velasco se li avessero fatti Pioli, Inzaghi, Conte…?”

Credo che il primo tema sia proprio quello della percezione. Spesso non è tanto importante chi dice una cosa, in questo bar a cielo aperto che sono i social, ma chi la ascolta e poi la commenta. Vale – se ci pensate – per opinionisti, influencer, casalinghe, impiegati.

Chiunque può dire una cosa intelligente o una cosa idiota, chiunque può giudicarla in qualsiasi modo a seconda della prospettiva personale. La cultura del risultato non è una deviazione tipica italiana: ad ogni latitudine ci si aspetta la vittoria, dove naturalmente è lecito che avvenga. A Trinidad&Tobago non possono pensare al medagliere della Cina, manco a dirlo: per alcuni Paesi l’importante è ancora partecipare, secondo lo spirito olimpico. I soldi, gli interessi superiori, a volte la politica (vedi le gare di nuoto nella Senna…) condizionano qualsiasi buona intenzione. Non posso dire però se in altre nazioni la fioritura di tuttologi sia ricca come da noi: sto seguendo con simpatia una battaglia ironica, a largo raggio di Paolo Bertolucci su quanti salgono e scendono dai carri a seconda delle circostanze, da Sinner (in primis) a Tamberi e nel calcio che l’ex campione di tennis ama profondamente.

E’ un esercizio fine a se stesso, perché fa ormai parte della nostra vita quotidiana leggere strali o esaltazioni momentanee per una partita, un match, una gara, vinta o persa. Non so se avete seguito la raccapricciante storia di Alessio Foconi: subentrato come riserva nella finale del fioretto a squadre, ha perso per 5-0 il suo assalto e l’Italia del fioretto, che prima era sotto solo di una stoccata, ha chiuso con l’argento dietro al Giappone. E’ stato massacrato sui social, come se tutti fossero esperti di scherma, come se tutti fossero giudici. Scendere e salire sul carro è pratica semplice su Facebook, Instagram, X e dove vi pare: basta avere un profilo e si può vomitare su chiunque, si può celebrare chiunque. Non importa se chi dice una cosa sia titolato, competente, preparato per dirla: c’è sempre e comunque un tastierista da divano pronto ad esaltarlo o a lapidarlo esattamente come fa con gli atleti, con le squadre, con lo sport.

Credo quindi che la riflessione proposta da Oddo non sia retorica, né banale, né – appunto – provocatoria: è semplicemente inutile, per il fatto che oggigiorno un megafono è in mano a qualsiasi uomo o donna della strada, insieme a una telecamerina ricavata dal cellulare o dal pc. Entrambi gli strumenti si possono comodamente usare dal divano per giudicare il mondo, non solo quello dello sport, giudicare la storia, giudicare il prossimo. Anche se è il prossimo a fare la storia del mondo, non chi lo commenta dall’Iphone: nel momento in cui lo commenta dall’Iphone, però, quel signor nessuno si sente a sua volta un protagonista della storia del mondo.

In 140 caratteri, in una foto, in un video. Sto con Paolo Bertolucci, con Julio Velasco, con Massimo Oddo che ne sanno più di me. E per una volta sto con Mike Tyson, anche: “I social media vi hanno resi tutti troppo a vostro agio nel mancare di rispetto alle persone, senza prendervi un pugno in faccia per quello che dite”.

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

2 risposte

  1. Tema complicato. “Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando verso un infinito nulla?”. Se penso ai social, ai “giudici da divano”, mi vengono in mente queste parole di Nietzsche. Perché attraversiamo un frastuono, nel quale non si distinguono più le voci e tutto si mescola in un vuoto assoluto. Lo dice Velasco, gli do valore. Ci ragiono, posso non essere d’accordo, ma la sua storia, il suo mondo mi impongono di considerarlo. Non mi sembra sia più così, anzi se conosci, se parli in modo corretto, se cerchi di argomentare appartieni alle “elite corrotte”. Quindi Velasco come chi non sa neanche dell’esistenza della pallavolo. Anche io sto con Tyson…

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