Inizia il campionato e tornano gli antichi difetti, specie in retroguardia. Errori, gol subiti, fischi e la sensazione di un reparto lontano dalla forma migliore. Nel post Milan-Torino Filippo Galli analizza i fatti e individua qualche possibile via di uscita
“Sembrava la 39esima giornata della stagione scorsa, non la prima di questa”. La battuta è di Sandro Tonali e risale all’esordio della stagione post-scudetto (un deludente 1-1 a Bergamo): ma a molti è venuta in mente dopo Milan-Torino di sabato 17 agosto. Perché in campo si sono visti tutti i difetti (e anche i pregi, a onor del vero, come i gol nel finale) del campionato scorso: a partire dai troppi gol presi, sempre, in ogni situazione, anche da squadre sulla carta meno blasonate.
L’accusa si è concentrata sulla difesa: le strane scelte di posizionamento dei due centrali in occasione dei gol, Calabria uscito fra i fischi, Saelemaekers schierato fuori ruolo e scherzato sul piano della corsa da un Bellanova che, beffa, è pure un prodotto del vivaio rossonero e, beffa ulteriore, è appena passato a quell’Atalanta che – da Cristante in poi – sta diventando il museo delle occasioni perse milaniste.
Non giocavano i nuovi acquisti, è vero: ma non possiamo nemmeno pretendere che siano due giocatori (nessuno dei quali almeno per ora è Nesta o Thiago Silva) a salvare la patria.
Per fare una sorta di check-up alla difesa rossonera, ho chiesto il parere di Filippo Galli, titolare di questo blog, difensore centrale egli stesso e attento osservatore di centinaia di giocatori giovani e meno giovani.
Filippo, che succede alla difesa del Milan? Abbiamo un problema?
«Sì, direi che un problema ce l’abbiamo. Però vorrei subito ribaltare il punto di vista dominante».
Prego, fai come se fossi a casa tua.
«Grazie! Il problema non è di singoli: non lo è in questo caso e non lo è mai: il calcio è uno sport di squadra e il problema è sempre collettivo, perché durante la partita tu non sei mai veramente uno contro uno, ma dipendi sempre dal posizionamento dei tuoi compagni di reparto, dell’intera squadra, degli avversari. Quindi la prima cosa da fare è trovare delle soluzioni collettive, di reparto e di squadra. Attenzione, non voglio ridimensionare il problema, anzi: il tempo è poco, il campionato è iniziato ed è vero che tra poco ci sarà la sosta, ma molti giocatori andranno via. Quindi Fonseca deve essere bravo e veloce a lavorare sui singoli, d’accordo, ma sempre in un contesto, nella complessità».
La prima cosa che tutti abbiamo notato è stata una mancanza di intensità. Sei d’accordo?
«Completamente. E aggiungo che l’intensità non può essere solo quella fisica, ma deve essere mentale: intensità secondo me vuol dire tenere la concentrazione sempre alta, eliminare quelle amnesie che troppo spesso vediamo. E per allenarla bisogna ricreare il più possibile le condizioni della partita, non isolare il singolo gesto, perché in partita il singolo gesto non esiste più, esiste il contesto, incluso il tifo, le luci, l’adrenalina».
Giusto ragionare in termini collettivi, ma parliamo un attimo anche dei singoli: che cosa succede a Thiaw? Sembra particolarmente insicuro, quasi impacciato.
«Thiaw deve ritrovarsi, riacquistare sicurezza. Per farlo bisogna allenarsi bene, al massimo, andare in campo sapendo che ti sei preparato a tutto, nei limiti del possibile. Almeno, per me era così: io mi allenavo più che potevo e quando iniziava la partita ero preparato a livello emotivo e mentale perché sapevo di avere fatto tutto. Attenzione: non dico che Thiaw si alleni male, perché davvero non lo so e non lo penso; dico che deve allenarsi al massimo e che Fonseca, lo ripeto, deve essere bravo ad allenare il reparto. E poi dico una cosa ai nostri tifosi: capisco la frustrazione e il diritto di esprimerla, ma ricordiamoci che i giocatori sono umani e forse in questi momenti vanno sostenuti, altrimenti la prossima volta andrà un po’ peggio».
Hai toccato un punto delicato: Calabria è uscito fra i fischi.
«È un caso effettivamente abbastanza complicato: Calabria è il capitano, è un prodotto del vivaio, ma è anche vero che il rapporto con i tifosi si è un po’ logorato. Io non faccio difese d’ufficio di nessuno, ma è chiaro che mi dispiace. E dico una cosa semplice: fintanto che un giocatore resta al Milan è nel nostro interesse di tifosi metterlo nella condizione di rendersi utile, quindi sostenerlo».
In questa situazione come vedi l’uscita di Pierre Kalulu?
«Non bene. Innanzitutto avremo tanti impegni e un giocatore così duttile ci avrebbe fatto comodo; e poi non darei mai una mano a una concorrente diretta».
Ti faccio una domanda un po’ scomoda: ma alla fine, chi è quello che si definisce il “regista difensivo” del Milan, quello che aiuta anche gli altri a giocare meglio?
«Domanda tagliente. La risposta è che in questo momento non c’è. Tomori, che è il più esperto, mi pare un giocatore di irruenza, di velocità, uno che rompe la linea per andare a caccia dell’attaccante, un incursore più che un regista. Pavlovic non lo conosciamo ancora, ha sicuramente carattere e dinamismo, ma fatico a vedere il lui il regista, anche per la giovane età. Ti rispondo come avrebbe risposto Arrigo Sacchi: la guida non è una persona, ma sono i principi di gioco. E non lo dico per scansare la domanda, ma perché lo credo anch’io».
In questi casi non si parla mai di Matteo Gabbia, e forse è un po’ ingiusto. Qual è il suo ruolo nel pacchetto difensivo del Milan?
«È vero, Gabbia resta spesso fuori dai discorsi. Non è un giocatore che ruba l’occhio, non è un fuoriclasse della categoria dei Nesta, ma è un giocatore attento, riflessivo, che conosce i principi di gioco. Proprio perché non è un fenomeno dal punto di vista fisico, si è costretto a ragionare e a imparare: questa è la sua forza».
BIO: Luca Villani è nato a Milano il 31 gennaio 1965. Giornalista professionista, oggi si occupa di comunicazione aziendale e insegna all’Università del Piemonte Orientale. Tifoso milanista da sempre, ha sviluppato negli anni una inspiegabile passione per il calcio giovanile e in particolare per la Primavera rossonera. Una volta Kakà lo ha citato in un suo post su Instagram e da quel momento non è più lo stesso.
4 risposte
Complimenti Luca per la bella intervista fatta al nostro Filippo Galli uno dei mitici eroi di quella rocciosa ed imperforabile difesa strettamente legata all’era di un Diavolo Invincibile!
Ed è giusta la sua considerazione data in risposta alla domanda riguardante la criticità della nostra difesa…
“… Il problema non è dei singoli, non lo è in questo caso e non lo è mai…. ma dipende sempre dal collettivo..”
Giusta osservazione aderente al calcio moderno che in buona parte spiega la sua “complessità”.
Tanti decenni prima il mitico Nereo Rocco, passato alla storia calcistica per essere stato l’antesignano del catenaccio ordinò nello spogliatoio pochi minuti prima di un match europeo allo stopper Roberto Rosato di stare incollato al temibile avversario sempre… e di seguirlo fino al gabinetto!!
Questa era la difesa ad “uomo” di una volta… quando il pallone era di cuoio ed in caso di pioggia si udivano dagli spalti autentiche cannonate! Ma ora tutto è cambiato! Ed è proprio vero proferire: ” La complessità del calcio!”
Un caro abbraccio.
Massimo 48
merito ai problemi difensivi
Manca sempre quello che una volta era il libero. Quando abbiamo vinto il campionato era Simon Kjaer
Manca ,in difesa maledettamente,il miglior Kjier,certo Kalulu e’ ancora tutto da scoprire,ma proprio alla Juve,senza scambio,non si da’….lezione universitaria di calcio di Filippo Galli ,tanto di cappello…basta fare giocare fuori ruolo giocatori dinamici…mi aspetto molto da Gabbia,x gli stessi motivi espressi da Filippo…allenarsi di piu’,speriamo buona notte
In difesa manca un uomo di esperienza che sappia guidare il reparto. Detto ció, concordo su tutto quando detto da Filippo; continuo a pensare che forse un allenatore più funzionale e in grado di dare un impatto immediato avrebbe giovato di più (gasperini, Motta)