SCUOLE CALCIO E SETTORI GIOVANILI: QUALE DIGNITÀ LAVORATIVA

Poco prima dell’inizio dell’estate, assistendo ad un torneo giovanile per società professionistiche, ho conosciuto, tra gli altri, il papà di uno dei giovani calciatori partecipanti alla manifestazione. Discutendo di settori giovanili, percorsi di formazione, di dignità lavorativa per chi presta il proprio servizio in questo contesto e più in generale del mondo del calcio, sono venuti alla luce alcune problematiche, certo non nuove, che il genitore ha poi voluto, diciamo così, formalizzare attraverso una email che allego di seguito omettendo (X) il nome del Club:

Ciao Filippo,

ho avuto la fortuna e l’onore di conoscerti e scambiare due parole con te domenica, al Memorial Franco Chignoli. 

Come ti dicevo brevemente, sto vivendo la realtà delle scuole calcio sia da genitore, avendo 2 figli che giocano (o meglio, stanno facendo questa esperienza di vita) nella squadra del (X) Under 11 e Under 8, sia da allenatore in una squadra dilettantistica della stessa città.

In questi anni, in cui il calcio italiano lamenta una crisi di talento culminato con le mancate qualificazioni ai mondiali, mi sono fatto tante domande sul perchè, una nazione in cui la maggior parte dei bambini pratica il calcio come sport, faccia così  fatica a creare giocatori di altissimo livello come succedeva in passato. I motivi sono sicuramente tantissimi ma non starò qui a tediarti con cose che conosci molto meglio di me, ma volevo ribadirti la “proposta” che ti ho accennato domenica.

Molte società professionistiche, investono nella scuola calcio pochissimo, soprattutto per gli istruttori.

Lo scorso anno un bravissimo allenatore della scuola calcio del (X) ha dovuto lasciare in quanto non riusciva ad arrivare a fine mese e ha deciso di mollare il calcio e trovare un lavoro sicuro. La perdita è stata enorme, soprattutto per i ragazzi.

Ho avuto la fortuna di poter dialogare tante volte con diversi allenatori molto preparati che lamentano rimborsi bassissimi che non permettono loro di dedicarsi al campo in maniera costante. Ho fatto io da “cameraman” ad alcuni allenatori per dare loro la possibilità di rivedere le partite per poter lavorare sugli errori del singolo ragazzo e non sul macro argomento del contesto di squadra.

L’ho fatto con enorme piacere in quanto penso che, quando sono così piccoli, i bambini vadano corretti singolarmente e non solo come squadra. Io penso che (X) stia facendo miracoli se si guarda al budget e alle attuali strutture (che dovrebbero, si spera, migliorare nei prossimi anni), ma mi piacerebbe che si approcciasse già la scuola calcio in maniera diversa, perché le possibilità umane ci sono, ma manca tanto altro.

Ritornando alla proposta che volevo condividere con te, provo ad esportela: perchè non inserire nei contratti dei giocatori della prima squadra una “meravigliosa tassa” dell’1% del loro stipendio che viene investita per pagare gli istruttori di scuola calcio e settore giovanile? Parliamo di una cifra irrisoria per gli stipendi percepiti, ma che consentirebbe agli istruttori di potersi dedicare ai ragazzi con più dedizione. 

Ho fatto un calcolo. (X) ha un monte ingaggi di circa 30 milioni di euro. L’1% porterebbe 300.000 euro nelle casse della scuola calcio e permetterebbe ai 30/35 istruttori, dall’under 8 all’under 18, di prendere un compenso di circa 800 euro mensili in più rispetto a quello che percepiscono ora. In questo modo si darebbe la possibilità a questi ragazzi di poter lavorare part time la mattina, per poi dedicarsi alle giovanili che allenano, guardando video delle partite e degli allenamenti, in modo da correggere il bambino/ragazzo in maniera più precisa e costruttiva. Noto che, ormai, si lavora sul macroargomento, in base a come la squadra ha interpretato la partita, e non sul singolo ragazzo, in quanto non ci sono quasi mai immagini registrate delle partite e degli allenamenti svolti, soprattutto nelle scuole calcio. 

Io sono consapevole di quanto sia complicato per un ragazzo diventare un giocatore professionista avendo giocato a livelli decenti in passato e conoscendo le statistiche del mondo del calcio, sto cercando di spiegare ai miei figli che questa avventura con (X) è un dono per la loro crescita personale di vita, più che di sport.

E’ giusto farli sognare ma, nell’ombra, io e mia moglie teniamo i loro piedini ben saldi a terra, ma ho anche il timore che, soprattutto nelle scuole calcio, si possano perdere dei talenti perchè manca agli allenatori il tempo per lavorarci in maniera precisa e attenta.

Scusa se mi sono dilungato e se mi sono permesso di scriverti via mail ma non ho capito come inserire sul blog la discussione. Nel weekend ci riproverò Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato domenica e per tutti i webinar che hai fatto e che ho avuto l’enorme piacere di seguire apprendendo tantissimo.

Buona giornata

A Voi le considerazioni

5 risposte

  1. Caro Filippo
    ho letto con attenzione la proposta contenuta nell’articolo del tuo blog: SCUOLE CALCIO E SETTORI GIOVANILI: QUALE DIGNITÀ LAVORATIVA da parte di un genitore/allenatore.
    Concordo che necessario retribuire molto di più gli allenatori bravi in modo che possano crescere, dedicare più tempo e maturare esperienza per i nostri ragazzi.

    Resto però dell’idea che lo scoglio maggiore sia un poco più avanti.
    Ti faccio un esempio concreto che mi è capito mercoledì pomeriggio di questa settimana.
    Amichevole Magenta (serie D) e Primavera del Como (praticamente tutti ragazzi 2006/07) molti dei titolari della primavera arrivano dall’estero. In particolare ho visto il portiere che parlava in lingua inglese, un difensore olandese e uno brasiliano, oltre ad altri che non ho fatto in tempo ad osservare.
    La cosa però che mi ha colpito è che la qualità (come giocatori intendo) non è così elevata tanto da giustificare una distanza così grande dove trovare i giocatori.
    Lo scorso anno in Eccellenza piemontese (campionato che ho seguito ogni domenica) alcuni ragazzi della stessa età erano tranquillamente pari, anzi forse meglio, dopo un anno di partite con i “grandi”. (Posso fare nomi e cognomi perché li conosco bene). Immagino che l’eccellenza lombarda che ha un livello ancora più alto ce ne siano di più.
    Io credo che la formazione dei nostri ragazzi sia importante certo ma se, alla fine, alle Società costa in qualche modo meno, o qualcuno ci guadagna di più, prelevare i ragazzi fuori confine come faranno i nostri ad emergere? Ricordo che lo scorso anno il Lecce ha vinto il campionato di Primavera 1 con diciannove ragazzi su venti, della rosa, di nazionalità straniera.
    Perché almeno nelle giovanili, fino alla primavera, non si possa rendere economicamente pari far giocare i ragazzi dei nostri vivai? Introducendo per esempio dei limiti territoriali? o limitando i costi dei cartellini in funzione del numero dei ragazzi che le professionistiche prelevano dalle dilettantistiche?
    Consideriamo anche che questi ragazzi stranieri spesso smettono di studiare, sono costretti a cambiare vita pesantemente. Se poi non si inseriscono qui in Italia, essendo pochi quelli che arrivano davvero al professionismo, vengono “gettati” con evidenti contraccolpi poi non facilmente superabili neanche per loro.
    A mio parere sarebbe necessario capire dove e perché le Società guadagnano o risparmiano su questi ragazzi stranieri e poi chiedere una norma che intervenga, nel rispetto delle leggi comunitarie sull’immigrazione, sul lavoro ecc., e soprattutto capire perché i nostri ragazzi non sono considerati all’altezza. Dagli ultimi Europei abbiamo imparato che nascono migliori calciatori anche nella piccola e vicina Svizzera.
    Mi chiedo ma solo in Italia nascono scarsi? io non credo proprio…

    Io penso che la tua generazione ha sformato campioni veri perché ha saputo valorizzarli e farli crescere selezionando, avendo la pazienza di aspettarli e credendo in loro. Adesso questo non avviene più ma non perché non ci sono ma solo perché alla fine non “conviene” e loro, sentendosi ignorati, sono costretti a fare altre scelte di vita.

    Buona giornata

    Alberto

    1. Ciao Alberto, disamina che mi trova d’accordo.Il problema è che non possiamo intervenire sul modello di business dei club se non provando ad agire in modo sistemico (Figc e Leghe) ad esempio facendo in modo che qualora un club formi un giocatore che arriva in 1^ squadra ottenga un premio congruo, elevato, altrimenti come fanno oggi i club si continuerà a preferire, perchè più conveniente e forse perchè mossi da interessi che riguardano più figure, la via dell’estero. a maggior ragione non possiamo modificare le leggi UE sulla libera circolazione dei lavoratori. Gli aspetti socio-pedagogici che tu sottolinei sono un ulteriore presa di coscienza che il nostro sistema dovrebbe assumere. Grazie per il tuo contributo. Buon lavoro.

  2. Ciao Filippo e ciao Alberto.
    Sicuramente ci sono tanti problemi perché non è possibile che in Italia non si riescano più a formare calciatori di livello.
    Bisogna trovare il modo di fornire agli allenatori degli stipendi adeguati all’ impegno che mettono. E questo problema lo estenderei anche alle squadre non professionistiche. Io ho allenato in una società che faceva la proporzione e aveva 300 bambini in scuola calcio. Le quote delle iscrizioni erano usate come un bancomat. Gli allenatori prendevano 100 euro di rimborso spese mensile, non tutti i mesi perché i soldi venivano utilizzati per pagare stipendi folli a giocatori di 35/36 anni della prima squadra.
    Per quanto riguarda i calciatori stranieri non conosco il motivo per cui ne arrivino così tanti a scapito dei nostri, però mi viene da pensare che, nel percorso giovanile, in Italia non si lavori abbastanza bene da fare crescere i ragazzi che, a 16/17 anni, non riescono più a competere con quelli che arrivano dall’ estero. Perché il costo di un ragazzo italiano che formi dalle prime leve è sicuramente più basso rispetto ad un uno che arriva dall’ estero a cui devi pagare vitto, alloggio e altro.

  3. Grazie a Voi Filippo e Luca per la risposta.
    ribadisco che é statisticamente impossibile che solo in Italia non nascano giovani di valore… credo che su questo siamo tutti d’accordo…
    Mi permetto di mettere mettere in risalto un aspetto che nessuno vuole affrontare o di cui, almeno io, non ho mai sentito nulla …(ma ho provato sulla mia pelle e quella dei miei figli) il rapporto tra alcuni procuratori e alcuni direttori sportivi (ovviamente non tutti) …
    io credo che molti giovani anche bravi si fermino a causa di questo rapporto.. io non ne conosco le ragioni… o meglio le posso solo immaginare… come diceva il buon vecchio Giulio Andreotti ” a pensare male si fa peccato… ma spesso ci si azzecca”.. eh..eh..
    A mio parere è li che le Società dovrebbero prima di tutto.. intervenire… io credo che risparmierebbero già volumi di soldi importanti.. che potrebbero essere poi investiti sugli allenatori… perché come giustamente sostiene Luca i nostri ragazzi costano meno… eppure malgrado la qualità di molti stranieri non sia così alta… vengono spesso privilegiati. ..anche ad un costo maggiore… (rimborsi, appartamenti, vitto, scuola, ecc…)
    Qualcosa in quell’ambito deve essere aggiustato per forza… se vogliamo che emergano i nostri talenti… ma ci vuole coraggio… e temo che questo coraggio non si troverà mai… perché alla fine non conviene a nessuno…

    Grazie per l’attenzione e buona giornata.
    Alberto

  4. Buona sera. Riapro questa discussione condividendo con voi un mio pensiero (non richiesto), su stimolo dello stesso genitore incontrato da Filippo al torneo.
    Personalmente credo che il problema legato alla “mancanza di giocatori” nel nostro paese non si riduca al solo, mero, aspetto economico (che però gioca il suo ruolo. Ritengo assurdo affidarsi al volontariato, per gestire bimbi non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto dal punto di vista pedagogico/educativo). Penso che il calcio non abbia ancora capito che la società è cambiata, che i nostri bambini hanno meno possibilità del passato di fare esperienze motorie libere, con o senza palla, utili per la loro crescita, e tutti si sia ancora fermi all’idea che “ai miei tempi…ora non hanno voglia…noi facevamo, noi giocavamo…”. La realtà è cambiata, i tempi sono cambiati, la società è cambiata e noi non siamo stati capaci di adeguarci, di capire e di portare proposte adeguate per permettere ai nostri bambini di sviluppare il proprio “programma motorio”, in relazione al contesto. Tutti noi più o meno “anziani” passavamo le nostre giornate giocando a calcio, arrampicandoci, rincorrendoci o semplicemente giocando per strada. Sempre, ma proprio sempre. Ora non possono: le strade sono sovraffollate, se calciano due volte il pallone in uno spazio che non sia un campo, l’adulto di turno rompe loro le scatole e spazi liberi ove giocare non esistono più, o sono pericolosi (oratori chiusi, giardinetti con il catenaccio…). Risultato? Nessuna, o pochissime, esperienza motoria libera. Le uniche occasioni che hanno di muoversi sono legate alla scuola calcio, al corso di atletica, di arrampicata, di nuoto…tutte attività gestite, controllate, “imposte”, da un adulto. Non sempre adeguatamente preparato. E rimborsato. Senza queste opportunità, il bambino, o la bambina, non si muove.
    Quindi? Che cosa si può fare? Io ho il grande privilegio di girare il mondo grazie al calcio, e lavoro anche nella scuola e più giro tra i Paesi, più credo che sia dalla scuola che si debba partire: credo che la federazione debba ringiovanirsi, capire come stanno le cose e “entrare nelle scuole”, portando il calcio come proposta curricolare fin nella scuola dell’infanzia. Esattamente come stanno facendo altre federazioni (tennis, pallavolo, rugby. In tanti offrono progetti nelle scuole) E portare il calcio con qualità, non col primo arrivato che pur di indossare la tuta della nazionale è disposto a muoversi gratuitamente, ma selezionando il meglio in circolazione per lavorare coi bambini. Meglio= pedagogicamente preparato e tecnicamente formato. e badate bene: qualità non vuol dire gente invasata che costringe bimbi di sei anni a ore di esercitazioni analitiche! Gente preparata significa allenatori capaci di adeguare le proposte al livello, alle esigenze, allo sviluppo dei bambini che ha di fronte, dal più “abile” al meno.
    Concludo ribadendo che non penso il problema sia solo di natura economica. Anche, certamente. Ma la preparazione di chi propone calcio deve essere maggiore, deve essere curata. Il genitore deve essere certo di lasciare il figlio nelle mani di una persona preparata, calcisticamente e pedagogicamente. Non per farne un campione, ma per aiutarlo a crescere con il pallone. Così come le esperienze motorie libere che devono/possono vivere i bambini devono essere maggiori, considerando la società moderna e non basandoci ancora solo sul passato. Mi scuso per la lunghezza del mio “intervento”. Ciao Filippo

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